Vanity Fair 22/06/2006, pag.95 Silvia Nucini, 22 giugno 2006
Ossessivamente sesso. Vanity Fair 22 giugno 2006. "Embè? E che problema è d’avecce voja de fa’ l’amore?" Il taxista che mi sta portando all’appuntamento con Francesco, e che ha insistito per sapere che tipo di intervista andassi a fare, esprime un punto di vista praticamente universale: il sesso fa felici; e quindi più pratichi, meglio è
Ossessivamente sesso. Vanity Fair 22 giugno 2006. "Embè? E che problema è d’avecce voja de fa’ l’amore?" Il taxista che mi sta portando all’appuntamento con Francesco, e che ha insistito per sapere che tipo di intervista andassi a fare, esprime un punto di vista praticamente universale: il sesso fa felici; e quindi più pratichi, meglio è. "A me invece faceva una grandissima tristezza. Non mi sono mai, dico mai, divertito. Ne avevo bisogno, ma questa è un’altra cosa". Siamo in un bar di Roma, ho davanti un ragazzo giovane, decisamente carino, più che benestante. Uno di quelli che pensi che mai e poi mai avrebbero bisogno di pagare qualcuno per andarci a letto, se non per dare un twist a una serata moscia tra amici. E invece... "E invece la prima volta che sono stato con una prostituta avevo sedici anni e ci sono andato da solo, di giorno, in motorino" Ma non aveva amiche o compagne di scuola con cui soddisfare le sue curiosità sessuali? "Forse sì, ma io volevo proprio una puttana. Avevo scoperto che mio padre ci andava: le pagine con gli annunci a pagamento del Messaggero erano piene di scarabocchi, orari. Ho chiamato una casa d’appuntamenti il cui indirizzo era circolato a penna. Quando sono entrato mi sentivo come quando vai alla lavagna per l’interrogazione, quando sono uscito ero triste. In mezzo avevo provato una sensazione di "scollegamento" da tutto che mi piaceva. La settimana dopo presi un altro appuntamento. Nel giro di qualche mese la frequenza divenne quotidiana. Nel mio periodo più nero, tra i diciotto e i vent’anni, mi è capitato di vedere anche tre prostitute al giorno". Come trascorreva il resto del tempo? "Apparentemente conducevo una vita normale: la scuola, il lavoro, gli amici. In realtà il sesso eru il mio primo e unico pensiero: quando non giravo per prostitute ero attaccato a Internet, a cercare appuntamenti nelle chat erotiche, a scaricare materiale porno. La gente non ha idea di che cosa ci sia in rete, e quanto sia facile arrivarci. Attraverso le chat sono entrato in contatto con il mondo dei club privé e con quello delle donne sole o in coppia che cercano compagni di sesso. Gente stravolta, che non sta bene di cervello. E non lo penso adesso che ne sono uscito, lo pensavo anche allora. Ma avevo bisogno di emozioni sempre più forti, così ho iniziato a frequentare case private e club". E lì ha coltivato qualche rapporto di amicizia, sentimentale? "Quello che è difficile capire è che, in quei contesti, non c’è neanche l’ombra di un sentimento e, dopo un po’, neanche quella del piacere puramente fisico. Si è bestie e da bestie si agisce. La perversione è solo l’involucro di una disperazione che per certa gente si esprime nel sesso, per altri nella droga, nell’alcol, nel gioco. Certo, poi ci sono quelli che si trovano, fuori dal privé, per una pizza tutti insieme, ma io non li ho mai frequentati perché percepivo, pur essendoci dentro, lo schifo. Lo schifo lo vedevo quando si riaccendevano le luci, quando tutti si infilavano il cappotto, (quando il trucco colava: allora intorno a me apparivano dei mostri. Lo schifo e una vocina interiore che mi diceva, sempre, "ma che cazzo stai facendo?”: questo mi ha salvato". Quando ha detto basta? "Due episodi mi hanno fatto riflettere. Il primo è stato l’aver scoperto di non essere sieropositivo nonostante i molti rapporti non protetti che avevo avuto. Il secondo ha qualcosa di "magico": un giorno che passavo davanti a San Pietro ho sentito l’esigenza di entrare: mi sono infilato in un confessionale (una cosa che non facevo dai tempi della prima comunione) e ho raccontato tutto al prete che stava dietro la grata. Dopo l’assoluzione mi sono sentito così bene che ci sono tornato per tre, quattro volte. L’ultima lui mi ha detto: ”Tu non hai un problema di spirito, tu hai un problema psicologico", e mi ha dato il numero di telefono di un medico che poi mi ha seguito nel mio lungo percorso di terapia. Per me è un piccolo miracolo". Quanto le è costata la sua dipendenza? "Almeno 50 mila euro. E la sensazione di aver buttato via la mia giovinezza". Silvia Nucini