Il Sole 24 Ore 25/06/2006, pag.7 Marco Niada, 25 giugno 2006
La città della generazione perduta. Il Sole 24 Ore 25 giugno 2006. Glasgow. La distanza tra Paradiso e Inferno è misurabile in un miglio, poco più di un chilometro e mezzo
La città della generazione perduta. Il Sole 24 Ore 25 giugno 2006. Glasgow. La distanza tra Paradiso e Inferno è misurabile in un miglio, poco più di un chilometro e mezzo. Contrariamente all’iconografia, non la si percorre in verticale, sprofondando sottoterra, ma semplicemente camminando. L’importante è trovare il punto di partenza: Argyle Street, la via commerciale di Glasgow, in Scozia, centro pulsante e opulento, ricco di caffè e raffinate boutiques, simbolo della riscossa di una grande città decaduta. Il punto d’arrivo è il sobborgo di Calton, il luogo in cui l’uomo bianco, occidentale ed europeo, fatica a sopravvivere. Per arrivarci, basta andare sempre dritti verso Est, finché Argyle Street cambia nome in Trongate, una sorta di Purgatorio con negozi anonimi, come in molte cittadine britanniche, per poi arrivare al bivio tra London Road e Gallowgate: le colonne d’Ercole oltre le quali si estende la Città Dolente. Man mano che si procede, i passanti vestono in modo sempre più dimesso e si diradano, mentre si iniziano a vedere le prime saracinesche abbassate, in fila come occhi assonnati. Imboccata London Road, i negozi sono quasi tutti sprangati, non si sa se per mancanza di clienti, per l’incuria dei commercianti o per la loro scomparsa. Gli unici esercizi aperti sono i pub e qualche miserrimo spaccio alimentare. Uno di questi espone una lavagna con una lista di piatti caldi a una sterlina (un euro e mezzo). Le vie sono deserte e regna un silenzio desolante. Ciò che più colpisce è la trasformazione antropologica della popolazione, che pare di un altro mondo: la gente è più minuta, smunta, con gli occhi segnati. Gli uomini hanno spesso la faccia gonfia e la barba incolta e le donne, praticamente tutte, vestono tute da ginnastica. Tutti sembrano vagare senza meta, piuttosto che seguire un percorso definito. I graffiti regnano e uno, ripetuto all’ossessione, ci ricorda che siamo a "Tongland", il regno della gang giovanile dei Tongs. Calton è uno dei sobborghi più degradati di Glasgow, che ospita a sua volta tre quarti dei quartieri più poveri della Scozia. A Glasgow, Calton è in buona compagnia con altri ghetti come Dalmarnock, Easterhouse, Pollock, Hamilton Hill, Bridgeton, Kinning Park e Drumchapel. Un arcipelago di miseria dove vive gran parte delle 110mila persone "economicamente inattive" di una città di 577mila abitanti, la cui popolazione è stata brutalmente dimezzata da una traumatica deindustrializzazione partita a metà degli anni Sessanta. Tra i ghetti di Glasgow, Calton è l’epicentro statistico dell’Inferno per alcuni record negativi, sicuramente inglesi, probabilmente europei. La speranza di vita maschile alla nascita è di 53,9 anni, una quindicina in meno che in Iran, Iraq o nella Striscia di Gaza. Il tasso di mortalità è di 1.475 persone per 100mila. Il 52% della gente fuma rispetto alla media nazionale del 25 per cento. Alcolismo e droga dilagano. Il 44% dei 6.238 abitanti, meno della metà rispetto ai 15mila di una ventina d’anni fa, vive di sussidi e oltre il 25% soffre di malattie croniche. Tutti hanno un tetto, nessuno muore di fame, di sete, o di freddo: un paradiso rispetto alle baraccopoli del Terzo Mondo. Ma, come notava dopo una visita a Easterhouse la giornalista indiana Mari Marcel Thekaekara, c’è un’importante differenza: "Qui gran parte della gente non lavora da oltre vent’anni ed è demotivata, depressa e alcolizzata. Mentalmente ed emotivamente sta peggio dei poveri in India". Secondo i conservatori, i ghetti di Glasgow sono la prova che il welfare laburista non funziona. Glasgow è da decenni un feudo del labour, è la roccaforte che ha resistito alla carica darwiniana della Thatcher. ovvio che i Tory si prendano una crudele rivincita contro questo gigantesco "carcere del welfare". "un fatto - rileva Ronny Convery, portavoce dell’arcidiocesi cattolica di Glasgow che ci accompagna in questo viaggio - che qui la disoccupazione dura anche da tre generazioni: dopo la scuola dell’obbligo il 20% dei giovani di Glasgow scivola in una notte sociale fatta di sussidi, droga e crimine. Si adatta a un modo di vivere che non segue le normali regole del mondo occidentale, come alzarsi al mattino, lavarsi, vestirsi e andare al lavoro". Piantata in mezzo a Calton come una missione, un Fort Alamo della misericordia cristiana, c’è la chiesa di St. Mary The Assumption. Il parroco, Peter Smith, 47 anni, un uomo affabile e paffuto con alle spalle una lunga militanza in ghetti come Pollock e Hamilton Hill, è qui da tre anni. Un’eternità a giudicare dalle esperienze che racconta: la Chiesa ha subìto dodici rapine con scasso, più una rapina in canonica sotto i suoi occhi. "La storia più buffa - ricorda divertito il parroco - mi è capitata alcuni mesi fa. Avevo appena finito di celebrare messa ed ero salito in casa da cinque minuti quando ha suonato alla porta un poliziotto. In mano aveva la cassa delle offerte con il piedestallo ancora attaccato. Aveva beccato un giovane che trascinava faticosamente il mobiletto per strada dicendo di averlo trovato". Poi ci sono le tensioni con la comunità protestante, le minacce, le sassate e le marce "orangiste", "una ventina per stagione", che passano intonando canzoni di sfida. St. Mary, ricorda con orgoglio padre Peter, è stata la seconda Chiesa cattolica riconsacrata in Scozia dopo la Riforma, seguendo a ruota il Duomo di Glasgow. La data di nascita è il 1842. Ma quel che più conta, è stata la culla della squadra di calcio del Celtic, fondata da padre Wolfred nel 1888 "con lo scopo di raccogliere denaro per i poveri e offrire un’attività ricreativa agli abitanti della zona". Una popolazione in massima parte di immigrati irlandesi, arrivati nell’Ottocento per lavorare nell’industria della ceramica e dell’acciaio. Furono gli anni del boom demografico con gravi problemi sanitari dovuti al sovraffollamento. Dal dopoguerra, in maniera più accentuata dagli anni Sessanta è iniziato lo spopolamento. "Una deindustrializzazione rapida e massiccia - prosegue padre Smith - che in vent’anni ha decimato una classe operaia le cui capacità manuali nell’industria e nella cantieristica erano diventate inutili. I pochi lavori rimasti rendevano meno dei sussidi del welfare e in vari nuclei familiari due o tre maschi si sono trovati di colpo senza lavoro. La disoccupazione è stata una strada obbligata". Da allora è divenuta uno stile di vita. "Dopo venti anni senza lavoro - sottolinea padre Smith - la gente è oggi incapace d’iniziativa e vive nell’abbandono. Al punto che ci sono bambini mantenuti dai nonni perché i figli non sono in grado di provvedere al sostentamento della famiglia. Una generazione perduta, che fatica sempre più a comunicare con il resto della società. E per quanto possa sembrare paradossale, mentre l’economia di Glasgow riparte e il lavoro ritorna, sotto la forma di nuove professioni, il divario si allarga". Qui a Calton il progresso, più che un’opportunità, viene vissuto come una minaccia. Marco Niada