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 2006  giugno 29 Giovedì calendario

Così il padre gli tolse la corona. Panorama 29 giugno 2006. Vittorio Emanuele di Savoia non è principe e meno ancora principe ereditario

Così il padre gli tolse la corona. Panorama 29 giugno 2006. Vittorio Emanuele di Savoia non è principe e meno ancora principe ereditario. Ha scelto da sé di non essere principe. In Lampi di vita (Rizzoli) nel 2002 dichiarò di essere il primo «ad accettare che in Italia ci sia la repubblica, e non più la monarchia». Da allora lo ha detto e ripetuto centinaia di volte, lasciando di stucco tanti monarchici convinti che le sue dichiarazioni siano finte, uno stratagemma. Invece Vittorio afferma che «un partito monarchico non ha ragion d’essere» e sa che la Repubblica non riconosce titoli nobiliari. Por ta il cognome «di Savoia», con i diritti e doveri di ogni altro cittadino. Ma se lo ricorda sempre? Comunque sia, molto prima di rinunciare a essere principe Vittorio Emanuele cessò di essere erede al trono. Accadde nel 1970, quando sposò Marina Doria Ricolfi, di famiglia borghese, contro la volontà del padre, Umberto II, in violazione delle norme che regolano casa Savoia come ogni altra famiglia regale. Da quando partì per l’esilio, il 13 giugno 1946, alla morte, il 18 marzo 1983, Umberto II non abdicò mai. Spettava solo a lui stabilire la successione. Escluse il figlio e quindi il nipote, Emanuele Filiberto. Rimase l’affetto paterno, con molte preoccupazioni. Ma questo è un fatto privato. Affinché non ci fossero dubbi, alla morte Umberto II fece chiudere nella propria bara il sigillo reale. A deporvelo, il 24 marzo 1983, fu la sua segretaria privata, Maria Luisa Rabbia. La principessa Maria Gabriella, che era presente, ricorda che per motivi di sicurezza la chiusura iniziò solo dopo la partenza di Juan Carlos di Spagna. Vide nettamente il sigillo. In quel modo Umberto II fece capire che con la sua morte finiva la monarchia dei Savoia-Carignano. Ma perché Umberto II volle con sé il sigillo? Presto detto. Il 15 dicembre 1969 Vittorio Emanuele scrisse un incredibile «decreto» col quale dichiarò decaduto il padre e si proclamò re d’Italia. Con un secondo «decreto» conferì il titolo di duchessa di Sant’Anna di Valdieri, un paesino montano del Cuneese, alla moglie Marina. Una vera follia. Il re morente volle impedire che il sigillo cadesse nelle mani del figlio che l’avrebbe usato per avallare chissà quali pretese. Nella convocazione del capitolo dell’ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro a San Paolo fuori le Mura, in Roma il 27 maggio 2006, Vittorio Emanuele si è definito «principe ereditario». Di che cosa? Mah, del gioco delle tre carte, direbbero a Napoli. Neppure Emanuele Filiberto ha alcun diritto dinastico. Del «principino» si dice che dovrebbe soprattutto evitare di scrivere sciocchezze. Per esempio, in Sognando l’Italia (Gremese, 1998) sostiene che «Gesù aveva in simpatia le puttane, anche perché nella sua (di Gesù) famiglia ce n’erano state parecchie». Chissà se in Vaticano hanno letto bene gli scritti di Vittorio e di suo figlio, gran maestro e gran cerimoniere di un ordine religioso-cavalleresco con vistoso crocione sul mantello rosso? Da tanti anni le loro pretese sono solo una leggenda. Finita male. Niente principe, dunque, né pretesa eredità al trono. Solo incetta di quote, molto terra terra. Aldo A. Molà