Varie, 10 luglio 2006
CONCUTELLI Pier Luigi
CONCUTELLI Pier Luigi Roma 3 giugno 1944. Ex capo di Ordine Nuovo, condannato a tre ergastoli per l’omicidio del giudice Vittorio Occorsio che negli anni Settanta indagava sull’eversione di destra, e per aver strangolato nel cortile del carcere di Novara due neofascisti, Ermanno Buzzi e Carmine Palladino, ritenuti delle spie. Non si è mai pentito. Il 19 aprile 2011 la pena è stata sospesa per motivi di salute sino al 2 marzo 2013 • «Alle 8 e 30 del 10 luglio del 1976, il giudice Vittorio Occorsio esce dalla sua casa di via Mogadiscio, a Roma. Benché da anni si occupi di terrorismo, non ha la scorta. Scende nel garage, sistema sul sedile posteriore della sua Fiat 125 la giacca e la borsa da lavoro, e parte per il palazzo di giustizia. Dopo pochi metri, all’incrocio con la via Giuba, una raffica di mitra disintegra il parabrezza. Ferito gravemente, Occorsio tenta di aprire la porta dell’auto. Il killer fa pochi passi, si sistema accanto alla fiancata, prende la mira, e spara una seconda raffica, mortale, quasi a bruciapelo. Infine getta all´interno della macchina una manciata di volantini di “Ordine Nuovo”, l’organizzazione neofascista che, meno di tre anni prima, è stata sciolta dal ministero dell´Interno proprio in seguito alle indagini condotte da Occorsio. Trent’anni dopo, il killer, Pier Luigi Concutelli, per la prima volta parla davanti a una telecamera. Ha una lunga e disordinata barba da ergastolano e dimostra più dei suoi 62 anni. Dice che fu lo scioglimento di “Ordine Nuovo” il movente dell’omicidio. “Ci portò purtroppo alla violenza. Bisogna fare qualcosa per fermarli. Signori, si spara! Follia? Era così”. Parrebbe tutto chiaro: una vendetta politica tipica degli anni della strategia della tensione. Da una parte un funzionario dello Stato lasciato solo, dall’altra un gruppetto di neofascisti guidati da un killer esaltato al quale nemmeno la vecchiaia ha portato saggezza. Le cose sono in realtà più complesse [...] Sono complesse al punto che l’omicidio del giudice Occorsio è tuttora considerato uno dei misteri italiani: i mandanti non sono stati mai individuati, né si è mai capito chi avesse informato il commando omicida dell’assenza di una scorta e del fatto che quel 10 luglio era l’ultimo giorno utile per l’attacco perché l´indomani il giudice avrebbe cominciato le ferie. Concutelli non solo non dà spiegazioni (“Se pensa che io risponda - dice all’intervistatore - fa torto alla sua intelligenza, non alla mia”), ma non appare affatto pentito. O se lo è, lo manifesta in modo così criptico e involuto da renderlo incomprensibile: “Ero convinto che la lotta armata fosse necessaria. La sensazione di essere un assassino, uno che fabbrica orfani, uno che arriva a qualsiasi individuo. Sensi di colpa non ne ho, però senso di responsabilità e rammarichi quanti ne vuole. Chi ero io per fare il giudice? Il boia è Dio! Chi ero io! Nessuno”. Il confuso rap di Concutelli è reso leggibile dal racconto dei testimoni. Unanimemente descrivono un magistrato rigoroso e forse proprio per questo odiato dall’estrema destra, che riempiva i muri di Roma di scritte ingiuriose contro di lui, e visto con diffidenza anche dall’estrema sinistra. Un borghese dalla vita semplice e intensa, sposato con una donna che aveva conosciuto da ragazzo, padre di due figli adolescenti, meticoloso organizzatore dei viaggi estivi con la famiglia, al quale la sorte riservò il compito di indagare su alcune delle vicende più oscure di quegli anni. Fin dall’inizio della carriera quando, destinato all’ufficio “reati di stampa”, che di norma s’occupava dei giornali pornografici, s’imbatté (per via della querela per diffamazione presentata dal generale De Lorenzo contro Eugenio Scalfari e Lino Iannuzzi) nel tentativo di golpe del 1964. Con un atto coraggioso e inusuale, lui, il pubblico ministero in aula, chiese l’assoluzione dei giornalisti. “Io stesso - dice a La storia siamo noi il giudice Ferdinando Imposimato - mi sono chiesto: Vittorio Occorsio cos’è? Un antifascista, un comunista, un democristiano? Invece non era nulla di tutto questo, aveva un solo parametro di riferimento, la legge e la difesa della democrazia attraverso il rispetto della legge”. Anche l’inchiesta sulle stragi del 1969 gli arrivò per caso, come sostituto di turno quel 12 dicembre. Fu allora che cominciò a occuparsi dell’estrema destra eversiva e s’imbatté nuovamente in uno Stato che funzionava in un modo diverso da quello che aveva studiato all’università. “All’inizio delle indagini - dice ancora Imposimato - Occorsio subì degli sviamenti e depistaggi da parte dell’Ufficio affari riservati del ministero dell’Interno, da parte di funzionari che poi furono incriminati per depistaggio. Quando si accorse che la pista vera era quella della strage fascista legata al potere, ai servizi segreti, a una parte del potere politico democristiano, allora cominciarono a isolarlo”. Ecco perché il movente della pura vendetta fascista, sostenuto con tanta ambigua ostinazione da Concutelli, ancora oggi appare insufficiente. Dopo lo scioglimento di Ordine Nuovo, Occorsio continuò a indagare. Nel 1975, lavorando su una serie di sequestri di persona avvenuti a Roma, scoprì dei sorprendenti intrecci tra il clan dei marsigliesi, i neofascisti e la massoneria. Interrogò, tra gli altri, un allora pressoché sconosciuto Gran Maestro, Licio Gelli. Qualche giorno prima dell’agguato confidò a un amico giornalista, Franco Scottoni: “Sto lavorando a qualcosa che potrebbe essere clamoroso”. Non aggiunse altro, se non una frase pronunciata, al momento dell’arresto, da Albert Bergamelli, uno dei capi dei marsigliesi: “State attenti a quello che fate, una grande famiglia mi protegge”» (Giovanni Maria Bellu, “la Repubblica” 10/7/2006).