Corriere della Sera 25/06/2006, pag.29 Sergio Romano, 25 giugno 2006
L’Italia entra in guerra nel 1940: ipotesi e realtà. Corriere della Sera 25 giugno 2006. Sulle motivazioni che avrebbero spinto Mussolini a entrare in guerra ho letto, nel tempo, diverse ipotesi
L’Italia entra in guerra nel 1940: ipotesi e realtà. Corriere della Sera 25 giugno 2006. Sulle motivazioni che avrebbero spinto Mussolini a entrare in guerra ho letto, nel tempo, diverse ipotesi. Non considererei quella più o meno ufficiale e francamente ormai poco credibile delle «poche migliaia di morti» per sedere al tavolo delle trattative. Un’altra ipotesi, che avrebbe forse sviluppato Renzo De Felice se non fosse scomparso prematuramente, vedrebbe Inghilterra e Francia spingersi a chiedere l’intervento italiano per alleggerire le richieste tedesche quando si fossero sedute al tavolo della pace, visto che la guerra, dopo l’invasione della Francia, sembrava avviarsi alla conclusione. Recentemente ho letto invece di un possibile interesse americano all’entrata in guerra dell’Italia in funzione anti-inglese. La sostanza è che l’intervento italiano avrebbe spostato gli equilibri nelle aree del Mediterraneo e mediorientale a sfavore degli inglesi, dando così modo agli americani di giocare, in particolare in Medio Oriente, un ruolo decisamente più importante (una sorta di guerra su commissione). Tutto ciò si sarebbe basato su supposte (o reali?) più che buone relazioni tra Italia e Usa, che addirittura sarebbero durate sino a tutto il 1941. Tale ipotesi potrebbe essere coerente col concetto di «guerra parallela» propugnato da Mussolini nelle prime fasi del conflitto? Gian Piero Manini - Milano Caro Manini, so che Renzo De Felice, instancabile ricercatore di documenti, credette nell’esistenza di un carteggio Churchill-Mussolini e non disperò mai di scoprirlo. Ma non credo che si aspettasse di trovare in quelle lettere una sorta di patto segreto concepito a Londra e a Parigi per un dopoguerra meno tedesco di quello che Hitler stava progettando a Berlino. Sulle ragioni per cui Mussolini decise l’intervento e sui rapporti dell’Italia con la Gran Bretagna nella primavera del 1940 esistono studi accurati, difficilmente contestabili. In un libro pubblicato in Italia da Corbaccio («Cinque giorni a Londra») John Lukacs ha rievocato le riunioni che il Gabinetto di guerra britannico tenne in maggio con la partecipazione, tra gli altri, di Churchill e Halifax. Quest’ultimo, allora ministro degli Esteri, propose un passo diplomatico che avrebbe conferito all’Italia, di fatto, il ruolo di potenza mediatrice. Autorizzato dai colleghi, ebbe il 26 maggio un lungo colloquio con l’ambasciatore d’Italia Giuseppe Bastianini. Gli disse che la Gran Bretagna era pronta a esaminare «le questioni politiche esistenti fra i due Paesi» e dichiarò di essere personalmente pronto a entrare «in maggiori dettagli sulle questioni che avrebbero dovuto essere risolte con soddisfazione delle due parti, nel pieno riconoscimento delle reciproche giuste necessità». Non basta. Lo stesso Churchill (Primo ministro dal 10 maggio) aveva scritto a Mussolini il 16: « troppo tardi per impedire che un fiume di sangue scorra tra il popolo britannico e il popolo italiano?». A questi messaggi che gli giungevano da Londra Mussolini non dette mai una risposta diretta. La risposta sostanziale fu quella che indirizzò a Hitler per annunciargli che l’Italia sarebbe entrata in guerra il 5 giugno (la data venne poi rinviata di 5 giorni) e avrebbe messo in campo 70 divisioni «perché non sono gli uomini a mancarle»: un testo che rimarrà a lungo nel libro nero della storia nazionale. Quanto agli americani, gli storici hanno documentato le iniziative con cui Roosevelt tentò di impedire l’intervento dell’Italia. Vi fu un viaggio del sottosegretario di Stato Sumner Wells a Roma e vi fu più tardi una missione di Myron Taylor, rappresentante personale del presidente degli Stati Uniti presso Pio XII. Né l’una né l’altra sortirono alcun risultato. Per un momento, probabilmente, Mussolini sperò che la resistenza francese gli avrebbe permesso di restare alla finestra ancora per qualche tempo. Ma il crollo della Francia lo convinse che l’Italia, se non fosse entrata in guerra, avrebbe perduto una storica occasione. Le interpretazioni a cui lei fa riferimento nella sua lettera, caro Manini, hanno generalmente una paternità interessata. Risalgono ad ambienti che tentano da sessant’anni di assolvere Mussolini dalla maggiore colpa della sua carriera politica. Sergio Romano