Note: [1] Marco Marozzi, la Repubblica 1/7; [2] Antonella Rampino, La Stampa 1/7; [3] Monica Guerzoni, Corriere della Sera 1/7; [4] Sergio Romano, Corriere della Sera 1/7; [5] Angelo Mastrandrea, il manifesto 30/6; [6] Francesco Grignetti 1/7; [7] Giovann, 1 luglio 2006
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 3 LUGLIO 2006
Venerdì il governo ha approvato all’unanimità in 22 minuti il decreto per il rifinanziamento della missione italiana in Afghanistan. «Abbiamo chiarito e definito ogni aspetto», è stato il commento di Prodi. Meno entusiasti sette degli otto senatori dell’Unione che mercoledì avevano annunciato pubblicamente il loro dissenso (Fosco Giannini, Claudio Grassi, Gigi Malabarba, Franco Turigliatto di Rifondazione, Fernando Rossi dei Comunisti italiani, i verdi Mauro Bulgarelli e Loredana De Petris): «Se il decreto non verrà cambiato, con un esplicito riferimento ad una exit strategy il nostro voto al Senato sarà no». [1] Il trozkista Malabarba: «Andare a parlare con Prodi? E che ci vado a fare? Prima, dovrebbe smettere di fare una politica estera di destra, dovrebbe». [2] Il verde Bulgarelli: «Dove sono gli elementi di discontinuità che avevamo chiesto nella lettera a Prodi?». [3] Sergio Romano: «La parola ”discontinuità”, molto usata negli scorsi giorni dai partiti della sinistra massimalista, non mi piace. Ho l’impressione che dietro di essa si debbano leggere soprattutto le esigenze di forze e gruppi che vogliono, per considerazioni di identità politica e coerenza ideologica, diluire il carattere atlantico della missione e sconfessare, a posteriori, la guerra afgana». [4]
Per il movimento pacifista più volte sceso in piazza in questi anni se non siamo ancora ai tempi della «guerra umanitaria» in Kosovo, poco ci manca. Angelo Mastrandrea: «Perché se nessuno si fa molte illusioni sui ”riformisti” del centro, a essere nel mirino è soprattutto la sinistra radicale, in particolare il Prc che ha fatto della svolta non violenta, del rapporto con i movimenti e del no senza se senza ma alla guerra e al liberismo gli assi portanti della sua politica recente. Da qui i tormenti e i conflitti di coscienza da una parte e dall’altra, parlamentari che per otto volte consecutive hanno votato no alle truppe in Afghanistan e popolo arcobaleno che ha supportato la battaglia nelle piazze. E oggi?». [5]
I soldati italiani in Afghanistan sono 1275 (875 a Kabul, 400 a Herat) a cui vengono burocraticamente aggiunti anche i 95 avieri di stanza a Abu Dhabi (organizzano i voli di rifornimento da e per l’Afghanistan). L’apporto italiano alla missione internazionale Isaf (che fa capo alla Nato) è basato sul 2° Reggimento alpini, con l’integrazione di alcune sezioni specializzate (comando di contingente; Multinational Engineer Group; una compagnia per la protezione del Quartier generale di Isaf; una compagnia Nbc, un nucleo di polizia militare, un plotone carabinieri di circa 30 militari).[6] Marco Marozzi: «Il decreto prevede, oltre che le misure per l’Afghanistan, il rientro pieno delle truppe dall’Iraq ”entro il termine ultimo dell’autunno” e la proroga di tutte le 29 missioni nel mondo. Lo stanziamento complessivo è di 488 milioni di euro: 17,5 per interventi umanitari in Afghanistan e nel Darfur, mentre i fondi per la cooperazione in Iraq saliranno da 22,9 a 33,5 milioni. L’Italia non invierà gli aerei Amx nell’ex regno dei Taliban - come chiedeva la Nato». [1] Il ministro della Difesa Arturo Parisi: «Sarebbero importanti, ma non necessari, e poiché la sinistra radicale ne fa un punto dirimente, lasciamoli fuori». [7]
Da qui al 17 luglio, quando il tutto sarà discusso al Senato per arrivare poi al voto (non prima del 23), l’Unione sarà investita dal dibattito su pace e guerra. Antonella Rampino: «I riformisti dell’Unione non vogliono arrivare a dover porre la fiducia sulla prima importante prova di politica estera, e sperano anche nel voto positivo della Cdl. La sinistra sospetta che si cerchi di cambiare maggioranza in corso. E il centrodestra, a sua volta, non è messo meglio. L’Udc di Casini voterà Sì al decreto del governo: ma una parte dei suoi parlamentari giura che è solo per aprire meglio le contraddizioni nel fronte avverso, mentre i folliniani lo faranno per senso di responsabilità istituzionale». [2] L’anti-bertinottiano (matrice cossuttiana) Grassi: «Ci troviamo con quelli dell’Udc che voteranno con noi. normale? No, lo dico io a Romano Prodi. Non è normale». [8]
Cossiga ha scritto una lettera aperta a Rutelli pubblicata sul Corriere della Sera di sabato: «Vorrei che tu ti ricordassi che senza i voti dei pacifisti, degli anti-americani, degli anti-atlantici, di coloro che sentono ancora il coraggio, e li rispetto, di dirsi comunisti e non hanno buttato nel secchio della socialdemocrazia, come da te e da me da tempo auspicato, il ricordo di sessant’anni di lotte, e anche dei ”no-global” e dei ragazzi che per ira contro la sinistra sono arrivati ad urlare e recentemente a scrivere sui muri: ”Dieci, cento, mille Nassiriya!”, voi, L’Ulivo e L’Unione, non avreste vinto le elezioni». [9]
Michele Serra ha scritto nella sua ”amaca” di sabato che «la coscienza, come la tiroide, è una ghiandola a rischio di ipertrofia»: «Con una differenza decisiva, però: che mentre i casi di ipertiroidismo mettono a repentaglio solo la salute dei loro portatori, i casi di coscienza sovente hanno il difetto di scaricare i danni sulle persone circostanti. esattamente quanto si è rischiato in questi giorni: la coscienza di otto persone ipercoscienti minaccia di distruggere il fegato di una ventina di milioni di elettori di centrosinistra, i quali (dopo quello che hanno passato nella precedente legislatura) davvero non vorrebbero che il governo Prodi finisse in cocci per una disputa sulla quantità di derrate da spedire al contingente di pace italiano a Kabul». [10]
Franca Rame, senatore dell’Italia dei valori, ha espresso i suoi tormenti sul Corriere della Sera di sabato («sto vivendo il periodo più angosciante della mia vita»): premesso che «a guidare la missione non è più l’Onu ma la Nato», che «tutto questo ci costa sempre più anche in termini economici», che «si parla di 250-300 mila morti in Afghanistan di cui almeno l’80 per cento di civili», ha concluso che lo scopo di questa guerra non è la liberazione dell’Afghanistan dai talebani ma l’occupazione di un Paese «al crocevia tra Medio Oriente, Asia centrale, meridionale e orientale. In quest’area si trovano le maggiori riserve petrolifere del mondo». Messe così le cose, non si capisce come potrà votare per il rifinanziamento. [11]
Era prevedibile che la politica estera avrebbe costituito il periglioso banco di prova per il governo. Enzo Bettiza: «Il ministro della Difesa Parisi, che non è certo un guerrafondaio, ha denunciato la crisi intestina provocata da Comunisti dilibertiani, Rifondatori e Verdi evocando addirittura un possibile ”ritorno alle urne”. D’Alema ha detto dal suo canto che ”è in gioco la credibilità della maggioranza”: metafora edulcorata per non dire che è in ballo la tenuta stessa del governo di cui egli è il numero due». [12] Andrea Lavazza: « triste constatare come in qualche circostanza - oggi la missione militare in Afghanistan - la fotografia della nostra vicenda partitico-istituzionale sia l’equivalente di un modesto ”bigino” delle scuole superiori. Qual è lo scopo della politica? Per Machiavelli (e per l’opinione generale, si direbbe in questo caso) è l’utile dello Stato; per Guicciardini (e per le singole forze in Parlamento) il proprio particulare. Sintesi grossolana, certo, ma efficace». [13]
I vertici dell’Unione non credono che i senatori pacifisti attueranno la minaccia di far cadere il governo alla prima prova della politica internazionale. Può essere che abbiano ragione, ma le dichiarazioni di Malabarba non sono incoraggianti: «Per me possono andare al diavolo tutti quanti. La politica dell’Unione e il suo Programma sono uno specchietto per le allodole. Il decreto di Palazzo Chigi non conta nulla». Bulgarelli: «L’unico che può far qualcosa è Prodi: deve riceverci, e con noi anche Gino Strada, che può spiegargli come stanno davvero le cose a Kabul». [2] Parisi: «Se Emergency può agire a Kabul è grazie alla protezione dei militari». [3] Romano: «Occorre andare incontro ai bisogni della società afgana e dimostrare con l’assistenza umanitaria quale sia lo spirito della nostra presenza nel Paese. Ma il principale obiettivo oggi è quello di evitare che l’Afghanistan cada nuovamente nelle mani dei talebani, dei signori della guerra e dei narcotrafficanti. Non vorrei infine che qualcuno pensasse di assegnare al corpo di spedizione italiano compiti esclusivamente assistenziali. Quando un Paese partecipa a un’operazione congiunta non può lasciare agli altri i compiti più pericolosi. Non sarebbe nell’interesse della nostra politica e nuocerebbe all’immagine dell’Italia nel mondo ». [4]
Quanto tempo servirebbe per riconquistare credibilità all’interno delle assise internazionali, anche nell’esprimere posizioni moderate, se venisse bocciato il rifinanziamento delle missioni all’estero? Lavazza: «In questa prospettiva è legittimo chiedere a Prodi, consapevole della risicata e divisa maggioranza su cui può contare al Senato, perché non abbia ”aperto” a una convergenza concordata su alcune grandi decisioni legate al ruolo italiano nel mondo. Inutile negare che forti divergenze, culminate con la lacerante presenza in Iraq, separino Unione e CdL in tema di diplomazia, ma la missione a Kabul era stata appoggiata da gran parte di Margherita e Ds, con voti conseguenti, almeno fino alla guerra contro Saddam. Prevale invece la volontà di non ”contaminare” la purezza della maggioranza con l’appoggio esterno, seppure circoscritto a un singolo episodio». [13]
Le truppe in Iraq possono essere richiamate senza problemi, ma quella afghana è una missione Isaf. Rampino: « come chiedere l’uscita dalla Nato...». Grassi: «E allora dicessero alla Nato che l’Italia vuole lasciare l’Afghanistan...». [2] Mastrandrea: «Nel ’99 la Grecia, ”pur rimanendo membro della Nato, seppe dire no all’invio di truppe in Kosovo”. Dunque, conclude Emergency, ”massimo apprezzamento per chi antepone la coerenza morale e istituzionale a qualsiasi genere di convenienza”. In primis agli otto senatori ”obiettori” che hanno dichiarato che loro la mozione per il rifinanziamento non la voteranno, caschi il mondo. Il mondo non cascherà ma il governo forse sì, è l’obiezione del direttore di Liberazione Piero Sansonetti». [5] Massimo Franco: «Il centrodestra è pronto a far passare il rifinanziamento, in nome di una politica estera ortodossa, opposta ai ”cedimenti” prodiani al pacifismo. Significherebbe un cambio di maggioranza e la crisi del governo». [14]