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 2006  giugno 29 Giovedì calendario

Rossi Fernando

• (Ferdinando) Portomaggiore (Ferrara) il 3 settembre 1946. Politico. Ex senatore. Del Pdci, uno di quelli che il 21 febbraio 2007 fecero cadere il governo Prodi (mozione sulla politica estera) • «Armando Cossutta ha le parole più dure: “Stai facendo una cosa enorme, quelle di cui c’è da vergognarsi per tutta la vita”. Strattona il “traditore” Fernando Rossi nell’aula del Senato, l’anziano leader comunista. Dai banchi vicini volano insulti, “bastardo” il più mite, e una rassegna-stampa che però sbaglia bersaglio e colpisce allo zigomo Loredana De Petris, dei Verdi, accorsa anche lei a convincere il ribelle, ex Pdci, ora battitore libero, a votare per D’Alema e la politica estera del governo. [...] Vero che Rossi è ormai un transfuga dal Pdci, ma Manuela Palermi la capogruppo al Senato gli grida: “Irresponsabile, str...”. Sul forum di Officina comunista, l’associazione di cui è coordinatore, fioccano gli insulti dei compagni della base: “Grazie Rossi, sei un genio della politica, mi vergogno di essere marchigiano”; “Sei un vero stratega del proletariato, complimenti, duro e puro, o tutto o niente. Niente”; “Vergogna”. Armando Cossutta riflette a voce alta “Dovranno vergognarsi anche quelli che hanno fatto eleggere Rossi quando nessuno lo voleva”. S’intende, Diliberto non può lavarsene le mani. “Quei due sono degli irresponsabili, li disprezzo profondamente”, taglia corto la Palermi. Alla sede del Pdci telefono in tilt e il centralinista Bernardo: “È stato cacciato sei mesi fa, non cercatelo qui”) (Giovanna Casadio, “la Repubblica” 22/2/2007) • «[...] La colpa, secondo lui, è di D’Alema. “Ma chi glielo ha fatto fare di dire che, senza maggioranza, si andava tutti a casa? Bastava fare due conti per sapere che la maggioranza non c’era”. Ferdinando Rossi detto Fernando è un uomo di ferro. Subito nell’aula del Senato (“Sei uno stronzo» gli ha gridato Manuela Palermi del Pcdi-Verdi) e poi via telefono e fax da tutta Italia, è stato riempito di insulti. “Sei un venduto. Passerai alla storia come il primo senatore che si è fatto eleggere dal popolo della sinistra per poi passare con le destre di Berlusconi e Fini”. Lui, Fernando Rossi, classe 1946, il senatore che non ha votato la mozione del centro sinistra, non batte ciglio. “Io non mi sento in colpa e non sono certo pentito. Lo sapevano che mi sarei astenuto. Se anche io e Turigliatto avessimo votato a favore, avremmo fatto pari e patta e non ci sarebbe stata comunque maggioranza”. Il fatto interessante è che, dopo il disastro, il senatore ex Pdci, ora impegnato in un gruppo che si chiama “Officine comuniste”, dichiara di essere “preoccupato per la crisi”. “Speriamo che la chiudano presto”, dice. Ma Prodi è salito al Quirinale, stanno partendo le consultazioni… “Secondo me non si va a votare. Prima di nuove elezioni anche il centro destra vorrà cambiare il sistema elettorale. Berlusconi stavolta sarebbe punito dal sistema che lui stesso ha messo in piedi. Dunque non si va al voto. Insomma, secondo me qualcuno ha preparato una trappola. Sapevano che Scalfaro non c’era, che io non avrei votato, eppure D’Alema viene fuori con quella cosa lì, il tutti a casa se non c’è la maggioranza. Chi ha preparato la trappola? Non lo so. Però Andreotti era dato per sicuro con noi e ha cambiato idea e altri hanno fatto come lui. Faccio un esempio. Se lei dice: brucio la redazione se il direttore non mi pubblica il pezzo, il direttore non pubblica e lei brucia la redazione, la colpa sarà sua, no, e non certo del direttore. Mi sono spiegato?”. Gli insulti? “Sono organizzati. Mi arrivano dal Pdci di Bologna, del Veneto, delle Marche, di Modena e dai Ds di Ferrara. Ma ho avuto anche solidarietà: gente del sindacato, qualcuno che lavora con i precari…”. Le idee per il futuro non sono chiare. Alle 17,10 un´agenzia annuncia che Rossi non voterà l’eventuale fiducia a Prodi. “Non posso stare con chi vuole la base americana di Vicenza e la guerra in Afghanistan”. Poi smentisce la dichiarazione. “Non è vero. Io voterò la fiducia al governo Prodi, quando la chiederà. Questo è il mio governo”. Insulti pesanti e numerosi soprattutto da Ferrara, la sua città. Qui è stato accusato di aver organizzato un ribaltone già nel 1999. “Era diessino e si è incontrato in un bar di via Garibaldi con i capi di An e Forza Italia. Lui ha detto: votate me come presidente del consiglio comunale. Io posso portare altri quattro voti, oltre al mio. Così il nuovo sindaco, Gaetano Sateriale, va in crisi già nella seduta di insediamento e tutto a va a gambe all’aria”. La manovra non riuscì ma Rossi lasciò i Ds per il Pdci. In breve tempo diventa segretario provinciale e poi regionale. È questo partito che oggi gli esprime tutto il suo “disprezzo”. L’uomo di ferro non si scompone. “Ho le spalle grosse. Figuratevi, quando D’Alema ordinava di bombardare la Jugoslavia io, che allora ero ds, sono andato là, sotto le bombe, per solidarietà con gli aggrediti”» (Jenner Meletti, “la Repubblica” 22/2/2007) • «[...] Dopo il voto Fernando Rossi, detto Nando, ha preso uno di quei piccoli ascensori del Senato. Aveva appena seguito la sua coscienza, ma non si sentiva bene. “Cavolo, pensavo, se il governo è andato sotto a causa mia, è davvero dura...”. Si è infilato nel ristorante, si è messo in un tavolo da solo. “Mangiavo e sentivo che nessuno si sarebbe seduto accanto a me...”. Rossi Fernando, detto Nando, alto alto, baffi e pochi capelli, in quel momento era l’uomo tutto di un pezzo, che il peso di mezzo Senato della Repubblica non aveva saputo piegare. Ma era anche un’anima in tumulto, avrebbe voluto scacciare la responsabilità di aver abbattuto il governo Prodi. Sul telefonino arrivavano i primi sms: “Berlusconi ringrazia!”. Eppure, Rossi, sessant’anni fra le nebbie del ferrarese e il centralismo democratico — Pci, Pds, Pcdi — non aveva nascosto a nessuno le sue intenzioni. “La sera di martedì mi telefona Fosco Giannini di Rifondazione e mi dice: la maggioranza non c’è, Scalfaro è ammalato, la Montalcini non si sa. Ma io, ho risposto, se non si fa il referendum su Vicenza e non si va via dall’Afghanistan, voto contro. E penso: se il governo affronta questo voto, avrà fatto i suoi conti!”. Cioè: “Fossi stato sicuro che il mio voto era fondamentale, avrei riflettuto un attimo”. Sono da poco passate le due, il presidente Marini apre la votazione. Rossi non tocca tasti. Anna Finocchiaro, capogruppo dell’Ulivo gli grida: “Vota! Vota!”. Inutili grida. Manuela Palermi, è l’ex capogruppo di Rossi, Pdci-Verdi, ma sei mesi fa Rossi se n’è andato, ora è indipendente nella Lista consumatori e ora Palermi gli si rivolge così: “Hai visto, stronzo”. Attorno a Rossi ci sono gli ex colleghi, comunisti italiani e Verdi. Testimoni ascoltano: “Pezzo di merda”, “Mafioso”, “Figlio di puttana, ora vai a fare tu la campagna elettorale in Sicilia”. Loredana De Petris, fra le più accanite. Poco più in là, dalle file Ds spiegano a Rossi i suoi desideri reconditi: “Vuoi Berlusconi! Vuoi Berlusconi!”. Dopo il pranzo, Rossi si chiude nello studio, lascia squillare il telefonino. Risponde tuttavia alle telefonate che gli passano dal centralino. Gente comune, che non vuole fargli i complimenti: “Un medico, una professoressa... Sono partiti all’attacco e alla fine mi hanno dato ragione”. Intanto, Folena, indipendente Prc, dice: “È gravissimo che anime belle dell’estrema sinistra si siano prestate a questo disegno”. Dall’ Emilia Romagna tre alti dirigenti Pdci esprimono “disprezzo”. Ma a questo punto Rossi rivede un po’ di luce, realizza: “Se pure io avessi votato a favore, il risultato sarebbe stato lo stesso!”. No, il signor Rossi, che ha dovuto abbandonare gli studi dopo la terza media, il comunista contrario ad ogni guerra, “anche quella dei russi in Afghanistan”, non ha squassato il governo. E si offre ai giornalisti. “Mi sento più a posto di chi trascura 30.000 morti afghani, tanto sono afgani...”. Passa all’attacco: «Non rivoterei la fiducia a questo governo se restano Vicenza e l’Afghanistan». Poi puntualizza: “Voterò la fiducia, non vorrei causare la caduta del governo Prodi”. Però: “Sarebbe meglio se Rifondazione e Comunisti italiani dessero l’appoggio esterno”. Ripensamento: “Nel caso attuale, col senno di poi, avrei cercato di incontrare Prodi e D’Alema per strappare impegni concreti”. Affondo: “Ho visto all’opera dilettanti allo sbaraglio. Oppure, si deve pensare che ci sia stato un regista: perché sono venuti in Senato, glielo aveva ordinato il dottore? Perché non aspettare che non ci fosse Marini alla presidenza, e recuperare un voto? Perché D’Alema ha detto: chi non è d’accordo fino in fondo non voti? Forse qualcuno si voleva presentare come colui che faceva piazza pulita della sinistra estrema, l’alfiere dei riformisti”. Il momento del ricordo: “Quando D’Alema bombardò per il Kosovo, io ero assessore a Ferrara e andai a Belgrado, sotto quelle bombe”. Riflessione finale: “Mi sa che ho sbagliato a chiamare il mio nuovo gruppo ‘Officina comunista’. Non mi piace più come si comportano i comunisti”» (Andrea Garibaldi, “Corriere della Sera” 22/2/2007).