Varie, 21 giugno 2006
CARBONE
CARBONE Mario San Sosti (Cosenza) 1924. Fotografo • «[...] Di forte impatto, in particolare, le fotografie realizzate nel 1960 durante un breve viaggio in Lucania con Carlo Levi. ”Feci almeno 400 scatti. Levi si metteva a parlare con chiunque incontrasse. Mi fece conoscere un benzinaio: mi disse che proprio parlando con lui gli era venuta l’idea del titolo del suo romanzo Cristo si è fermato a Eboli”. Le immagini di Mario Carbone [...] narrano storie ancestrali, dove il tempo appare cristallizzato. Storie con cui Mario Carbone ha una certa familiarità [...] L’infanzia e l’adolescenza passano in fretta per lui che già a 13 anni smette di studiare per portare a casa qualche soldo necessario per alleviare la madre vedova e far studiare sorelle e fratello. A Cosenza, Carbone scopre la fotografia. Lavora negli studi fotografici imparando la magia di sviluppare, stampare, ritoccare le fotografie. A Roma, dove arriverà nel 1955, la sua attività oscilla tra le immagini fisse e quelle in movimento, come operatore cinematografico, regista, documentarista per il cinema e la televisione. Il suo lavoro di documentazione per la Unitelefilm, dal 1958 agli anni 70, è conservato nell’Archivio di Mondo Operaio; tra i più importanti filmati, c’è anche Firenze Novembre ’66 che registra la drammaticità dell’alluvione (Leone d’Argento a Venezia nel 1967). Come regista, operatore e montatore consegue vari premi tra cui il Nastro d’Argento nel ’59 per la migliore fotografia ne I vecchi (regia di Raffaele Andreassi); il Nastro d’Argento nel 1964 per Stemmati di Calabria (miglior regia), inchiesta sui nobili calabresi; il Premio al Festival di Tour nel 1966 per Dove la terra è nera, sul duro lavoro dei contadini in una terra povera. Ha iniziato a lavorare come fotografo all’età di 13 anni... ”Era il 1937 quando ho cominciato a lavorare in uno studio fotografico di Cosenza dove si facevano ritratti a sposi e fototessera. A vent’anni mi è venuto il desiderio di emigrare: quando presi il treno avevo solo i soldi del biglietto e poco più. Andai a Milano e mi presentai da Elio Luxardo; inizialmente sostituii alcuni dipendenti che erano andati in ferie ma rimasi per sei mesi. Poi mi trasferii a Roma: ebbi la fortuna di capire che il fulcro di questa città era piazza del Popolo. Lì incontravo gli amici come Aldo Turchiaro (allora allievo di Guttuso), Rotella, Schifano, Festa e Angeli, con cui ho diviso lo studio. Andavamo a mangiare al ristorante dei Fratelli Menghi, famoso per aver nutrito gratis artisti senza soldi”. A Roma cominciò a lavorare nel cinema... ”Ho iniziato a fare cinema come aiuto operatore, ma già lì mi resi conto che la mia esperienza andava sprecata. Feci vedere il mio primo documentario a Cesare Zavattini e lui mi volle in I misteri di Roma (1963). Ho continuato a girare documentari, almeno un centinaio, finché nel ’75, con mia moglie Elisa decidemmo di lasciare la sua Galleria Ciak, per aprire una produzione. Tra i programmi per la tv, c’era Artisti allo specchio, in cui coinvolgemmo artisti come Schifano, Angeli, Festa, Titina Maselli, Vespignani, Attardi, Mimmo Paladino...”. Vedendo le foto della Lucania, ma anche quelle di altri luoghi, vengono in mente certi scatti di Cartier-Bresson... ”I primi libri fotografici che ho visto sono stati proprio quelli di Cartier-Bresson. Attraverso le sue immagini ho capito l’importanza della fotografia. Mi piacciono anche i fotografi americani di guerra. Tra gli italiani, invece, la grande stima reciproca era con Franco Pinna. Negli anni 60 quando andavo a girare documentari - ad esempio nel ’62 andai in Sardegna per un’inchiesta con Libero Bizzarri e lo scrittore Giuseppe Dessì - portavo sempre con me la macchina fotografica. per questo che mi ritrovo oggi un archivio fotografico molto ricco e vasto. Negli Stati Uniti, in Romania e in altri posti, andai, ad esempio, come direttore della fotografia per girare il documentario Ecco il finimondo di Paolo Nuzzi. Dovevamo catturare tutte le cose sensazionali che c’erano in quel periodo. L’America di per sé era già sensazionale per noi che venivamo dall’Italia, ma di cose incredibili ce n’erano anche da noi! Nel ’64, invece, andai in India con Giuseppe Ferrara per documentare dei lavori fatti dall’Eni. Durante quel mese di soggiorno girammo parecchio, Calcutta, Bombay, Madras, il Bengala, New Delhi, città come villaggi sperduti”» (Manuela De Leonardi, ”il manifesto” 20/6/2006).