CorrierEconomia 29/05/2006, pag.8 Dario Di Vico, 29 maggio 2006
La storia di Eugenio Cefis il partigiano bianco che ha fatto nascere la leggenda dei poteri forti. CorrierEconomia 29 maggio 2006
La storia di Eugenio Cefis il partigiano bianco che ha fatto nascere la leggenda dei poteri forti. CorrierEconomia 29 maggio 2006. Se si nomina Enrico Mattei il primo nome che viene in mente subito dopo è Eugenio Cefis. Ma mentre ancora di recente la pubblicistica sul primo è di una ricchezza incredibile e continuano ad uscire o ad essere annunciati libri e lavori sulla sua figura, di quello che è stato prima il suo più stretto collaboratore e poi il suo successore alla testa dell’ Eni si sa tutto sommato ancora poco. un caso in cui gli interrogativi, o se vogliamo le leggende, prevalgono. una figura ancora avvolta nel mistero e gli storici avranno il loro da fare per venire a capo di alcuni quesiti rimasti insoluti. Cefis è scomparso due anni fa a 82 anni e una delle disposizioni che ha lasciato alla segretaria e assistente che lo ha seguito per una vita, Franca Micheli, è stata quella di distruggere il suo ricco archivio privato. La ricerca della massima privacy è stato del resto per il successore di Mattei un chiodo fisso tanto da far sua la battuta di un altro gelosissimo custode dei suoi segreti, Enrico Cuccia, che amava dire: «Non fa niente se un manager va a caccia di donne, guai però se parla con i giornalisti». Ho conosciuto Eugenio Cefis nel 2002 e mi è capitato di incontrarlo diverse volte nel suo studio di Lugano o in quello milanese di via Chiossetto. Sono stati lunghi colloqui ai quali ha partecipato un ex manager Eni, l’ ingegner Camillo D’ Amelio, a cui Cefis era rimasto legato sia dal punto di vista professionale che umano. Le lunghe discussioni che avemmo con Cefis sugli anni della vita partigiana, sulla nascita dell’ Eni e il rapporto con le Sette Sorelle, sulla scalata della Montedison e i rapporti con Cuccia furono condensati poi in un progetto di lunga intervista che spaziava da Mattei fino agli anni dell’ Italia berlusconiana. Il testo fu a lungo rivisto dallo stesso Cefis sempre con la fattiva collaborazione dell’ ingegner D’ Amelio. Per volere dell’ anziano manager solo una parte dell’ intervista sarebbe dovuta uscire con lui ancora in vita, la seconda mi disse «la pubblichi solo quando io sarò morto». Così è stato e sul Corriere della Sera del 6 e 7 dicembre 2002 uscirono in due puntate i ricordi di Eugenio Cefis su Mattei. La seconda parte dell’ intervista è inedita e ve la proponiamo in due puntate. Per onestà va detto subito che non ci sono scoop o rivelazioni sensazionali, si tratta però sicuramente di un documento che può essere utile per chi vorrà scrivere la storia di un’ epoca del nostro capitalismo. Del resto la figura di Cefis ha alimentato le ricostruzioni e la fantasia del giornalismo economico. Nasce con lui la definizione di «razza padrona» e in fondo è stato proprio l’ ex comandante partigiano ad essere individuato come il primo dei poteri forti, una personalità all’ intreccio tra economia e politica capace di condizionare gli assetti del Paese. A Lugano Cefis si era trasferito nel 1977 quando, sorprendendo tutti, si dimise da presidente della Montedison a soli 56 anni e tornò a fare l’ imprenditore, in Canada e in Italia dedicandosi molto alla casa d’ aste Finarte che amava molto. Fino all’ ultimo conservò forte il senso del comando che gli era stato inculcato dall’ esperienza partigiana quando i partigiani bianchi arrivavano a contendersi a fucilate con i rossi di Cino Moscatelli i lanci aerei yankee. «Lavorando fianco a fianco con i militari americani capii che solo uno sprovveduto come Mussolini poteva mettersi in guerra contro l’ America», ebbe a dire raccontando la vita sulle montagne in attesa dei rifornimenti di armi (ma anche di cioccolata e persino di preservativi), che venivano lanciati con il paracadute. «Una volta un quadrimotore calò addirittura una macchina da scrivere richiesta da loro comandante ed ogni settimana arrivava, lanciata sempre con il paracadute, la posta dagli Usa». In montagna nasce il rapporto con Mattei e così, finita la guerra, «fondammo con il 50 per cento ciascuno una società in comune, una piccola azienda chimica che produceva materie plastiche e lavorava l’ urea. Fu Cefis, nome di battaglia Alberto, a presentargli (a Cefis veniva da dire «mettergli a disposizione») uno dei politici più brillanti che l’ Italia abbia avuto, Giovanni Marcora, il cui nome di battaglia da partigiano non a caso era Albertino. «Quando morì Ezio Vanoni, Mattei rimase scoperto politicamente. Allora partendo dal niente Marcora fondò la corrente della Base. Aveva in ogni comune una persona fidata per il tesseramento. E la Dc di Milano si trovò che la Base era diventata maggioranza». Mattei volle coinvolgere Cefis nell’ avventura Eni. «Mi chiese: "Mi puoi dare una mano per seguire almeno alcune attività Snam?". Nel frattempo Enrico era stato convinto dall’ ingegner Zanmatti della certezza che a Cortemaggiore ci fosse del gas metano». Ma oltre a reclutare persone a lui vicine il presidente dell’ Eni seppe porsi in maniera adeguata e professionale il compito di formare una nuova classe dirigente, i mitici corsisti Eni. «L’ amministratore delegato Mincato è uno di quelli - ricordava Cefis -. Lo vedi da come si muove, ha lo stampino dei corsisti di Mattei». Non sempre però le idee di Cefis e Mattei collimavano, per esempio sulla chimica. Cefis amava dire che «noi italiani siamo un popolo di navigatori, non di chimici. L’ industria chimica non nasce come il radicchio dalla mattina alla sera. Richiede una scuola come del resto ce l’ avevano tedeschi, inglesi e americani. L’ Italia non ha tradizioni eccezione fatta per la giovane scuola di Natta alla Montecatini». Dall’ Eni, Cefis se ne andò 4-5 volte e almeno in venti occasioni aveva minacciato le dimissioni. Raccontava di aver iniziato a collaborare alla Snam come vicepresidente incaricato di seguire acquisti, appalti e la produzione di contatori gas a Talamona, «un impiego di qualche pomeriggio alla settimana». Nel giro di pochi mesi l’ incarico si era esteso all’ Anic, poi all’ Agip Mineraria, poi ad altri settori e con la creazione dell’ Eni si manifestò la necessità di lavorare a tempo pieno a Roma. «In quegli anni - mi disse Cefis - avevo comprato una tenuta di caffè in Tanzania e in quell’ occasione avevo conosciuto Cuccia». Un incontro che si rivelerà fondamentale e che Cefis raccontava così. «All’ Eni lavoravano due dirigenti italiani, il dottor Bartolotta e l’ ingegner Campanini, che erano andati in Africa con l’ Impero, là erano stati catturati e fatti prigionieri dagli inglesi assieme anche a Cuccia. Bartolotta mi disse che Cuccia mi voleva conoscere e così ci incontrammo. Lui mordeva il freno perché diceva "lei lavora solo con l’ Imi e con Mediobanca niente". Io ancora non conoscevo Mediobanca e poi i soldi allora le banche ce li tiravano addosso». Il sodalizio con Cuccia durerà per anni. Sarà il banchiere siciliano molti anni dopo a insistere presso Cefis perché comprasse azioni Montedison e porre le premesse per il blitz che avrebbe portato l’ Eni (pubblica) a condizionare l’ azienda privata di Foro Bonaparte e poi Cefis a trasferirsi armi e bagagli dall’ una all’ altra sponda. Un’ avventura che non fu delle più fortunate, causa prima lo shock petrolifero che sconvolse i prezzi, rese impossibile il risanamento e spinse la dirigenza Montedison ad avviare una gestione finanziaria aggressiva. Nel ’ 77 però Cefis lasciando Foro Buonaparte spiazzò tutti e lo stesso Cuccia, che ne rimase fortemente contrariato. «Mi ha lasciato solo come un birillo tra le bocce», disse e proseguì «caro dottor Cefis, pensavo che lei facesse il golpe e invece se ne è andato». Ma di che tipo di golpe parlasse il grande vecchio della finanza italiana non è affatto chiaro. Un golpe militare in senso stretto o più probabilmente un rovesciamento dei rapporti tra industria pubblica e privata, una sorta di commissariamento dell’ establishment? Vicinissimo alla Dc e a uno dei suoi capi più longevi, Amintore Fanfani, anticomunista ma rispettoso della forza del Pci e del prestigio dei suoi capofila, Cefis amava ricordare anche i suoi rapporti con il mondo politico laico. In particolare con Ugo La Malfa di cui rammentava l’ abitudine di passare qualche giorno di vacanza a Stresa. «Nuotando a rana», raggiungeva Cefis ad Airolo sempre sul Lago Maggiore «prendeva il caffè e tornava indietro». In campo socialista al conflitto aperto che lo oppose a Giacomo Mancini l’ ex presidente dell’ Eni metteva come contraltare le ottime relazioni che aveva avuto con Francesco De Martino. Quanto all’ ipotesi che pure aveva ampiamente animato le cronache dell’ epoca che lo stesso Mattei un giorno o l’ altro sarebbe entrato direttamente in politica l’ opinione di Cefis era che non gli interessasse. Il Mattei visto dal suo successore era un uomo che «amava le realizzazioni» e non i cerimoniali di stato, «il risultato operativo» piuttosto che le burocrazie politiche. Dario Di Vico