Mario deaglio, La Stampa 7/7/2006, pp. 1-12, 7 luglio 2006
Siamo solo all’inizio. La Stampa, venerdì 7 luglio Si consideri la giornata di un normale cittadino che esce di casa al mattino, va a bere un caffè al bar e compra un giornale; la lettura gli dà il mal di testa ed eccolo entrare in una farmacia per acquistare un antidolorifico e successivamente rientrare a casa con un mezzo pubblico
Siamo solo all’inizio. La Stampa, venerdì 7 luglio Si consideri la giornata di un normale cittadino che esce di casa al mattino, va a bere un caffè al bar e compra un giornale; la lettura gli dà il mal di testa ed eccolo entrare in una farmacia per acquistare un antidolorifico e successivamente rientrare a casa con un mezzo pubblico. In tutto questo insieme di atti assolutamente normali non incontra mai un prezzo di mercato: i prezzi sono di fatto fissati, o fortemente suggeriti, da associazioni locali di categoria, come per il caffè, oppure stabiliti dal produttore senza che il venditore li possa modificare, come per i giornali o le medicine; oppure ancora derivano da normative in genere molto rigide che, come per i trasporti, non tengono conto dell’intensità della domanda. Nessuna di queste norme è di per sé spregevole o irragionevole ma tutte assieme tengono a spegnere l’iniziativa, creare frustrazione e impedire l’adattamento dell’offerta alla domanda, il che crea inefficienza, e quindi riduce la capacità produttiva, traducendosi in un aumento dei prezzi per i consumatori e dei costi per le imprese. Il decreto legge del 30 giugno ha l’ambizioso obbiettivo di cambiare questo stato di cose ed è questo il suo primo elemento innovativo. Esso modifica il significato effettivo del termine «liberalizzazione». Fino a pochi giorni fa, in Italia «liberalizzare» faceva rima con «privatizzare» e implicava, di fatto, la sostituzione di monopoli pubblici con mercati privati di tipo oligopolistico, nei quali pochi competitori si affrontavano, e si rivolgevano agli acquirenti, con regole sovente assai poco trasparenti. Ora «liberalizzare» significa essenzialmente sfoltire le regole e modificarle nel senso della flessibilità e della trasparenza. Il secondo elemento innovativo consiste nel collegamento diretto tra il cambiamento delle regole e la politica fiscale. Si cambiano le regole per consentire un aumento di produzione e quindi un aumento di gettito fiscale in una situazione di bilancio difficile; dal cambiamento, dalla nuova flessibilità e dalla nuova trasparenza il governo si attende infatti un contributo non indifferente al risanamento finanziario e al recupero della competitività del paese. Non fa meraviglia che questa mossa, totalmente inattesa, abbia spiazzato tutte le forze politiche e possa dar luogo a confronti di nuovo tipo nella contrattazione economico-sociale. Queste liberalizzazioni aprono un fronte alternativo nella politica economica e permettono un collegamento tra la natura tecnica dei provvedimenti finanziari e aspetti più generali della vita civile. Da tutto ciò si può concludere che non è possibile fermarsi qui. Il governo ha provocato una grande ondata e deve cavalcarla, è ormai costretto a continuare su questa strada, anche se, per caso, al suo interno qualcuno avesse intenzione di tentennare. L’entità dei mutamenti è dimostrata chiaramente dall’intervento di ieri di Alessandro Ortis, presidente dell’Autorità per l’Energia, che ha parlato della liberalizzazione energetica come «processo incompiuto» e puntato il dito senza mezzi termini contro l’Eni, per molti aspetti un’impresa-modello, accusato di soffocare il mercato con il suo dominio; la richiesta di maggiore chiarezza sui processi di determinazione delle tariffe energetiche, le più care d’Europa, appare ormai difficile da eludere. Ci si può attendere che la pressione per una maggiore trasparenza si faccia sentire in molte direzioni dai prezzi della benzina ai combustibili e alle tariffe pubbliche. Nel sistema distributivo ci si interrogherà sempre di più sulla legittimità dei «prezzi imposti», ossia stabiliti dai produttori, per non parlare degli orari di apertura al pubblico, sui quali le regole hanno già cominciato a cambiare, ma forse troppo lentamente. Nelle professioni saranno guardate con attenzione tutte quelle regole che possono essere interpretate come strumenti per limitare l’accesso ai giovani. Siamo di fronte a un progetto di cambiamento in profondità della vita economica e sociale italiana che non si inquadra nei normali schematismi delle forze politiche. Per essere politicamente accettabile, la flessibilità legata al mercato deve essere introdotta cercando di ledere il meno possibile aspettative legittime, come quella dei tassisti che considerano la vendita della licenza, a fine carriera, come l’equivalente della liquidazione. Per questo, ora che i decreti sono pubblicati è auspicabile una trattativa ad ampio raggio e l’introduzione di adeguate norme transitorie. Se si fosse cominciato con la consultazione delle categorie, anche questa volta come ripetutamente in passato, si sarebbe concluso con un nulla di fatto. Mario Deaglio