La Repubblica 25/06/2006, pag.52 Giuseppe Turani, 25 giugno 2006
Ripicche e gelosie e le fusioni sfumano. La Repubblica 25 giugno 2006. Italia in vendita? E´ una tesi che alcuni, in privato, sostengono e anche con una certa convinzione
Ripicche e gelosie e le fusioni sfumano. La Repubblica 25 giugno 2006. Italia in vendita? E´ una tesi che alcuni, in privato, sostengono e anche con una certa convinzione. Il fenomeno sarebbe una diretta conseguenza del declino che va avanti da almeno un paio di decenni. Rese deboli appunto dal declino e incapaci di resistere sul mercato globale, molte imprese hanno passato la mano o si apprestano a farlo, con discrezione e possibilmente in silenzio. Insomma, senza farsi notare troppo. Di questo fenomeno c´è una certa parziale conferma nei dati ufficiali. Nei primi sei mesi del 2006 il 38 per cento delle operazioni di acquisizione e fusione sul nostro mercato è stato del tipo Estero su Italia contro appena il 23 per cento dell´anno scorso. Tutti poi ricordiamo che se ne sono appena andate due grandi banche (l´Antonveneta e la Bnl). Nel settore delle banche queste due operazioni sono state in parte bilanciate dallo shopping che ha fatto in Germania Unicredit, ma rimane la sensazione che siamo, sotto questo profilo, un paese a rischio. Anche se poi di recente abbiamo fatto un paio di buone operazioni in terra di Francia. E, anche, bisogna aggiungere, se in questi mesi ultimi tante aziende italiane del «quarto capitalismo» hanno conquistato posizioni interessanti all´estero. Nonostante tutto ciò, l´idea che l´Italia sia un paese, se non in vendita, almeno a rischio rimane. E a rischio proprio nei «fondamentali», cioè nelle cose che contano, e non perché qualche fabbrica di salami o di sedie può prendere la via dell´estero. D´altra parte, basta riflettere un po´ per sentire qualche brivido che corre lungo la schiena. Oggi, ad esempio, nessuno è più in grado di dire a che punto è la fusione Capitalia-Intesa della quale si parla da mesi. La sensazione è che sia finita in una specie di alta atmosfera dove nessuno capisce più che cosa sta davvero accadendo. Di sicuro sembra esserci che la fusione, che a un certo punto sembrava cosa fatta, naviga in un mare di nebbia. Insomma, si è un po´ persa per strada. E pensare che quello era un buon progetto, che aveva tanti buoni obiettivi al suo interno. Almeno tre. 1 - Doveva, attraverso la creazione di una grande banca, impedire che tanto Intesa quanto Capitalia (che hanno già azionisti stranieri con quote importanti) finissero come sono finite Bnl e Antonveneta. E, fra l´altro, attraverso questa fusione, sarebbe stato ridimensionato anche il peso degli azionisti esteri oggi presenti nell´azionariato. 2 - Il secondo obiettivo è rappresentato dalla quota di Mediobanca (circa il 9 per cento) custodita nel portafoglio di Capitalia e che, in caso di scalata «straniera», potrebbe finire chissà dove, gettando una pesantissima ipoteca sul controllo della nostra più importante e strategica banca d´affari e di partecipazioni. Banca d´affari dove, per la verità, già oggi si fa fatica a contenere la presenza dei soci francesi, molto attivi e molto ben dotati di mezzi finanziari. L´operazione Capitalia-Intesa doveva servire, fra le altre cose, a mettere in sicurezza la quota Mediobanca in mano a Capitalia e magari anche a irrobustirla attraverso qualche accordo con la quota detenuta da Unicredito. 3 - Dentro Mediobanca c´è, di fatto, il controllo delle Generali, che è la nostra più importante compagnia di assicurazioni e una delle più importanti in Europa. Anche in questo caso è evidente che se passa di mano il controllo effettivo di Mediobanca, anche la situazione Generali si complica e non poco. Un disegno lucido, come si vede, intorno al quale avevano lavorato per mesi e mesi i presidenti dei due istituti, lasciando intendere che la via dell´accordo era spianata. Ma, da qualche settimana, su questa intesa arrivano solo notizie confuse e contraddittorie e l´impressione è che si siano fatti passi indietro e non avanti. Se questo accade per l´operazione Capitalia-Intesa, che è la più importante fra le varie impostate, non si può dire che il resto del mondo bancario (il settore più a rischio, oggi) sia a posto. Sul tappeto ci sono tante opzioni, tanti discorsi, ma anche qui si ha la sensazione che nulla stia andando veramente avanti. Piccole gelosie, piccole questioni di potere, ripicche, bloccano il mondo bancario e nulla di concreto accade. D´altra parte, abbiamo deciso (dopo le brutte esperienze fatte con Fazio) che il settore è libero e che deve muoversi sul mercato e nel mercato. Quindi abbiamo escluso interventi dall´alto o dirigistici. Solo che queste banche appaiono incapaci di trovare la giusta strada da sole. E non accade niente di positivo. Forse non è vero che, alla fine, gli stranieri faranno piazza pulita, punendo i particolarismi e le piccole rivalità dei banchieri italiani. Però il rischio esiste. E bisogna ricordare che, una volta andato (all´estero) il settore finanziario, poi tenere insieme il resto sarà molto più difficile e complicato. Insomma, la sensazione di essere un paese a rischio (o addirittura in vendita) potrebbe diminuire se almeno le banche mandassero un segnale, procedendo in tempi rapidi (non più di qualche mese) alle fusioni di cui tanto si parla e per le quali tanto poco si fa. Giuseppe Turani