Piergiorgio Odifreddi, la Repubblica 6/7/2006, pagina 48, 6 luglio 2006
Il codice indecifrabile. la Repubblica, giovedì 6 luglio Dimmi, dimmi, lettore di trame: qual è il Codice più popolare del reame? L´umanista vecchio stampo, per il quale la realtà coincide con la finzione letteraria, risponderà certamente: Il codice Da Vinci, il romanzo del 2003 di Dan Brown che è stato comprato e letto da decine di milioni di persone
Il codice indecifrabile. la Repubblica, giovedì 6 luglio Dimmi, dimmi, lettore di trame: qual è il Codice più popolare del reame? L´umanista vecchio stampo, per il quale la realtà coincide con la finzione letteraria, risponderà certamente: Il codice Da Vinci, il romanzo del 2003 di Dan Brown che è stato comprato e letto da decine di milioni di persone. Il tecnologo moderno, per il quale la realtà coincide con la sua rappresentazione informatica, risponderà invece: il Codice ASCII, un acronimo che sta per American Standard Code for Information Interchange, «Codice Standard Americano per lo Scambio di Informazione», e che dal 1967 è usato da tutti i computer. Ma la finzione letteraria e la realtà informatica possono anche convergere. Ad esempio, il primo romanzo che Dan Brown ha scritto (nel 1998), benché l´ultimo che la Mondadori ha tradotto (nel 2006), si intitola Crypto e consiste di 128 capitoli: tanti quanti i caratteri originari del Codice ASCII, che assegna appunto un numero da 0 a 127 ai simboli che noi digitiamo sulla tastiera, in modo da digitalizzarli in numeri che il computer poi processa nel suo mondo puramente numerico. E il puzzle finale del romanzo consisteva appunto in una serie di sedici numeri da 1 a 128: precisamente, 128, 10, 93, 85, 10, 128, 98, 112, 6, 6, 25, 126, 39, 1, 68, 78. Per decodificarlo bisognava anzitutto prendere le lettere iniziali dei corrispondenti capitoli, appropriatamente segnalate nell´originale da caratteri giganti, ottenendo l´insensata sequenza: wecgewhyaaiortnu. Poi bisognava notare che le sedici lettere si possono disporre in un quadrato quattro per quattro, e che il risultato si può leggere in verticale invece che in orizzontale (o, se si preferisce, una lettera ogni quattro nella sequenza originaria), ottenendo: «we are watching you», «ti stiamo controllando». Chissà perché, nella traduzione italiana il puzzle è sparito: alla Mondadori non sono riusciti a decifrarlo, oppure temevano che la cosa potesse essere fraintesa come un avvertimento del proprietario, invece che intesa come una finzione dell´autore? In ogni caso, in accordo con il significato della sigla ASCII, il romanzo è una divagazione sul tema del controllo dello scambio delle informazioni in generale, e sul ruolo dell´attività in questo campo della NSA, l´Agenzia per la Sicurezza Nazionale statunitense, in particolare: un problema di vivissima attualità, viste le rivelazioni del The New York Times del 15 dicembre 2005 sul fatto che la presidenza Bush ha «segretamente autorizzato la NSA a spiare, senza mandato giudiziario, americani e stranieri negli Stati Uniti alla ricerca di prove di attività terroristica», praticamente senza restrizioni. Anche se il 27 febbraio del 2000, dunque ben prima del sacrificio della privacy sul fittizio altare della lotta al terrorismo, l´agente canadese Mike Frost aveva rivelato al programma 60 Minutes della CBS che durante la presidenza Clinton la NSA aveva già sistematicamente e illegalmente spiato milioni di conversazioni private dei cittadini. Non che Dan Brown sia stato particolarmente preveggente, comunque. E non solo perché lui stesso ha dichiarato che il suo romanzo è stato ispirato dalla precedente Cospirazione del Giorno del Giudizio di Sidney Sheldon, del 1992. Ma perché è almeno dagli anni ’60 che esiste Echelon, la rete di spionaggio dell´Alleanza Anglosassone (Stati Uniti, Inghilterra, Canada e Australia) che intercetta tutto ciò che c´è nell´aria: conversazioni telefoniche, fax e posta elettronica. E non solo a casa propria, cioè loro, ma anche altrui, cioè nostra: tanto che nel maggio 2001 il Parlamento Europeo ha prodotto un allarmato rapporto su Echelon, incitando i cittadini all´uso della crittografia, e nell´aprile 2004 ha stanziato undici milioni di euro per sviluppare un protocollo di comunicazione sicuro, basato su metodi quantistici. In realtà, che le nostre conversazioni non siano sicure ormai è sotto gli occhi di tutti anche in Italia: e non solo per le intercettazioni legali, che hanno portato a scoprire gli altaroni di molti papaveri, da Fazio e Ricucci a Moggi e Vittorio Emanuele, ma anche per il comportamento illegale della Telecom, che secondo un´ordinanza della Corte d´Appello di Milano del 2 maggio 2006 «ha posto in essere pratiche abusive attraverso l´impiego sistematico di informazioni privilegiate, acquisite in violazione di precisi obblighi». E´ dunque soprattutto il mondo reale, più che la finzione letteraria, a porre sul tappeto due domande complementari. Da un lato, come rendere sicure le nostre conversazioni? E, dall´altro lato, chi controlla i controllori? Sulla seconda domanda, c´è poco da dire. In fondo già Giovenale, che la pose per primo nella sua Sesta Satira sulla donna, l´aveva formulata retoricamente: «Spranga la porta, impediscile pure d´uscire, ma chi controllerà i controllori? Lei è astuta, e comincerà proprio da quelli» (tra parentesi, la soluzione da lui proposta era l´uso degli eunuchi). In ogni caso, è chiaro che il controllo dei controllori delle informazioni non può essere lasciato in mano a gente come Bush, Blair e Berlusconi, che semmai si sono invece rivelati degli istigatori. Meglio dunque rivolgersi alla prima domanda, una risposta definitiva alla quale renderebbe tra l´altro inutile la seconda. Nel suo romanzo Dan Brown propone due sogni complementari, benché mutuamente esclusivi: per i controllori, una macchina in grado di decifrare ogni codice, ovviamente in mano alla NSA; e per i controllati, un codice indecifrabile, altrettanto ovviamente sviluppato da un Robin Hood informatico. Ma come vanno veramente le cose nel mondo reale: quello presente di oggi e, soprattutto, quello futuro di domani? Codici praticamente indecifrabili esistono, e sono basati sul fatto che la moltiplicazione di fattori numerici è un´operazione facile, mentre la decomposizione di un numero in fattori è difficile: in entrambi i casi, nel senso di sapere o non saper essere effettuate in tempi ragionevoli. Il più noto protocollo nel campo è quello chiamato RSA, dalle iniziali dei suoi scopritori nel 1977: Ronald Rivest, Adi Shamir e Leonard Adleman. O meglio, dei loro scopritori pubblici, perché in seguito si è saputo che pochi anni prima il metodo era già stato scoperto da tre ricercatori dei servizi segreti britannici, che per averlo tenuto segreto persero guadagni come i 200 milioni di dollari che Rivest, Shamir e Adleman ottennero dalla commercializzazione del loro protocollo, e onori come il premio Turing per l´informatica, che essi condivisero nel 2002. Che questi codici, indecifrabili in pratica, lo siano anche in teoria, è il più famoso problema aperto dell´informatica. Tutti gli informatici pensano che essi siano indecifrabili in linea di principio sui normali computer elettronici ai quali siamo abituati, anche se nessuno è ancora riuscito a dimostrarlo. Per quanto riguarda gli straordinari computer quantistici, che per ora non sono altro che macchine ideali di carta, le cose stanno diversamente: Peter Shor ha già dimostrato nel 1994 che essi sarebbero in grado di decodificare in tempi ragionevoli il protocollo RSA, e dunque renderebbero obsoleta la moderna crittografia, ma nessuno sa come superare gli ostacoli teorici e pratici, dalla decoerenza quantistica alla nanotecnologia, che si frappongono alla loro costruzione. Anzi, molti dubitano che si potranno mai superare. Per ora, cioè, la NSA non ha affatto una macchina in grado di decifrare ogni codice, e ci sono invece metodi per codificare in maniera impenetrabile gli scambi di informazione, anche se pochi li usano: chi ha qualcosa da nascondere corra allora ai ripari (e chi non ce l´ha, lanci il primo messaggio). La situazione è dunque esattamente il contrario di quella descritta dal romanzo, anche se non dobbiamo aspettarci troppo quanto ad accuratezza scientifica da un romanziere: nemmeno da uno il cui padre era un insegnante di matematica, e che ha lui stesso rivelato nei suoi libri un certo interesse per certi argomenti, sicuramente superiore alla sua conoscenza di essi. Ma non bisogna neppure dimenticare che Dan Brown ha anche senso dell´umorismo. Ad esempio, nel 1994 ha pubblicato un ironico «187 uomini da evitare. Guida per la donna romanticamente frustata», sotto lo pseudonimo di Danielle Brown: un´autrice presentata come «un´insegnante che evita gli uomini», e che identifica come uno dei tipi da evitare «quello che scrive libri di autocoscienza per le donne». Il che lascia presumere che ci sia una buona parte di presa in giro anche nelle sue opere «in chiaro», e che a prenderle troppo sul serio stracciandosi la veste (talare) si rischi di fare una figuraccia, come hanno appunto fatto intere congregazioni di preti, oltre a singoli cardinali. Piergiorgio Odifreddi