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 2006  giugno 18 Domenica calendario

Tradito dal folle mondo del casinò. Libero 18 giugno 2006. Essendo questa inchiesta una roba da matti, non poteva avere per teatro altro luogo che il Casinò di Campione, gabbia di matti se mai ve ne fu una

Tradito dal folle mondo del casinò. Libero 18 giugno 2006. Essendo questa inchiesta una roba da matti, non poteva avere per teatro altro luogo che il Casinò di Campione, gabbia di matti se mai ve ne fu una. Dico matti senza offesa: si può essere anche dei matti simpatici. Ma voglio dire: è un mondo, quello del Casinò di Campione, dove ogni razionalità viene sospesa, e ogni consuetudine del vivere normale accantonata. Un mondo che - all’ora in cui i comuni mortali vanno a dormire - comincia a popolarsi di adoratori della roulette, del punto banco, dello chemin de fer, del poker texano, del caribbean stud poker, del black jack, del trente et quarante; gente che magari è venuta in massa con i pullman speciali che partono da porta Garibaldi a Milano, e che ha una sola certezza: quella di tornare a casa, all’alba, con le tasche vuote. Perché il bello - si fa per dire - del giocare al Casinò è proprio questo: qui non si vince mai. Ci si può rovinare, ma non arricchire. Circa un anno fa andai a Campione proprio per discutere di questo. Ero, allora, direttore del quotidiano locale, La Provincia di Como, e il presidente del Casinò mi aveva invitato a pranzo, anzi convocato con piglio un po’ seccato. Non gli garbava un fatto: che sul giornale che dirigevo non venivano mai pubblicati i comunicati che mandava il suo ufficio stampa. Il motivo per cui quei comunicati finivano direttamente nel cestino è presto detto: davano immancabilmente la stessa notizia, e cioè che qualche anonimo giocatore aveva vinto un jackpot: duecento, o trecento o quattrocentomila franchi. "Perché non me li pubblica mai?", mi chiese il presidente. "La risposta è semplice", dissi: "perché nei comunicati non mettete né il nome, né il cognome del vincitore. Datemi le generalità che gli faccio fare una bella intervista". "Non possiamo per la privacy", mi rispose. Ma era una bugia, neppure tanto nascosta. La verità è che non esiste mai un vincitore alle slot machine, così come non esiste mai alla roulette o allo chemin de fer: perché il giocatore - se è un vero giocatore, reinveste subito la somma vinta; e continua a giocare finché non perde tutto. Solo allora è contento. Il presidente, che è un imprenditore brianzolo abituato a guardare le cose concrete, smise per un attimo la veste ufficiale e mi diede ragione: "E’ vero", mi disse, "qui la gente viene sapendo perfettamente che perderà, ma è contenta così". E siccome nel frattempo era arrivato mezzogiorno, l’ora in cui si aprono le sale per un unico gioco, le slot machine, mi ci portò a fare un giro. Erano già piene zeppe di signore sui sessant’anni o anche più. "Soprattutto questo", mi disse ancora il presidente, "è un gioco dove vige una certezza assoluta: alla fine della giornata, a vincere è sempre e soltanto il banco". Mi raccontò poi di essere stato messo lì, come presidente, dal suo partito, la Lega, per seguire gli interessi dell’amministrazione provinciale comasca; e di cercare di trarre da quella bizzarra attività un vantaggio per la comunità: "Con i soldi che vengono da qui", mi disse, "possiamo realizzare opere pubbliche". Ma confidò di sentirsi a disagio come un pesce fuor d’acqua. "Pensi che c’è gente che esce di qui consegnando alla portineria un foglio in cui si ordina di non farli più rientrare. Dopo due-tre settimane al massimo tornano e chiedono in ginocchio al portiere di farli rientrare". Come si possa provare goduria nel perdere, è cosa che si può capire solo se si tiene conto di quanto detto in partenza: a Campione tutto il mondo è alla rovescia. Intanto è alla rovescia la geografia: qui siamo in territorio svizzero, ma Campione è un comune italiano. Poi sono fuori dalla norma gli stipendi: i dipendenti pubblici - cioè quasi tutti i campionesi - guadagnano il doppio che in Italia, e pagano meno della metà delle tasse. Non parliamo poi degli stipendi del Casinò: un cameriere intasca 4.000 euro netti più le mance; un croupier 10-12mila più le mance, che i clienti - non soddisfatti di quanto lasciano al banco - dispensano con generosità degna di miglior causa. Il fatto è che il Casinò è la classica gallina dalle uova d’ora. La proprietà è divisa tra il Comune di Campione (46 per cento), le amministrazioni provinciali di Como (20 per cento) e di Lecco (14), la Camera di Commercio di Como (10) e di Lecco (10). Quanto agli utili, il Comune di Campione - comunque vada la gestione - intasca 38 milioni di euro all’anno; il resto viene spartito dalle amministrazioni provinciali di Como (40 per cento), di Lecco (16) e di Varese (20) e dal ministero degli Interni (24). Proprio quest’ultima quota al ministero degli interni ha, da sempre, alimentato una voce: e cioè che il Casinò di Campione sia una sorta di bancomat dei servizi segreti, insomma che serva a finanziare indagini che bisogna fare di nascosto; e grazie a questa funzione spesso lo Stato avrebbe chiuso un occhio su tante cosette poco pulite che in quelle stanze, di notte, avvengono. Magari qualche giro di squillo e qualche sniffatina. Così, oltre alla logica (che vorrebbe il giocatore desideroso di vincere, e non di perdere) spesso - si dice - a Campione è stata sospesa anche la legalità. E siccome in un mondo alla rovescia è alla rovescia anche il tempo, chiunque entri al Casinò non può non provare la sensazione di essere ripiombato, per un misterioso sortilegio, negli anni Sessanta, quelli di maggior splendore per la casa da gioco. Perfino gli artisti invitati per gli spettacoli sono perlopiù reduci degli anni del boom: i Pooh, Fausto Leali, Albano, i Ricchi e poveri. E girando per i tavoli si vedono aggirare i cumenda dei film di Alberto Sordi, e par di scorgere, nella sala privé, la figura di uno dei grandi giocatori dei tempi d’oro: mister Ignis, Giovanni Borghi; e par perfino di risentire la sua voce: "Sel custa? Cumpri mi". Michele brambilla