Adriano Sofri, la Repubblica 21/6/2006, pp 1-21, 21 giugno 2006
La sfida dei nanorobot all’ombra di Leopardi la Repubblica, mercoledì 21 giugno Bisogna manifestare contro le nanotecnologie? E intanto, che cosa sono le nanotecnologie? E che c´entra Giacomo Leopardi? A Grenoble, il 1° giugno, un migliaio di manifestanti si sono scontrati con la polizia schierata a protezione del vasto impianto Minatec, alla vigilia dell´inaugurazione, dopo 4 anni di cantiere
La sfida dei nanorobot all’ombra di Leopardi la Repubblica, mercoledì 21 giugno Bisogna manifestare contro le nanotecnologie? E intanto, che cosa sono le nanotecnologie? E che c´entra Giacomo Leopardi? A Grenoble, il 1° giugno, un migliaio di manifestanti si sono scontrati con la polizia schierata a protezione del vasto impianto Minatec, alla vigilia dell´inaugurazione, dopo 4 anni di cantiere. Ben 4 mila fra ricercatori, ingegneri, docenti e studenti vi lavoreranno alle nanotecnologie, con un bilancio di 300 milioni di euro all´anno. Ecco un caso in cui le contestazioni arrivano ben prima che il pubblico abbia capito di che cosa si tratta. E poiché hanno vie di contagio rapide e indipendenti, sia che vengano da gruppi ecologisti, antinucleari, anti-biotech e anti-ogm, sia che le sollevino i romanzoni catastrofici e superstiziosi di Michael Crichton, varrà la pena di occuparsene anche da noi. Riassumo dunque qualche notizia sulla nanoscienza, così come l´ho tratta da una lezione normalista di Fabio Beltram – ma ne riferisco senza alcuna sua responsabilità. La nanotecnologia lavora su una grandezza di 10 alla meno nove, un miliardesimo di metro. Difficile da immaginare. La nostra percezione sensibile arriva al millesimo, al millimetro. Fino al ’700 era questa la grandezza caratteristica della tecnica. Il secolo scorso ha compiuto la sua nuova rivoluzione industriale, fino all´elettronica, alla rete, lavorando sul micron, il milionesimo. Su questa scala, che sembrava già infinitesima, non cambia la natura della natura. Il legno resta legno, il ferro ferro. La svolta viene negli anni ’80 - le si dà una data d´inizio, nel 1986, quando il microscopio STN permette di vedere e spostare gli atomi uno per uno. Su questa scala cambia la natura delle cose: qualcosa che evoca la pietra filosofale. Ciò che determina la natura delle cose, il rame il ferro il legno, ha a che fare col modo in cui sono confinati gli elettroni rispetto al nucleo. Le caratteristiche di un elettrone strizzato nell´atomo fanno le proprietà degli oggetti. Ora possiamo fare oggetti in cui confinare elettroni come se fossero nell´oggetto, rendere così il silicio conduttore come il ferro ecc. Il passaggio dal micro al nano cambia dunque la natura della materia. Si capisce come sia eccitante. Il salto è stato reso possibile da strumenti costosissimi e dimensioni sempre più piccole. Lungo questo impicciolimento si è superata una soglia critica e si è modificata la materia. Un fisico di un paio di generazioni fa avrebbe escluso di poter mai vedere gli atomi. successo. Dunque ora prendo il mio silicio e lo faccio comportare come voglio. Ma non solo il silicio, o il ferro. Fra un oggetto nanometrico dentro un computer o dentro il mio corpo - le mie proteine - non c´è infatti differenza. E non solo la tecnologia, ma l´approccio culturale è lo stesso, che si tratti dell´inanimato o del vivente, di vernici o di farmaci. Così la nanoscienza riduce fino a cancellarli i confini fra biologia, chimica, fisica. In un fisico puro la nanoscienza può suscitare un certo nervosismo, perché è subito volta all´applicazione, alla fretta di farne qualcosa. La fisica, come la musica di Mozart, ha il suo pregio nell´inutilità, almeno al principio, nella gratuità. Ma l´eventualità di dare una funzionalità agli elementi è a sua volta una sfida mirabile all´intelligenza. Immaginiamo una molecola, di qualche nanometro, dotata di funzioni molto complesse, iniettata in un organismo. Fra i suoi tanti dominii, ce n´è uno sensibile al virus, che lo riconosce, lo segnala, ne cambia la configurazione e ne cava un farmaco che attacca la cellula infettata. Una specie di vaccino aggiornato che gira dentro il corpo e sniffa e fa fuori la cellula tumorale prima che si espanda. Qualcosa di simile, su questa scala, all´idea della bomba intelligente - ammesso che esistano bombe intelligenti. Così per la manipolazione dell´informazione, nel passaggio da micro a nano. I transistor compiono operazioni secondo la logica 0-1, spento-acceso, la corrente che passa o no. Una cosa è ubicata, sta qua o là. C´è un fiume, una diga, l´acqua scorre o no. Sulla scala del nanometro, non è più così. La corrente di elettroni diventa "sbagliata", e le proprietà cambiano drasticamente. L´analogia idrodinamica non funziona più. L´elettrone diventa ubiquo, delocalizzato, è insieme qua e là: al posto dell´elettronica interviene la funzione quantistica. Il computer quantistico ha intanto molto più di funzionalità con molto meno di energia. L´idea del computer quantistico era già venuta a Richard Feynman. Per simulare un sistema molto complicato i computer fanno una grande fatica. Però abbiamo quei calcolatori naturali che sono i sistemi quantistici: perché non utilizzarli? L´Unione Europea finanzia abbastanza largamente la quantum computation. Si tratta di un traguardo decisivo. Noi, gli europei (ancora più gli italiani) abbiamo perso la partita sul vecchio computer: possiamo ancora arrivare in tempo nella partita sul nuovo. cominciata davvero solo da dieci anni, e l´Europa è competitiva con gli Usa e anche col Giappone. una grande occasione, perché il salto di tecnologia azzera le posizioni raggiunte, e rimette tutti sul filo di partenza: ma non a lungo. Abbiamo risorse buone, e un buon livello di ricerca. Ma ce l´avevamo anche l´altra volta: è nel trasferimento dalla ricerca all´applicazione industriale che abbiamo perso e possiamo perdere di nuovo. Ma non è ancora detto. Per i suoi scienziati, la nanotecnologia è quello che il vapore fu nel ’700, la microelettronica nel ’900. Di tutte le applicazioni, quella medica è la più promettente, e più vicina. La nanoscienza suscita, coi sogni, anche incubi. Si capisce perché. Il nanoggetto benigno inviato a curare le cellule malate può diventare il suo opposto maligno, il nanorobot mandato ad avvelenare un acquedotto, ad attaccare le cellule buone. Il nanorobot è in fondo un virus artificiale, fabbricato da noi. Possiamo mutare la materia in maniera mirata, e la mira può essere buona o cattiva. Gli scienziati ottimisti confidano che l´esperienza delle rivoluzioni scientifiche e tecniche precedenti abbia insegnato qualcosa. I finanziatori conoscono la minaccia. E vale la lezione degli Ogm, sui quali si lavorò dapprima sottobanco, col risultato opposto, di provocare un enorme allarme. Oggi ogni progetto di ricerca dovrebbe avere una parte riservata all´informazione pubblica e alla sicurezza. In Canada, da dove già nel 1999 è partito l´allarme anti-nano ad opera dell´Action Group on Erosion, Technology and Concentration, Beltram cita un progetto di ricerca di nanomedicina, il cui Comitato è composto da un avvocato, un chimico e un medico, e alla presidenza c´è un "filosofo etico". Degli incubi fa parte anche l´idea dei nanorobot che diventano capaci di autoriprodursi, già al centro, nel 1986, del racconto di fantascienza di Erix Drexler, "Engine of Creation". Ancora al confine della fantascienza, per l´impossibilità tecnica, materiale, di concentrare nei volumi nanometrici la capacità necessaria alla replicazione. Un rischio possibile è l´errore del laboratorio: tanto più preoccupante in una tecnologia così pervasiva. S´intende che la fuga di un virus è molto più difficile da controllare che la fuga di un camion con una testata nucleare. Nella Scuola Normale, a Pisa, si lavora sulla nanoscienza con lo spettro completo: chimico, biologico, fisico, ingegneristico. L´attività possibile è sterminata. Per esempio, sul filone della microelettronica, si nanostrutturano i semiconduttori per dare loro proprietà speciali. Dare cioè la forma voluta agli stati degli elettroni, «stirarli» in una configurazione peculiare. Nella fisica della materia, si partiva da un oggetto per capirne le proprietà. Ora si parte dalla proprietà che interessa e la si assegna all´oggetto. La si rende direttamente accessibile liberandola dal suo contesto. Si lavora così sulla dinamica di un elettrone solo, alle variazioni di elettroni uno alla volta. Oppure li si mette insieme, in stati collettivi che però rispondano all´unisono, forzandoli a stare in condizioni nanometriche, nelle quali le loro risposte diventano bizzarre. Così per i processi biologici: la Scuola ha brevettato una proteina che viene resa attiva, per così dire una nanolampadina a luce verde - all´origine c´è la molecola di una medusa - che funziona secondo lo schema on-off, spento-acceso. così piccola che viene stesa come un tappeto su un Cd, che accoglie milioni di volte più informazioni che un disco normale. Si istruisce una cellula a produrre una proteina cui è attaccata la proteina "lampadina". Se modifichi il Dna di una cellula e le attacchi la proteina tale più la "lampadina", riesci a vederla, una proteina alla volta. Era come se la biologia andasse a bassa risoluzione, non si vedeva la cosa singola, la vita aveva un andamento un po´ "statistico". Sapere se c´è una singola proteina vuol dire sapere se un gene è attivo, e se è buono o cattivo. In Italia i due centri principali sono alla Normale, e a Lecce: Pisa più incline alla fisica e la biologia fondamentale, Lecce alla tecnologia. Poiché la nanoscienza è ancora nella sua fase pionieristica, lo scambio e l´apertura fra i ricercatori sono molto più forti delle gelosie e delle chiusure. E Leopardi che c´entra? C´entra. Scrisse alla sorella Paolina, il 12 novembre 1827: «Ho una camera a ponente, che guarda sopra un grand´orto, con una grande apertura, tanto che si arriva a veder l´orizzonte... La gente di casa è buona, i prezzi non grandi...». E il 25 febbraio dell´anno dopo: «Io ho qui in Pisa una certa strada deliziosa, che io chiamo Via delle Rimembranze: là vo a passeggiare quando voglio sognare a occhi aperti. Vi assicuro che in materia d´immaginazioni mi pare di esser tornato al mio buon tempo antico». Finalmente, il 12 maggio: «Dopo due anni, ho fatto dei versi quest´aprile: ma versi veramente all´antica, e con quel mio cuore di una volta». Si trattava dei versi di "A Silvia". La casa è in via della Faggiola (via Fagiuoli, scrisse distrattamente Leopardi). Lui ci stava a pensione, disponendo di «I° camera con lume, biancheria da letto e da tavola, e servitù; 2° pranzo in camera, all´ora che mi piace consistente in zuppa, tre piatti, pane e acqua... 4° nettatura di stivali e scarpe... 6° fuoco nel caldano tutto il giorno, e fuoco la sera pel letto». La Scuola Normale ha comprato la casa, e ci ha messo dentro il laboratorio di nanoscienza. Provvisoriamente, perché, dice Beltram, «è scomodissimo»: e si capisce. In una nota dello Zibaldone, sempre nel suo 1828 pisano, Leopardi scriveva: «Triste quella vita che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici». Adriano Sofri