Sergio Romano, Corriere della Sera 28/6/2006, pagina 35, 28 giugno 2006
Elena, principessa montenegrina Corriere della Sera, mercoledì 28 giugno Nelle ultime settimane si è parlato del Montenegro, ma non mi sembra che nessuno abbia voluto ricordare ai lettori che il Regno del Montenegro ha dato anche i natali a una nostra regina: Elena, moglie di Vittorio Emanuele III
Elena, principessa montenegrina Corriere della Sera, mercoledì 28 giugno Nelle ultime settimane si è parlato del Montenegro, ma non mi sembra che nessuno abbia voluto ricordare ai lettori che il Regno del Montenegro ha dato anche i natali a una nostra regina: Elena, moglie di Vittorio Emanuele III. Non sono un monarchico, tuttavia penso che queste notizie possano essere molto utili per i nostri giovani che sanno ben poco del nostro passato. Melzo (Mi) Caro Noacco, le cose andarono così. Quando si cominciò a parlare del matrimonio di Vittorio Emanuele, principe di Napoli ed erede della Corona, qualcuno sostenne che occorreva irrobustire la dinastia. Si disse che il principe era piccolo (un metro e cinquantaquattro: così piccolo che fu addirittura necessario abbassare di qualche centimetro, per consentirgli di indossare l’ uniforme, l’ altezza minima dei coscritti) perché vi erano stati, nella famiglia dei Savoia, troppi matrimoni fra cugini. Gli occorreva quindi una moglie bella, sana e di robusta costituzione. Qualche cortigiano si mise al lavoro e raccolse in un album le fotografie di alcune fra le più promettenti principesse europee, fra cui quella di Elena Petrovic-Niegos, figlia di Nicola, principe del Montenegro. Certo non apparteneva a una nobile e antica dinastia. Ma la sua piccola patria aveva coraggiosamente difeso la propria indipendenza contro i turchi e la ragazza aveva avuto una eccellente educazione, con le sue quattro sorelle, nel collegio imperiale delle fanciulle a Pietroburgo. Aggiungo una piccola curiosità storica: il collegio aveva sede nel palazzo Smolnyj, costruito da Bartolomeo Rastrelli, e la sua sala da ballo (in cui Elena dovette certamente passare alcune ore piacevoli) ospitò il congresso dei Soviet durante il quale Lenin annunciò il 7 novembre 1917 (25 ottobre secondo il vecchio calendario russo) il compimento della «prima rivoluzione socialista». Non sappiamo se Vittorio Emanuele abbia visto l’ album preparato dai cortigiani del Quirinale e quali siano state le sue reazioni. Ma sappiamo che i due principi si conobbero alla Biennale d’ Arte di Venezia e che si piacquero. Il matrimonio di convenienza divenne così un matrimonio d’ amore. Fu necessario superare qualche difficoltà d’ ordine religioso perché a Elena, allevata nella religione ortodossa, fu chiesto di abiurare. La cerimonia dell’ abiura e la conversione al cattolicesimo ebbero luogo a Bari, nella chiesa di San Nicola, e suscitarono, a quanto pare, la riprovazione della madre di Elena, che non volle assistere alle cerimonie nuziali. Il matrimonio ebbe luogo a Roma: un rito civile nel palazzo del Quirinale seguito dal rito religioso nella chiesa di Santa Maria degli Angeli in piazza dell’ Esedra. Da quel giorno le pubbliche apparizioni di Elena e Vittorio (lei alta e robusta, lui piccolo e asciutto) divennero il bersaglio favorito dei disegnatori satirici e dei cronisti maliziosi. Ma pochi matrimoni dinastici sono stati altrettanto sereni e felici. I figli furono cinque (Iolanda, Mafalda, Umberto, Giovanna, Maria) e la stirpe, almeno fisicamente ed esteticamente, registrò un considerevole miglioramento. Mentre Elena regnava a Roma la sua patria ebbe una storia tempestosa. Nel 1910 Nicola trasformò il principato in regno e si proclamò re. Ma nel 1918 lo Stato montenegrino divenne una provincia del nuovo Stato jugoslavo e il re spodestato dovette andare in esilio. Il regno rinacque per un paio d’ anni nel 1941 dopo il collasso militare della Jugoslavia, e venne assegnato, con qualche generosa correzione di frontiera, alla corona italiana. Fu così che Elena aggiunse ai suoi titoli quello di regina del Montenegro: una effimera soddisfazione destinata a concludersi con l’ umiliazione della disfatta e la malinconia dell’ esilio. Sergio Romano