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 2006  giugno 30 Venerdì calendario

Libero 30 giugno 2006. Come cambierebbe la vostra percezione della guerra, se scopriste che la possibilità di subire una morte violenta è del 50% più alta per un abitante della città campana di Caserta che per un civile che vive nell’odierno Iraq? O che un americano che risiede a Washington o a Detroit rischia l’omicidio fino a tre volte di più del suo omologo di Baghdad, e uno della Colombia o di Rio de Janeiro quasi cinque? Cominciate ad abituarvi all’idea, perché è tutto vero

Libero 30 giugno 2006. Come cambierebbe la vostra percezione della guerra, se scopriste che la possibilità di subire una morte violenta è del 50% più alta per un abitante della città campana di Caserta che per un civile che vive nell’odierno Iraq? O che un americano che risiede a Washington o a Detroit rischia l’omicidio fino a tre volte di più del suo omologo di Baghdad, e uno della Colombia o di Rio de Janeiro quasi cinque? Cominciate ad abituarvi all’idea, perché è tutto vero. Lo dimostrano le statistiche sulle stragi irachene, compilate dai più citati osservatori indipendenti, quando vengono messe a confronto con le corrispondenti tabelle sul numero dei crimini violenti nei nostri Paesi occidentali. I documenti ufficiali, facilmente accessibili da chiunque, pure su internet, confermano inequivocabilmente una tesi che ci ha sempre ispirato nei precedenti reportage dall’Iraq: l’immagine di una terra in fiamme, dove non esiste più la minima parvenza di vita normale, è l’ennesimo frutto di una distorsione mediatica. Che soltanto svelando le nude cifre si riesce a riportare nella giusta prospettiva. Come ha finalmente tentato di fare, in un suo recente intervento al Congresso Usa, anche un primo membro dell’establishment, il deputato repubblicano dell’Iowa Steve King. Partiamo subito dalle cifre. Della contabilità quotidiana sui morti civili iracheni, che non si riduca a un mero sondaggio, si occupano pochissimi enti, tutti non governativi e filopacifisti. Quelli riconosciuti come i più attendibili a livello internazionale sono due: ICasualties e Iraqi body count (Ibc), ai quali va aggiunto il più serio studio accademico, dal titolo Iraq Index, della prestigiosa Brookings Institution. Secondo il gruppo di ICasualties, negli ultimi 12 mesi (31 mag 2005 /31mag 2006) sono morti in modo violento a causa della guerra 8528 civili iracheni. Ossia, considerato che in Iraq vivono 28.5 milioni di persone, una media di 29.9 ogni 100.000 abitanti. Analizzando i dati del solo 2005, i caduti annuali risultano un po’meno, 7831: 27.4 su 100.000. Una conferma incrociata viene dal consuntivo dei risarcimenti pagati l’anno scorso dagli americani alle famiglie colpite, appena svelato dal Boston Globe: 25 milioni di dollari per circa 8000 vittime. Solo leggermente più alta invece la media di Ibc, calcolata sull’intero periodo dell’occupazione occidentale. Dall’1 maggio 2003 al 5 giugno 2006 si conterebbero almeno 30.942 morti civili, 33.7 ogni 100.000 abitanti. Su per giù la cifra ammessa da Bush il 12 dicembre ’05 a margine del World affairs council di Philadelphia, comprensiva però dei primi 42 giorni di bombe. Quanto infine all’Iraq Index, i ricercatori della Brookings delineano una forchetta con un minimo di morti accertati e un massimo di decessi molto probabili. Il periodo analizzato va dall’1 maggio 2003 alla fine di febbraio 2006, e conta tra 11.585 e 20.243 vittime, per una media oscillante tra i 14.3 e i 25.7 ogni 100.000. Ma senza un termine di paragone questi numeri dicono poco. Occorre commisurarli con la media di morti violente nel resto del mondo. E qui arrivano le sorprese, Italia in testa. Secondo gli ultimi dati del Censis, del Coordinamento presso il ministero degli interni e del rapporto 2005 ’L’omicidio volontario in Italia’ di Eures e Ansa, ad esempio nella città di Caserta si sono verificati 30 omicidi ogni 12 mesi tanto nel 2004 che nel 2003. Con una media di ammazzamenti ogni 100.000 abitanti pari a 40.54. Ossia fra 13 e 26 punti sopra quella irachena. Eppure non pare che in questi anni la città campana sia mai stata dichiarata zona di guerra. E neanche nel 2001, quando la media x 100.000 fu di 35.13. Sempre nel 2004 la media registrata a Reggio Calabria ha segnato 19.4 (35 omicidi), nel 2001 era del 23.8. E ancora, nel 2003 la media di Foggia, con 32 uccisioni, è stata di 20.6. Nella stessa Napoli, con 116 omicidi solo tra gennaio e novembre 2004, si è sfiorato il 12, appena due punti sotto la stima irachena più sicura. Certo, poca roba rispetto alle media partenopea del 1982 (24 x 100.000), o palermitana del biennio ’82-’83 (36.6, con 500 morti per mafia). Mentre una percentuale di morti violente analoga alla stima di Brookings (14), la si registrò guarda caso nell’intera nazione l’anno dopo la fine del secondo conflitto mondiale, nel 1946. In effetti in altre zone del globo va molto peggio. A cominciare proprio dalle megalopoli americane. Stando al Crime Report del Dipartimento della Giustizia, tra 2002 e 2004 la capitale degli Usa, Washington, ha registrato una media di 40.8 morti per 100.000 abitanti, con una punta del 45.9: dal doppio al triplo che in Iraq. New Orleans nel 2004 ha viaggiato sui 56, Detroit sui 42. A seguire Baltimora con 37, St.Louis 33, Atlanta e Oakland 26, Philadelphia 22, Chicago 15.5 e Dallas 20.2. Il fondo si tocca però in un’altra America, quella del sud. A S.Paolo del Brasile si consumano 10.000 omicidi l’anno, 62.5 ogni 100.000 abitanti, senza che i nostri giornali gli dedichino una riga. E a Rio salgono a 65. Per l’ultimo rapporto Onu sul crimine, in Colombia, dove pure vivono 15 milioni di persone più che in Iraq, la media è di 61.7. In Sud Africa (11 milioni in più) del 49.6. Mentre nel paradiso jamaicano tocca i 32.4 e nel Venezuela i 31.6. Persino nell’enorme Russia, con una popolazione 5 volte quella irachena, il tasso supera i 20 morti ammazzati x 100.000: una strage da quasi 29.000 morti l’anno che nessuno si sogna di dipingere come una guerra. Va detto che da queste statistiche, per un paragone omogeneo con le stragi di civili iracheni, andrebbero sottratti i caduti tra le forze dell’ordine. Tuttavia si tratta di episodi marginali, che pesano sul totale intorno all’1%, e dunque non modificano il quadro. Tornando alle vittime irachene, lo scarto tra i vari conteggi si spiega con altrettante differenze nel metodo di raccolta dei dati. ICasualties calcola tutti i civili morti ammazzati senza distinzioni. Brookings solo i morti civili causati da atti di violenza legati alla guerra. Mentre Iraq body count include una serie di decessi indiretti, dagli omicidi criminali per il venir meno di un’autorità, agli incidenti stradali con mezzi della Coalizione a quelli molto diffusi di fuoco celebratorio (salve di kalashnikov al cielo). Fino alle morti da inquinamento degli acquedotti o da ordigni inesplosi. I primi due enti compilano le loro tabelle incrociando i comunicati di Centcom, Dipartimento della difesa Usa, Forza Multinazionale e Difesa britannica, con fonti irachene, mediatiche e di Ong. Inoltre l’Iraq Index è frutto di una scrematura dei casi dubbi raccolti da Ibc. Il quale monìtora unicamente fonti giornalistiche, fissando un numero minimo di vittime al netto delle più macroscopiche discrepanze tra i media. Ai vari totali andrebbero peraltro sottratti per onestà intellettuale i civili fatti fuori dai ’fratelli’ della resistenza (almeno il 46% secondo Lancet). Se poi si scorporassero alcune roccaforti molto circoscritte del triangolo sunnita, statisticamente il resto del Paese somiglierebbe alla Scandinavia. Con un record di zero morti civili nel 2005 proprio nel Dhi Qar ’italiano’, rispetto ai 75 omicidi del 2004 in una regione con popolazione analoga come la Sardegna. Comunque sia la sostanza non cambia: l’elenco di morti civili iracheni nell’era post Saddam, per quanto doloroso, in termini assoluti non è altissimo. La prova del nove la troviamo nella lista dei danni collaterali durante la guerra vera, dal 19 marzo al 30 aprile 2003: in 42 giorni morirono sotto le bombe -le stime stavolta coincidono- oltre 7300 civili. Per una media, questa sì di stampo bellico, di 222.9 morti violente ogni 100.000 iracheni, dieci volte più di oggi. www.laltrogiornale.com