Varie, 12 luglio 2006
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Tavoularis Dean
• Lowell (Stati Uniti) 1 gennaio 1932. Scenografo • «Provate a pescare nella memoria uno dei grandi film girati negli anni ”70, quelli che hanno segnato la storia del cinema moderno e il destino di un’intera generazione. Fatto? Bene. Adesso lasciate scorrere i titoli di testa e vedrete comparire dinanzi ai vostri occhi il nome di Dean Tavoularis, uno dei più grandi scenografi di Hollywood. Secondo alcuni, addirittura il migliore per capacità tecnica e visione artistica. Si devono alla sua fantasia le scene di Bonnie and Clyde, Zabriskie Point, Piccolo grande uomo, Il Padrino (parte 1 e 2), ma soprattutto la spettrale giungla di Apocalypse Now, dove si consuma quel viaggio nel cuore di tenebra che condurrà Marlowe a incontrare Kurtz e a guardare dritto negli occhi l’orrore di ogni guerra. [...] ”Spesso mi chiedono a quale film sono più legato. E puntualmente fatico a trovare una risposta: è come chiedere a un padre d’indicare il figlio preferito... Ma se fossi costretto a scegliere, direi Tucker, una delle tante storie che ho portato sullo schermo con Francis Ford Coppola [...] Perché racconta di un uomo che cerca disperatamente di realizzare il sogno della sua vita: costruire l’automobile più bella del mondo. E per questo combatte fino allo stremo, senza rinunciare all’utopia in nome del compromesso [...] Respingere i ricatti del mercato e lavorare soltanto ai progetti che amo. Sia chiaro, anche a me piace ricevere il consenso del pubblico, ma non accetto che l’arte venga influenzata dal marketing [...] Tutti pensano che il regista stia in cima alla piramide, mentre invece è il reparto artistico che si gode gli aspetti migliori del mestiere. Coppola, ad esempio, ci guardava con un pizzico d’invidia perché andavamo in giro a scovare le location: questo ci permetteva di arrivare prima nei posti, che spesso erano luoghi meravigliosi, di scegliere gli alberghi migliori e di avere le ragazze più belle... A lui, viceversa, toccava la fatica di far quadrare tutto [...] Ormai siamo governati dal marketing che, servendosi delle statistiche demografiche, prima sceglie la fascia d’età cui destinare il prodotto, poi studia il casting più idoneo per quel pubblico e alla fine, soltanto alla fine, si occupa del film. gente che non conosce la magia di Cinecittà o dei vecchi studios americani” [...]» (Enzo D’Errico, ”Corriere della Sera” 12/7/2006).