Panorama 29/06/2006, Marco Bonarrigo, 29 giugno 2006
Così la scienza studia il calcio. Panorama 29 giugno 2006. Stadio Meazza di San Siro, Milano: durante le partite di Inter e Milan dell’ultimo campionato di calcio c’erano 40 telecamere puntate sul campo di gioco
Così la scienza studia il calcio. Panorama 29 giugno 2006. Stadio Meazza di San Siro, Milano: durante le partite di Inter e Milan dell’ultimo campionato di calcio c’erano 40 telecamere puntate sul campo di gioco. Trentaquattro riprendevano il match da ogni angolazione, a uso degli spettatori televisivi; sei telecamere avevano un compito diverso, seguire centimetro per centimetro lo spostamento di tutti i giocatori in campo, raccogliere migliaia di dati al secondo su traiettorie, velocità, accelerazioni di ciascun atleta. Un’immensa mole di dati che un gruppo di ricercatori italiani, da quasi due anni, sta elaborando con uno scopo: codificare la metodologia per dare una connotazione scientifica a quella che è considerata la più empirica delle discipline sportive. Insomma, rendere oggettivo il calcio. Tema attuale in tempi in cui le potenzialità di certe squadre sembrano dipendere più dagli interessi di procuratori disinvolti che da criteri atletici. La Match performance, così si chiama questo settore di indagini, servirà per esempio dopo i Mondiali per valutare in modo accurato il rendimento dei giocatori e risolvere eventuali casi dubbi. «Il calcio non è una scienza perfetta» ha ricordato Jens Bangsbo, il più importante ricercatore a livello internazionale nel settore, «ma la scienza può aiutare il calcio». Uno sport complesso da codificare. Durante una partita un giocatore corre, cammina, salta, modifica i suoi comportamenti in funzione degli avversari, subisce le decisioni arbitrali. Inquadrare azioni così articolate in un modello matematico è difficile. I primi tentativi di elaborare una scienza nota come «match analysis» risalgono a oltre vent’anni fa. Lo scopo era creare, con gli strumenti della cinematica, un modello di comportamento del calciatore che ne riassumesse le caratteristiche atletiche: quanto corre, per quanto tempo? E a quale velocità? Dopo quanto tempo è stanco? Altre domande: quali fasce del campo occupa? Come si muove in rapporto all’avversario che lo marca? Quanto correttamente è in grado di mantenere la posizione assegnata dall’allenatore?. «La svolta» dice Ermanno Rampinini, che con Franco Impellizzeri si occupa di scienza del calcio all’Human performance laboratory Mapei di Castellanza, «è stato disporre di sistemi di videoanalisi di tipo automatico». La Sics di Bassano del Grappa (Vicenza) è una delle poche agenzie informatiche in Europa a effettuare questo genere di analisi. Tra i suoi clienti ci sono Milan, Inter e Parma, e grandi network televisivi. «Il sistema video» spiega Michele Crestani, ingegnere responsabile del laboratorio, «registra in automatico, ogni 25° di secondo, la posizione di ciascun giocatore grazie a una rete di puntatori virtuali che ne riconoscono e memorizzano gli spostamenti». Un software trasforma le immagini in dati numerici e i tecnici inseriscono, con comandi vocali, gli elementi tattici non rilevabili in automatico, come i tempi di possesso di palla o la natura del singolo gesto atletico: un passaggio va discriminato da un lancio in profondità o da un tiro a rete. «Ventiquattro ore dopo il match possiamo consegnare ai responsabili tecnici della squadra un’analisi completa della partita sotto forma di grafici e tabelle» aggiunge Crestani. Fin dalla nascita il calcio ha delegato ogni valutazione sulla prestazione del singolo all’esito della partita, al giudizio dell’allenatore o dei giornalisti sportivi. Da una decina d’anni anche i calciatori sono sottoposti a test di valutazione funzionale, in p a r t e mutuati d a g l i sport di resistenza, come i protocolli che valutano le capacità lattacide, in parte originali, come lo yoyo test che mette l’atleta alla prova con sforzi intermittenti per simulare meglio le caratteristiche del gioco. Che informazioni in più offre la match analysis? «In primo luogo» risponde Rampinini «si può valutare oggettivamente la prestazione. La videoanalisi di un match quantifica con esattezza quanto un atleta abbia corso. Se distanza e velocità sono inferiori alle medie abituali, il problema è fisico e va risolto a livello medico o di allenamento. Ma se distanza e velocità sono soddisfacenti, la questione diventa di tipo tattico: o il giocatore non ha interpretato bene il suo ruolo o l’allenatore l’ha disposto male in campo. Questo tipo di analisi ci ha permesso di scagionare alcuni preparatori atletici, accusati di avere lavorato male. La videoanalisi ha mostrato che le colpe dell’allenatore erano preponderanti». Un ulteriore sviluppo tecnologico potrà portare a disporre di questi dati in tempo reale. Per capire, per esempio, il momento in cui un libero incaricato di spaziare sulle fasce non è più in grado di tenere una velocità elevata nelle ripartenze. A quel punto l’allenatore potrebbe decidere per una sostituzione o un cambiamento di posizione dell’atleta affaticato. Dall’analisi emergono dati che confermano aspetti acquisiti a livello intuitivo, e altri non ipotizzabili a tavolino. Un giocatore di alto livello percorre in media 11 km a partita, ma un difensore può coprire il 15 per cento in più di un attaccante. Un centrocampista può dover effettuare quattro volte più sprint a caccia della palla di una punta, ma la punta è in grado di sprintare molto più a lungo del suo collega. Durante la gara, poi, è raro che un giocatore corra alla massima velocità per più di 3 minuti, e quasi sempre tiene la palla per un tempo complessivo inferiore ai 2 minuti. La match analysis mostra anche come le prestazioni atletiche del secondo tempo siano strettamente influenzate da quelle della prima metà della partita. Chi corre troppo o troppo forte all’inizio poi deve rallentare. In questo senso un incontro di calcio non è molto diverso da una maratona e un corretto dosaggio delle energie è basilare. «Ma le cose più interessanti dal punto di vista scientifico» continua Rampinini «riguardano aspetti poco studiati in passato. L’analisi delle velocità medie di corsa ci ha permesso di scoprire che nei 15 minuti di gioco dopo l’intervallo i calciatori lavorano a intensità piuttosto basse. Una motivazione attendibile è che, nel periodo di riposo, la temperatura del muscolo si abbassi e poi fatichi per tornare a regime. Per risolvere il problema abbiamo raccomandato agli allenatori di far effettuare ai giocatori un miniriscaldamento prima di rientrare in campo. La cosa sembra funzionare, anche se va contro le abitudini dei calciatori, che preferiscono il riposo». Le potenzialità del sistema sono massime quando si tratta di studiare il comportamento complessivo di una squadra, valutandone globalmente sia l’aspetto tattico sia quello atletico. «Abbiamo scoperto che la prestazione tattica ottenibile da una squadra è strettamente correlata con quella fisica degli avversari» afferma Rampinini. «Affrontare una squadra con giocatori in grado di correre di più costringe il team più debole a giocare molto al di sotto delle proprie possibilità. In caso di netta disparità di forze fisiche e condizione, è quindi meglio schierare giocatori in migliore condizione atletica e meno bravi che buoni talenti che però sono fuori forma». Marco Bonarrigo