Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2006  giugno 29 Giovedì calendario

TURIGLIATTO

TURIGLIATTO Franco Rivara (Torino) 13 dicembre 1946. Politico. Nel 2006 eletto al Senato con Rifondazione Comunista, fu uno di quelli che il 21 febbraio 2007 fecero cadere il governo Prodi (mozione sulla politica estera). Nel 2008 capolista al Senato in tutte le regioni del movimento trotzkista Sinistra Critica • «[...] Lui è convinto di aver fatto bene a non partecipare al voto, nonostante le conseguenze devastanti della sua scelta. ”E non accetto - dice - di diventare il capro espiatorio della crisi di questo governo, che è tutta legata alla sua politica suicida e non al mio dissenso personale”. ”Penso che le scelte del mio partito siano in profondo contrasto con il nostro programma politico - aggiunge - e con gli impegni presi in campagna elettorale. Ricordo che sull’Afghanistan e sulla base di Vicenza nel programma dell’Unione non c’era niente, per cui la supposta fedeltà alla coalizione semplicemente non esiste”. Nulla ha potuto, per convincerlo, la replica di D’Alema: ”Non ha cambiato la sostanza. E quello che la maggioranza che il centrosinistra e tutto il centrodestra vuole è contro l’opinione dell’elettorato italiano e contro la rivolta di un’intera città”. In Piemonte, i vertici del partito lo condannano senza appello. Il segretario regionale Alberto Deambrogio giudica il suo comportamento ”assolutamente non condivisibile, ben oltre la legittima espressione del dissenso: gli esiti saranno nefasti”. Ciò che Turigliatto ha voluto esprimere disertando il voto - aggiunge Deambrogio - è chiaramente in contrasto con le linee politiche generali del Prc. Ancora più duro è il segretario provinciale Gianni Favaro: ”Un matto, anche se vorrei ricordare che era in compagnia di altri quattro matti. Cinque singoli matti. Davvero sono convinto che sul piano politico ha sbagliato tutto”. Se voleva manifestare il suo dissenso e ribadire la sua coerenza, ”Turigliatto avrebbe potuto votare a favore e dare le dimissioni dopo, oppure dare le dimissioni prima per consentire ad un altro di votare al suo posto”. Nella sede torinese di Rifondazione il dibattito è acceso. I maligni dicono che il gesto di coraggio di dimettersi per tornare al suo ruolo di portaborse conquistato dopo anni di precariato in politica, in realtà nasconde la consapevolezza che prima o poi a casa sarebbe andato comunque. Se il ricorso della Rosa nel Pugno avrà buon esito, al suo posto potrebbe arrivare Marco Pannella. E addio Senato. I compagni della ”Sinistra critica” (il 15 per cento a Torino all’ultimo congresso contro un 6,5 nazionale), reagiscono disgustati: ” una persona che mai ha anteposto i suoi interessi agli ideali”, dice Gianna Tangolo, ex-capogruppo del Prc in Provincia. Anche lei ha dato di recente le dimissioni in dissenso con la politica di mediazione su temi come l’ambiente o la Tav: ”Al suo posto avrei fatto esattamente la stessa cosa, nessun dubbio. Non si può dimenticare chi abbiamo il mandato di rappresentare. Così non si andrà molto lontano”. Quasi un’eco delle profezie romane di Turigliatto: ”Il governo non andrà lontano se continuerà a voltare le spalle a chi lo ha votato”. Il consigliere regionale Sergio Dalmasso assolve il compagno di tante battaglie sul lavoro: ”Franco si è sempre occupato di lavoro e davanti alle fabbriche ha fatto la sua campagna elettorale. Ha scelto liberamente, non voglio dare giudizi, né positivi né tantomeno negativi. Sono convinto che la sua sia stata una decisione molto sofferta. Da rispettare”» (Sara Strippoli, ”la Repubblica” 22/2/2007) • «[...] Uno che in politica è arrivato dal basso: la passione lo prende nel 1966, sull’onda della morte di Paolo Rossi, lo studente socialista ucciso negli scontri con i giovani di destra alla Sapienza. Poi gli anni da dirigente della Lega comunista rivoluzionaria in cui condannava ”L’Italia braccio armato della Nato nel Mediterraneo» (25 marzo 1983 ma sembra ieri), un passaggio in Democrazia proletaria, fino alla nascita di Rifondazione dove diventa responsabile lavoro per il Piemonte. Lavoro, morti bianchi, rapporti saldi con i movimenti anti Tav del Val Susa e poi, per induzione, di Vicenza. Per i compagni un pedigree perfetto. Con tanto di padre operaio, madre casalinga, figlio 27enne precario, un fratello esperto di cinema che collabora con Enrico Ghezzi a Fuori orario. Unica dissonanza una moglie che lavorava alle Nazioni Unite che però nel frattempo è diventata ex. Un uomo di partito. Che anche grazie al partito (sotto forma di concorso riservato allo staff dei consiglieri) ha conquistato il posto fisso in Regione alla soglia dei 60 anni ed ora ha il salvagente dell’aspettativa. Ma che alla disciplina di partito non si è piegato, resistendo a tre assalti. La riunione con il gruppo la sera prima (’sono stati commoventi i loro sforzi”) che gli ha fatto passare una nottataccia in bianco nel suo appartamento di Trastevere. Una telefonata, tutt’altro che commovente, del segretario Franco Giordano: ”Mi chiama solo per dirmi che se cade Prodi arriva l’apocalisse”. E poi un incontro a quattr’occhi con Vannino Chiti, in cui chiede a D’Alema di fare ricorso al vocabolario della prima repubblica. ”Non pretendo – spiega a Chiti – che D’Alema dica la base non si fa. Basta annunciare una pausa di riflessione e un dialogo vero con il popolo della pace”. Nella replica del ministro degli Esteri non c’è traccia di pause di riflessione: ”Andreotti l’avrebbe detto. Ma lui è più scafato, questi mi sembrano dilettanti allo sbaraglio [...] Non sono pentito. Rivendico il mio diritto a votare secondo coscienza su tutto, specie su cose che non sono del programma dell’Unione, come l’Afghanistan e Vicenza” [...] Vorrebbe dedicarsi alle rose della casa paterna vicino a Pratiglione: ”Ne ho centinaia, quando le poto ci metto tre giorni. Le mie preferite sono quelle inglesi dell’inizio 800. Sentisse che profumo”» (Lorenzo Salvia, ”Corriere della Sera” 22/2/2007).