Varie, 3 luglio 2006
VERONESI
VERONESI Giovanni Prato 31 agosto 1962. Regista. Sceneggiatore. Tra i suoi film: Il barbiere di Rio (96), Che ne sarà di noi (2003), Manuale d’amore (Nastro d’argento 2006 per la sceneggiatura). Nel 94 ha vinto il David di Donatello per la sceneggiatura di Per amore solo per amore, nel 97 il Nastro d’argento per quella de Il ciclone • Nel 2007 grande successo di pubblico con Manuale d’amore 2:« «’Sbalordito” dal successo ma polemico con la critica che ha maltrattato il suo film. Giovanni Veronesi è travolto dal successo - non se lo aspettava così massiccio - del suo film Manuale d’amore 2 [...] il secondo incasso al debutto nella storia del cinema italiano dopo Pinocchio di Benigni. Ma ce l’ha con i critici. ”Sono gli unici interlocutori per i registi e ho sempre desiderato una critica costruttiva per capire invece il mio film è stato bistrattato sull’onda di un pregiudizio. Sono vent’anni che faccio film e sono stato sempre malmenato. Eppure questa volta ho rischiato con temi difficili come i Pacs e la fecondazione assistita. E adesso sono confuso. Ma a ben guardare la critica italiana non ha mai saputo recensire le commedie, basta pensare a Signori e signore, al Sorpasso. Far ridere la gente è un lavoro per niente facile e loro l’ironia non la capiscono. Ma la rivincita me la sono presa [...]”» (Roberto Rombi, ”la Repubblica” 23/1/2007) • «Non è la prima volta che un film non piace alla critica e conquista il pubblico. [...] Eppure il caso di Manuale d’amore 2 (capitoli successivi) ha qualche cosa di emblematico. Perché raramente si era letta una tale identità di vedute negative, capace di accomunare giornali e critici di opposte posizioni ideologiche e cinefile. Ma soprattutto perché in tutte le recensioni si leggeva tra le righe che la colpa numero uno del film era quella di essere piuttosto noioso, lontanissimo dal brio e dalle risate del primo Manuale. E invece non solo i cinema che lo hanno programmato sono stati presi d’assalto, ma alla fine degli spettacoli i volti degli spettatori erano decisamente soddisfatti. Ad alcune proiezioni (per esempio a Milano) è scattato anche l’applauso. Il regista Giovanni Veronesi ha tirato in ballo l’incapacità della critica italiana a capire le commedie. Non ha citato il solito Totò ma ha giocato la carta Fellini e il poco amato Sceicco bianco. Mi sembra che c’entri davvero come i cavoli a merenda. Quella strada porta solo, come è già avvenuto, a ”rivalutare” il peggio del peggio, scambiando la volgarità per coraggiosa trasgressione. No, il discorso va portato su un altro livello, più ambizioso ma anche più preoccupante. Perché mette in discussione la capacità dei critici di parlare lo stesso linguaggio del pubblico. Lasciamo da parte l’appeal della Bellucci (per il pubblico maschile) o l’occhio ceruleo di Scamarcio (per quello femminile). C’erano anche in altri film e non hanno funzionato così. Qui, piuttosto, c’è una evidente sintonia tra la superficialità con cui sono affrontati temi come la fecondazione artificiale, i pacs, i tradimenti pre e post matrimoniali e lo schematismo con cui quegli stessi argomenti sono trattati da chi ”fa” opinione. Si tratti di televisione, posta del cuore o microfoni aperti, tutto si riduce a posizioni contrapposte, a battute, a affermazioni senza vero contraddittorio. E se funziona così nella vita reale (perché i mass media sono la nostra vita reale) perché non dovrebbe funzionare al cinema? La critica (e qui parlo a titolo personale, ovviamente) dovrebbe far capire come un certo argomento, per popolare che sia, può essere trattato dal cinema in tutte le sue potenzialità. Dovrebbe confrontarlo con altri film, fare paragoni, sottolineare coerenze o incoerenze, leggere cose non dette. Ma queste cose non interessano più. La televisione, ma anche certa letteratura, certa pubblicità, certo giornalismo ci fanno credere che superficiale e schematico è bello e giusto. Perché non dovrebbe esserlo anche al cinema? Perché sforzarci di chiedere di più ai ”gay” Rubini e Albanese se persino due ministri, uno in carica e l’altro ex, accettano di discutere dell’argomento in tv, accanto a loro e agli altri interpreti? Altro che Sceicco bianco...» (Paolo Mereghetti, ”Corriere della Sera” 23/1/2007).