Natalia Aspesi, la Repubblica 2/7/2006, pagina 32, 2 luglio 2006
Balenciaga, la memoria perduta. la Repubblica, domenica 2 luglio Se oggi si materializzasse in mezzo alla folla una signora spersa in una specie di tendona da campeggio dai grossi fitti bottoni, con enormi maniche ingombranti e con, sotto l’ immenso cappello rigido di paglia, un viso compunto incattivito dalla propria preziosità, la gente si scanserebbe nervosa e infastidita per l’ anomalia, la stravaganza, l’ arroganza, l’ eccessiva occupazione di spazio
Balenciaga, la memoria perduta. la Repubblica, domenica 2 luglio Se oggi si materializzasse in mezzo alla folla una signora spersa in una specie di tendona da campeggio dai grossi fitti bottoni, con enormi maniche ingombranti e con, sotto l’ immenso cappello rigido di paglia, un viso compunto incattivito dalla propria preziosità, la gente si scanserebbe nervosa e infastidita per l’ anomalia, la stravaganza, l’ arroganza, l’ eccessiva occupazione di spazio. Nel 1951 quella signora non sarebbe mai comparsa in strada se non nell’ attimo in cui, scendendo dalla sua limousine dalla porta spalancata da un autista in divisa, si sarebbe precipitata dentro i saloni profumati del Ritz a Parigi o in qualsiasi altro luogo pomposo riservato, allora, al monde ma anche già al demi-monde. Oppure al numero 10 di Rue George V, dove dal 1937 aveva stabilito il suo atelier il Genio, il Maestro, il Monaco della haute couture, naturalmente Cristobal Balenciaga, il creatore spagnolo diventato leggendario per la sua crudele esigenza di perfezione, tanto da attirare quella scintillante moltitudine di ricchissime signore decise a raggiungere con l’ abito i massimi vertici della lontananza imperscrutabile e della raffinatezza inimitabile: e non importa se i mariti che impassibilmente pagavano quei costosissimi "Cape de dentelle", o "Manteau abuki en soie nervurée rose intense", o la "Robe bustier Ballon" oppure "Chou", cavolo, di costosissimo gazar bouillonnée, inseguivano poi delle simpatiche donnine meno abbigliate e quasi sempre più in carne e più fresche. Balenciaga è morto nel marzo del 1972 a 77 anni, dopo essersi ritirato nella sua Spagna natia, e da allora continua ad essere il faro schivo e praticamente sconosciuto di quell’ arte in via di estinzione (o già estinta?) che è la moda. Ultimamente poi è come se la nostalgia per l’ eleganza e la raffinatezza ormai perdute in quanto obsolete, si fosse concentrata sulla sua nobile figura sfuggente e sulle sue meraviglie creative: tanto che, corsi e ricorsi, recentemente avendo gli stilisti annusato un certo bisogno di ritorno a una ormai inesistente e temuta signorilità, ci si è messi di buona lena a sfogliare le vecchie riviste, le fotografie di Avedon o Horst o Penn, per carpire i segreti, incarpibili, dell’ infaticabile sua invenzione di una manica chimono, di una gonna a palloncino, del collo sapientemente scostato, della famosa linea cocoon, bozzolo. Le mostre poi, si susseguono: se ne è appena chiusa una a Parigi, alla Fondazione Mona Bismarck, intitolata trionfalmente Perfezione condivisa per magnificare i trent’ anni di intesa vestimentaria tra l’ ascetico couturier e l’ avventurosa americana miliardaria plurimaritata, defunta nell’ 83: dove, con l’ appassionata supervisione di un altro grande couturier d’ epoca, Hubert de Givenchy, erano esposti tra l’ altro una quarantina di toilette balenciaghe sfibrate, appassite dagli anni, appartenute alla mai sazia dama, oltre alla collezione personale del fedele e memore Givenchy e a certi famosi abiti da sposa, indossati cupamente dalla regina Fabiola del Belgio o da più misteriose e languide Madame Sonsoles de Llanziol o Madame Elena Salama. Si apre adesso sempre a Parigi, al Musée de la Mode e du Textile, una sontuosa mostra antologica dedicata all’ irraggiungibile icona. Questa volta meno preci aristocratiche e più commercio, visto che l’ inaugurazione cade nei giorni delle sfilate di quel che resta dell’ esangue e pubblicitaria alta moda, e che il curatore è il giovane Nicolas Ghesquière, che dal ’97 lavora per il marchio Balenciaga, adattato ai tempi massicciamente mercantili, oggi di proprietà Gucci, cioè del finanziere Pinault. Anche gli Stati Uniti fremono. E per l’ anno prossimo è prevista una grandiosa Balenciaga e il suo retaggio al Meadows Museum di Dallas che userà come sfondo agli abiti la sua celebre collezione di arte spagnola. Ma chi era CristobalBalenciaga al di là del suo folgorante giro manica che secondo la rivista di settore Dépeche Mode del 1939, avrebbe, allora, rivoluzionato la storia della moda? I ritratti fotografici di Cecil Beaton, Rafael Carpersoro, Henri Cartier-Bresson, Juan Gyenes, Francois Kollar, o quello dipinto nel 1927 da Lipnitzki-Violet mostrano dapprima un impeccabile giovanotto dai capelli scuri impomatati e dallo sguardo caldo e malinconico, in doppiopetto grigio, cravatta a pallini e fazzoletto bianco nel taschino, poi un signore ingrassato con occhiali, dentro un camice bianco, che spilla meraviglie diafane su brutte modelle aristocraticamente legnose, oppure discute con la severissima Madame Claude, sua assistente. La sua scarna biografia, che nulla racconta di piccante o di appena appena interessante, causa il suo assoluto bisogno di privacy che oggi appare del tutto stravagante (vedi gli stilisti che annunciano alla stampa fidanzamenti e divorzi omo), ci dice almeno qualche dato anagrafico: che nacque il 21 gennaio 1895 a Guetaria, paese basco: padre pescatore, mamma, ovvio, sarta. Prima folgorazione, ancora piccino, la visione della marchesa de Casa Torres, elegantissima, che lo turba profondamente non tanto per il fascino, essendo la signora vecchissima, quanto per il frusciare assordante della sua toilette parigina. Fanciullo, il suo destino è segnato ed è la mamma a insegnargli a tagliare e cucire, come nessun suo collega saprà mai fare. A 16 anni apre il suo primo atelier a San Sebastian, a 18 la suddetta marchesa lo invia a Parigi per incontrare Poiret, a 20 inaugura la sua prima maison de couture sempre a San Sebastian, residenza estiva della corte, le nobildonne accorrono. 1931, cade la monarchia, le signore spariscono. 1936, guerra civile, non gli interessa, emigra in Francia. 1937, a Parigi nasce la Maison Balenciaga. Immediato affollamento di miliardarie e celebrità. 1940-44, guerra, occupazione nazista della Francia. Non interessa né a Balenciaga né ai suoi colleghi, Chanel si fidanza con un nazista, gli altri lavorano alacremente per la haute couture collaborazionista. Per amore della moda, anche lui. Anni Cinquanta, siderale trionfo, la maison ha cinquecento dipendenti, gli abiti sono i più cari di Parigi, i più severi, i più minacciosi, i più visionari, per questo le signore, dalla duchessa di Windsor a quelle dame americane dai tanti mariti che poi entreranno nel crudelissimo Preghiere esaudite di Truman Capote, si ordinano vestiti a decine, per non parlare degli indispensabili cappelli: berretti alla Watteau, cache-chignon, capeline canotier, à l’ espagnole, toque Renaissance, pill-box, eccetera. 1956, i giornalisti vengono banditi dalle sue collezioni riservate alle sole clienti e costretti a tornare un mese dopo. Lo fanno, anche dagli Usa, tanto è terrorizzante il suo prestigio. Il mondo cambia, le donne cambiano, cambia la moda: arrivano, massimo ludibrio, il prêt-à-porter, la rivoluzione sessuale, i giovani, la rivolta studentesca, Mary Quant e Biba, il ’68: è troppo per chi è stato paragonato a Zurbaran ma anche a Poulenc, a Schoenberg, a Bunuel. Chiude tutto, e se ne torna in Spagna, a Valencia, dove morirà quattro anni dopo. Zero notizie sulla sua vita privata, però: inaspettatamente, il suo nome appare nell’ Enciclopedia Glbtq (gay, lesbian, bisexual, transgender & queer): «Balenciaga non si sposò mai. Questo fatto, oltre il suo lavoro nella moda, hanno suscitato pettegolezzi sulla sua sessualità. Uomo profondamente riservato, non ha mai parlato pubblicamente di sé». Quindi viene riportata una frase cattiva della collega Chanel: «è ovvio che odi le donne. Guarda come nasconde le camicette sotto le giacche, proprio per enfatizzare le rughe del loro collo». Niente da ridire, visto che non c’ è giorno in cui non si scopra che un grande era gay, ultimo in ordine di tempo il primo ministro vittoriano Benjamin Disraeli, con sospetti anche sul collega e rivale politico William Gladstone (The Politics of Pleasure, autore William Kuhn, Free Press, £ 20). Però tra i pochi suoi amici, lo ricorda affettuosamente Cecil Beaton nel suo diario (Self-portrait with Friends, Penguin Books, pp. 431, £ 4.95): «Cristobal è una persona quieta, calma, anche serena: appena si entra nel suo appartamento si subisce il suo fascino. Non c’ è maggior piacere che stare in sua compagnia». è il febbraio 1960, Beaton, appena arrivato a Parigi, e la sua amica Marie-Louise Bousquet sono invitati a cena dal solitario Balenciaga: lo trovano seduto davanti al camino, come sempre vestito tutto di nero, assorto nei dettagli della morte «non necessaria» di Camus, sul giornale della sera. La casa: pareti verde scuro e grigio pallido arredata nel suo tipico stile audace, pesanti candelabri, alari massicci, un grande blocco di cristallo sul tavolinetto, applique molto semplici, due grandi cespugli di azalee, una bianca e una rosa, in vasi di porfido. Secondo lo schizzinoso Beaton, frequentatore assiduo di grandi famiglie blasonate, «è un fenomeno che il figlio di un modesto pescatore spagnolo, un povero ragazzo con nessuna possibilità di occhieggiare il gran mondo, abbia un simile gusto innato... Il suo appartamento è la prova della purezza della sua visione. Ammette quanto gli piaccia girare per antiquari e scoprire preziosità, eppure le sue stanze sono così spoglie e sgombre che si capisce come ogni cosa sia stata scelta come risultato di una spietata selezione ed eliminazione». Secondo Beaton, che un paio di anni prima aveva disegnato in un baleno i 150 costumi fin de siècle del film Gigi di Minnelli, l’ amico Cristobal impiegava una quantità spasmodica di energia vitale per creare i suoi modelli sublimi: «Ed è per questo che sono così belli, il risultato di profondità di pensiero, intensa concentrazione, anche sofferenza fisica». Finalmente una passione inaspettata: la neve. La montagna innevata, confida il couturier, ha un effetto molto rilassante sui suoi fragili nervi, tanto che ogni inverno deve concedersi almeno una o possibilmente due lunghe vacanze in montagna. Il suo massimo piacere: starsene a letto con le finestre spalancate al freddo e al sole, con ogni lusso necessario a quelle quote, tipo fiori di serra e frutta, croissant e marmellata di ciliegie, caviale e patate calde. E finalmente, Beaton apre un piccolissimo squarcio sui suoi affetti: «L’ amico di Cristòbal, il giovane Ramon, entrò nella stanza con la sua pelle scura e il suo sorriso...». Irraggiungibile, terrore dei suoi collaboratori, per non parlare dei giornalisti inutilmente questuanti una sua parola, uno che sempre si rifiuta di incontrare le clienti anche se coronate, che disprezza il monde privandolo della sua presenza, per non parlare del demi-monde, oggi inseguito sotto forma persino di dive televisive da ogni stilista di successo, è però informatissimo sui più scandalosi potin, gossip, prima che arrivino agli altri. Per dire della sua eroica intransigenza vestimentaria: una volta, facendo uno strappo alla regola, comparve alla prova di un abito principesco che una cliente di massimo rango doveva indossare a un ricevimento epocale. La poverina deliziata dalla sorprendente apparizione gli indicò vezzosa i cambiamenti da lei suggeriti alla vendeuse, i regali pannelli accostati al corpo, e ricoperti da valanghe di ricami costosissimi. In silenzio, l’ oltraggiato creatore strappò l’ abito in pezzi dicendo alla terrorizzata sua collaboratrice: «E tutti quei ricami li pagherà di tasca sua!». Quisquilie tipiche del genio davanti allo sfregio a una sua opera d’ arte, e che non possono intaccare la venerazione che circonda il grande, inimitabile couturier. Quirino Conti per esempio, nel suo bestseller Mai il mondo saprà (Feltrinelli, pp. 371, euro 19.50), gli dedica un capitolo intitolato, solennemente La luminosissima tenebra. E citando Santa Teresa d’ Avila per le abbacinanti visioni del Maestro fatte vestito, ne racconta per pagine e pagine la profonda, audace genialità: «La sua Moda. Autorevole, fiera, virtuosa, casta, come sognata; sfuggente, ardita, eppure anche carezzevole; suadente, languida e appassionata; stupefacente. Al pari di quella genia di sognatori, visionari, veggenti e mistici, alla quale, per consanguineità, Balenciaga apparteneva come nessun altro. E senz’ altra possibilità. Necessitato a quella inflessibile, costitutiva luce, nella materia come nelle forme del suo lavoro. Forse mai niente di più radioso nella Moda». Natalia Aspesi