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 2006  giugno 18 Domenica calendario

Gli Etruschi siamo noi? Il Sole 24 Ore 18 giugno 2006. Ho creduto per cinquant’anni di essere etrusco

Gli Etruschi siamo noi? Il Sole 24 Ore 18 giugno 2006. Ho creduto per cinquant’anni di essere etrusco. La mia famiglia viene da Adria e che noi fossimo etruschi (mentre quelli di Rovigo no) in casa mia si dava per scontato. Poi, quattro anni fa, ci siamo messi a studiare il DNA di individui provenienti da sepolture etrusche della Toscana, di Adria e di Capua. David Caramelli, che adesso è professore a Firenze, e Cristiano Vernesi, che adesso lavora a Trento, hanno raccolto con pazienza piccoli frammenti di ossa da musei e collezioni e sono riusciti ad estrarre DNA da una parte di loro. Dallo studio di quei 28 frammenti d’osso siamo riusciti ad avere un’idea di come era fatto il DNA degli etruschi. Non era come il mio. Abbiamo tanto DNA, e per studiarlo si comincia strofinando un batuffolo all’interno della bocca e raccogliendo così qualche cellula della mucosa. Estrarlo dalle ossa è molto più difficile, specie quando queste ossa appartengono a qualcuno che è morto molto tempo fa. Ma duemila e cinquecento anni non sono tantissimi, e alla fine ce l’abbiamo fatta: oggi sappiamo qualcosa dei geni degli etruschi, cioé di una regione del DNA, il DNA mitocondriale, che viene trasmesso, immutato o quasi, dalla madre ai figli. Se io ho il DNA mitocondriale di mia madre, e lei quello della sua, e così via, risalendo nel passato dovrei trovare lo stesso DNA nella mia antenata materna di cento o mille generazioni fa. In realtà non è così semplice perché, come ci ha insegnato Darwin, c’è di mezzo l’evoluzione. Nel corso del tempo il DNA può mutare, cioè può cambiare in alcuni, piccoli dettagli. Il risultato è che, alla fine, nel DNA mitocondriale di individui che discendono dalla stessa antenata si possono trovare piccole differenze. Insomma, si può dire che noi e i nostri parenti più prossimi abbiamo DNA identici o molto simili, noi e i nostri parenti meno prossimi abbiamo DNA un po’ più diversi (e nessuno ha un DNA tanto diverso perché siamo tutti parenti, ma questa è un’altra storia). Torniamo al DNA dei nostri 28 etruschi: è simile, ma quasi mai uguale, non solo al mio (pazienza), ma anche a quello dei toscani moderni, che Paolo Francalacci dell’Università di Sassari e Alberto Piazza dell’Università di Torino hanno raccolto nelle zone dove ci si aspettava che fossero rimaste tracce più forti della presenza etrusca. Fra queste c’è il paese di Murlo, nel senese, che Alberto Piazza ha scelto dopo uno studio accurato delle fonti storiche e dei cognomi. Intendiamoci: fra tutte le popolazioni europee moderne, i toscani sono quelli che agli etruschi assomigliano di più. Ma se gli etruschi fossero i loro antenati diretti i DNA mitocondriali dei toscani non sarebbero solo simili, sarebbero in alcuni casi identici, e così non è. A questo punto ci siamo fermati a riflettere. Ci sono voluti un paio d’anni, ma alla fine abbiamo capito che, per interpretare questo risultato, bisognava in qualche modo viaggiare nel tempo. Non possiamo tornare indietro fino a incontrare gli antichi abitanti di Volterra e seguire le loro vicende, ma possiamo simularle al computer e vedere come va a finire. Elise Belle, che continua a lavorare con me a Ferrara nonostante ogni anno la facciano impazzire per rinnovarle il permesso di soggiorno, ha messo a punto, con Uma Ramakrishnan e Joanna Mountain di Stanford, un programma molto complesso che riproduce il destino dei geni attraverso le generazioni. Con questo programma abbiamo potuto fare tanti esperimenti, simulando cosa sarebbe successo se gli etruschi fossero stati gli antenati diretti dei toscani, oppure se non lo fossero stati. Ne abbiamo provate tante: popolazioni piccole e popolazioni grandi, crisi demografiche in cui poche persone sopravvivono, tanta o poca immigrazione. Ogni volta il computer generava sequenze di DNA, che confrontavamo con quelle di etruschi e toscani. I risultati di questo lavoro sono stati pubblicati il mese scorso sui Proceedings of the National Academy of Sciences. In sintesi, sembra molto improbabile che i toscani discendano dagli etruschi, almeno dal lato materno. Le simulazioni che hanno dato i risultati migliori, cioè che hanno riprodotto più fedelmente le caratteristiche genetiche degli etruschi e dei toscani, erano quelle in cui i toscani discendono da antenati non etruschi. Cosa vuol dire? Ricostruire il passato è difficile, e non basta il lavoro dei biologi. Bisogna parlarne con gli archeologi e gli storici, e l’abbiamo fatto. L’interpretazione più semplice è che gli etruschi si siano estinti: la gente che vive oggi in Toscana non ne conserva l’eredità genetica. Tom Rasmussen, archeologo all’università di Nottingham e autore con Graeme Barker di un fondamentale testo, The Etruscans, dopo molte insistenze da parte mia si è rassegnato a stimare che la popolazione etrusca, nel momento del suo massimo splendore, intorno al sesto secolo a.C., doveva comprendere almeno seicentomila persone. Seicentomila persone estinte. plausibile? Forse sì: e non c’è bisogno di pensare a una carneficina. Le popolazioni possono estinguersi lentamente, nel corso dei secoli, come è capitato, per esempio, a molti gruppi indigeni americani dopo che noi europei abbiamo invaso i loro territori. Ma seicentomila persone sono tante, anche se, dopo essere stati incorporati nello stato romano gli etruschi avranno passato tempi difficili (un po’ come i sunniti nell’Iraq post-Saddam). Allora vale la pena di pensare a possibili alternative. Robert Tykot, dell’Università della South Florida, mi ha fatto notare un aspetto importante del nostro studio. Ci sono molte sepolture fra Adria e Capua, e coprono un periodo storico che va dal tardo paleolitico fino a tempi recenti. Quando, per esempio scavando le fondamenta di una casa, saltano fuori delle ossa, non sempre vengono subito studiate in dettaglio. solo quando si trovano materiali archeologici, o iscrizioni, che gli archeologi possono dirci, presto e con sicurezza, se le ossa appartenevano o no a un etrusco. In questo modo, pensa Robert Tykot, forse noi abbiamo finito per lavorare sulle ossa di individui che potevano permettersi una sepoltura ricca: sulle ossa della classe sociale più elevata. Se aveva un’origine diversa dal resto della popolazione (e questo non lo sappiamo), avrà avuto anche DNA leggermente diverso. Forse chi si è estinto sono loro, forse gli antenati degli attuali toscani sono quella maggioranza della popolazione etrusca che, sepolta in tombe anonime, finora non abbiamo studiato. Noi di Adria pensavamo di essere etruschi. Nella mia famiglia abbiamo occhi di un verde speciale, e mi ha molto colpito trovare gente con gli stessi occhi per le strade di Tuscania: occhi etruschi, mi sono detto. E Silvia Rosellini di Livorno, che mi ha scritto una lettera bella ed accorata, adesso si chiede se abbia ancora senso per lei confrontare il proprio profilo con quello delle statue etrusche nei musei, che le assomigliano così tanto. Io credo di sì. Anche se il DNA mette in crisi queste nostre convinzioni (ma bisognerà lavorarci ancora un bel po’), non è che fra noi e gli etruschi non resti niente. In fondo, in tutti questi anni in cui mi sono sentito etrusco, ho imparato molto sulla loro storia, sulla loro cultura. Li sento vicini, anche loro figure di famiglia, quando visito le loro tombe, o quando guardo i loro enigmatici ritratti. E mi viene da dire che, in fondo, la parentela biologica conta poco, mentre molto conta la parentela intellettuale, culturale, che si può creare non solo con chi ha vissuto anticamente nel nostro Paese, ma anche con qualunque altro umano a cui ci leghi una qualunque affinità. Sono legami che abbiamo scelto di costruire, che non stanno scritti nei nostri geni. Ma nei nostri geni sta scritta una storia complicata, migrazioni e mescolanze, che non è semplice decifrare e che non è detto poi ci debba condizionare. I legami che scegliamo possono essere più profondi, molto più profondi, di quelli che abbiamo con i nostri remoti antenati, chiunque essi fossero. Forse si può dire che oggi gli etruschi sono ancora fra noi, e sono quelli di noi che ancora pensano agli etruschi con compassione e affetto. Guido Barbujani