Pierre Rosenberg, Corriere della Sera 13/7/2006, pagina 43., 13 luglio 2006
Quegli utopisti degli italiani Corriere della Sera, giovedì 13 luglio La recente scomparsa a Parigi di Jean-François Revel, scrittore, filosofo e giornalista, dotato di una grande verve polemica, ci induce alla rilettura di Pour l’Italie, che, quando uscì, circa mezzo secolo addietro, in Francia e in Italia, suscitò tanto scandalo in entrambi i Paesi
Quegli utopisti degli italiani Corriere della Sera, giovedì 13 luglio La recente scomparsa a Parigi di Jean-François Revel, scrittore, filosofo e giornalista, dotato di una grande verve polemica, ci induce alla rilettura di Pour l’Italie, che, quando uscì, circa mezzo secolo addietro, in Francia e in Italia, suscitò tanto scandalo in entrambi i Paesi. Ma perché Revel ha voluto scrivere questo libro? Per quattro anni lettore di francese all’Università di Firenze, viaggiò parecchio in Italia. Desiderava, perciò, rivolgersi tanto ai suoi compatrioti, i quali – secondo lui – conoscevano ben poco gli italiani e li giudicavano con totale mancanza di cognizione di causa, quanto agli italiani dei quali non accettava i pregiudizi. Ma lo scandalo del 1958 era forse giustificato? Il libro è sempre attuale o andrebbe sistemato negli scaffali dei documenti di storia o di sociologia? Che cos’è cambiato in Italia negli ultimi cinquant’anni? Ecco una buona ragione per rileggere Pour l’Italie. Revel se la prende con gli italiani, non con l’Italia. E usa un tono rabbioso (mai astioso): li rimprovera di non conoscersi, di vivere in una perenne utopia – letteratura e arte italiana contemporanea – accecati da un passato glorioso considerato sempre attuale. Se la prende con i costumi del Paese, con la Chiesa, con la classe politica, con la giustizia, con gli intellettuali, con la cucina italiana e i suoi vini, con la scuola primaria e con l’Università; se la prende con lo sciovinismo intellettuale degli Italiani, con il loro conformismo e soprattutto con i loro pregiudizi, alcuni dei quali, senza dubbio, sono svaniti da quando gli italiani hanno cominciato a viaggiare all’estero. Scrive, nella premessa all’edizione del ’76: «Ad ogni pagina sono costernato dalle semplificazioni, generalizzazioni, esagerazioni contenute nel libro. Non che sia falso, poiché all’epoca fece centro. probabile che si riesca a raggiungere un certo tipo di verità unicamente se il tiratore si cura poco della qualità della freccia». Alcuni giudizi sono certamente inammissibili («La pittura italiana del ’600 è fra le più vuote e spesso stupide che siano mai esistite»), altri giudizi sono stati corretti dall’autore di riedizione in riedizione (ad esempio la sua severità nei confronti di Goldoni al quale, nel 1965, riconosce di «non aver reso giustizia»). Ai lettori italiani lasciamo la responsabilità di reagire a quelle analisi che meglio hanno saputo reggere al tempo e che non potevano tener conto della trasformazione dell’Italia dovuta al miracolo economico degli anni 60 nonché alla sua entrata, senza indugi, nel mercato comune. Ma questo benessere così nuovo è forse stato, di per sé, in grado di trasformare in modo radicale le mentalità (è questa una domanda che, pagina dopo pagina, è impossibile evitare di porsi)? Per certi aspetti l’Italia di Revel appare antidiluviana. «Io che per anni ho dedicato me stesso alla donna italiana, mi permetto di raccomandare ancora una volta la soppressione dei peli sulle gambe. Quante volte, parlando davanti ad un pubblico femminile, sono stato colto da vertigine di fronte a centinaia di polpacci e sono stato costretto a togliermi gli occhiali per perdere di vista quei crini impietosi la cui nera spirale, paf! spuntava dalle calze, lasciando prevedere la desolante eventualità di un universo femminile completamente villoso», scrive, per esempio. Un fatto che potrebbe essere avvalorato solo dai più anziani lettori del Corriere. Ma il libro di Revel è anche una testimonianza. In generale, quello che realmente è cambiato in quest’ultimo mezzo secolo è il posto della donna nella società italiana. Revel la descrive mentre passa dal ruolo di vergine pudibonda e timorosa a quello di madre di famiglia rumorosa e autoritaria. Di tutto ciò oggi non vi è più traccia. Questa rimonta delle donne che hanno conquistato la loro indipendenza in seguito al declino – relativo – della Chiesa, è probabilmente ciò che di più rende il pamphlet di Revel datato. Questa rimonta va di pari passo con la radicale evoluzione di ciò che egli chiama il «regime sessuale del giovane italiano», che riassume nella parola «privazione». Le straniere possono oggi viaggiare in Italia come meglio credono. Il divorzio, l’aborto, la pillola e i preservativi fanno ormai parte della normale conversazione. A leggere Revel, queste parole erano tabù nel 1958. Un’osservazione che, riedizione dopo riedizione, acquista sempre più significato: quando il libro uscì, venne aspramente criticato, cosa che da un lato era prevedibile e dall’altro fece soltanto piacere al suo autore, gran polemista. Mano a mano che uscirono le edizioni successive, gli venne detto: «Una volta, avevate ragione; ma oggi le cose sono cambiate». Ciò significa che nel 1958 le sue opinioni erano esatte e le critiche chiassose dell’epoca ingiustificate. Pierre Rosenberg