Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo, la Repubblica 11/7/2006, pagina 25., 11 luglio 2006
"Quella casa in via Nazionale era l´ufficio di Pollari". la Repubblica, martedì 11 luglio Roma. Dice Renato Farina che, nell´attico di via Nazionale 230, è stato più volte
"Quella casa in via Nazionale era l´ufficio di Pollari". la Repubblica, martedì 11 luglio Roma. Dice Renato Farina che, nell´attico di via Nazionale 230, è stato più volte. Dice che quelle undici stanze che i magistrati hanno definito l´«ufficio riservato del Sismi» fossero, in realtà, «la base operativa del Servizio, in cui Nicolò Pollari – gli disse Pollari – andava a lavorare per avere un po´ di tranquillità». Pio Pompa, il funzionario del Sismi, formalmente l´unico inquilino di via Nazionale 230, era la controfigura di Pollari. Dice Farina: «Pollari mi disse: "Pompa sono io". "Pompa è il mio orecchio"». Così gli disse, e come faceva Farina a metterlo in dubbio? Dice Farina di avere ubbidito. Si accordava con Pompa. Era "preparato" da Pompa. Era pagato da Pompa. Trentamila euro in due anni. Sempre in contanti, sempre dietro ricevuta. Qualche volta firmata "Betulla", qualche volta "Renato Farina". Denaro per le spese vive. Gli aerei, i soggiorni. Non che potesse aggravare il giornale, "Libero", dei costi del suo lavoro doppio. Dice Renato Farina che ha cominciato a lavorare per il Sismi nel 1999 in Serbia, durante la guerra, anzi prima della guerra e per evitarla. Aveva allora buoni rapporti con il ministro degli Esteri, Lamberto Dini e soprattutto con Giulio Andreotti, e il governo era di centro-sinistra e il presidente del Consiglio Massimo D´Alema. Dice Farina di aver mediato con Slobodan Milosevic. Dice che corse più di un pericolo, che rischiò la vita, che la salvò per un pelo. Comunque, in quei giorni, nasce il Farina doppio. Il giornalista cattolicissimo e appassionato. L´informatore dell´intelligence militare e reclutatore di fonti. Il sette luglio scorso, venerdì, Renato Farina, assistito dall´avvocato Grazia Volo, vuota il sacco dinanzi ai pm di Milano Romanelli e Civardi. E´ un racconto che pretende di essere la verità, tutta la verità, senza alcun trucco. Dice Farina che, dopo il martedì delle Torri Gemelle - faceva anche il ghost-writer degli articoli di Francesco Cossiga -, Vittorio Feltri gli chiede di incontrare il presidente emerito della Repubblica. Cossiga gli sembra in ambasce. Il presidente ritiene di avere il nome giusto per la direzione del Sismi. Quel nome è Nicolò Pollari. Nell´ambiente politico, non tutti lo gradiscono. Il ministro della Difesa Antonio Martino – soprattutto – non ne è convinto. Si rigira tra le mani il nome di un altro candidato. Il primo incarico di Renato Farina è di darsi da fare per creare una buona immagine del favorito di Cossiga. Fa quel che può. Incontra questo e quello nella maggioranza di centro-destra. Spinge il nome di Pollari che, dice Farina, ancora non conosce. Comunque, Cossiga la spunta. Pollari diventa direttore del Servizio. Farina è soddisfatto, anche se presto si accorge che quell´uomo sta sul gozzo agli americani. Dice Farina che l´ammiraglio La Porta lo introduce a un altro ammiraglio. Se ricorda bene, si chiamava Capra. Quello gli butta lì come la National Security Agency e anche Condi Rice non vogliono sentir parlare di Pollari. Dice Farina che, dopo quel colloquio, decide di spendere una parola con Silvio Berlusconi. Incontra il presidente del Consiglio – un altro per nulla innamorato del generale – per rassicurarlo sulla fedeltà e la capacità del direttore del Sismi. Dice Farina che - era il maggio-giugno del 2004 - si appassiona a quell´uomo. E´ un uomo cattolicissimo o almeno così gli dice di essere. Per Farina è la matta che chiude il gioco, legandolo al destino di Pollari. La prigionia di Stefio, Cupertino e Agliana fa il resto. Fabrizio Quattrocchi viene ucciso in quel modo barbaro e le immagini della sua morte sono custodite nell´archivio di Al Jazeera a Doha. Dice Farina che Pollari gli chiede di raggiungere il Qatar, di nascondersi addosso una piccola telecamera e copiare la sequenza dell´esecuzione che Al Jazeera si rifiuta di consegnare alle autorità italiane. Farina può far valere nell´operazione la sua amicizia ventennale con il capo della redazione esteri del network arabo, Imad El Atrache. Dice Farina di aver avuto molti dubbi. Avrebbe dovuto tradire un amico e ancora non era pronto. Escogita un piano. Perché tradirlo, se è possibile ingaggiarlo? Così, dice Farina, è stato "reclutato" Imad El Atrache. Imad, nato in Libano, decide di darsi come nome in codice "Cedro". Così nasce "Betulla". Se Imad era "Cedro", lui avrebbe scelto un albero della sua terra, la "Betulla". Dice Farina di aver capito che Imad ha bisogno di denaro e lo rifornisce di qualche risorsa. Millecinquecento euro in un´occasione, consegnati in contanti a Doha. Imad diventa il "mediatore" con i terroristi nei sequestri dei cittadini italiani. Si muove da solo, senza più l´intervento di "Betulla". Direttamente controllato e diretto dal Servizio. Il ruolo di Imad diventa decisivo nella liberazione delle due Simone e importantissimo, dice Farina, nella soluzione del rapimento di Giuliana Sgrena. Dice Farina che, in quel periodo, lui lavorava soltanto in Italia. Pio Pompa, l´orecchio di Pollari, gli indicava i casi da seguire. Per Telekom Serbjia, ad esempio, un tale, Sergio Genchi – un tipo che parlava cento lingue e non si sa per chi spia – lo rifornisce di documenti sullo scandalo dell´acquisizione italiana della telefonia serba. Anche Pollari gli faceva direttamente qualche richiesta. Per dire, gli dice di darsi da fare con gli amici sparsi nelle redazioni, per non far pubblicare nelle cronache il nome di Filippo Troja. Sono i giorni in cui Callisto Tanzi, in carcere, racconta le protezioni che hanno accompagnato la sua avventura industriale e finanziaria. E quel nome, Filippo Troja, più o meno il "public relation man" della Guardia di Finanza, è associato nella confessione del patron della Parmalat a quello di Nicolò Pollari, che negli anni felici dell´azienda di Parma, era capo di Stato maggiore della Guardia di Finanza (vedi Repubblica, 13 febbraio 2004, «La grande ragnatela di Tanzi»). E´ però Pompa soprattutto a «dargli lavoro». E´ Pompa che gli consegna quel dossier che dovrebbe inchiodare Romano Prodi agli accordi Europa-Stati Uniti che consentono i voli degli aerei "coperti" della Cia. E´ un falso. Farina lo pubblica. E´ sempre Pompa, dice Farina, che gli chiede di ficcare il naso nell´inchiesta sulle intercettazioni abusive di Telecom. Di saperne di più su quel che ha raccontato ai pubblici ministeri nei suoi interrogatori Emanuele Cipriani, direttore dell´agenzia "Polis d´istinto" che spiava in outsourcing per Pirelli e Telecom. Sempre quel Pompa. Dice Farina che, è vero, si fa «preparare» prima di incontrare e intervistare i procuratori milanesi Ferdinando Pomarici e Armando Spataro. Dice Farina di non averlo fatto con malignità, ma soltanto per poter essere più pronto a rappresentare le tesi del Servizio. Dice Farina di aver incontrato un paio di volte nel "ufficio tranquillo" di via Nazionale Nicolò Pollari. Di aver ricavato la sensazione – più che una sensazione, la convinzione – che tra Marco Mancini e il Direttore le cose non andassero per niente bene. Pollari era molto preoccupato per l´autonomia con cui il direttore del controspionaggio andava facendo il suo lavoro. Non rendeva conto a nessuno o, meglio, non diceva a nessuno, nemmeno a Pollari, che diavolo facesse dei suoi giorni. Ma questo è un incarico che Renato Farina non è riuscito a concludere. Carlo Bonini Giuseppe D’Avanzo