il Giornale 17/06/2006, pag.27 Giancarlo Perna, 17 giugno 2006
Il genio surreale attratto da Hitler e da se stesso. Il Giornale 17 giugno 2006. Nella sua continua ricerca di dare all’occhio, finì per farsi sospettare di coprofagia
Il genio surreale attratto da Hitler e da se stesso. Il Giornale 17 giugno 2006. Nella sua continua ricerca di dare all’occhio, finì per farsi sospettare di coprofagia. Successe quando ebbe la disgustosa idea di immaginare un signore in mutande da cui colavano escrementi. Essendo il nostro Narciso molto bizzarro, pure la sua cerchia di amici dubitò che fosse affetto da questa aberrazione sessuale. Non era gente impressionabile, ma il meglio (anche per quantità di vizi) di quella «generazione perduta» degli anni Venti parigini: Tristan Tzara, Paul Eluard, André Breton, Man Ray, ecc. Nessuno era incline al moralismo, ma la coprofagia era dura da digerire anche per loro. Decisero così di andare a fondo, accettando l’invito del Nostro a trascorrere l’estate con lui sulla spiaggia di Cadaqués. Arrivarono accompagnati dalle amanti. Il solo Eluard venne con la moglie, la russa Helena Devulina Diakanoff, tipica musa ispiratrice, diafana e misteriosa. Il Nostro ne rimase folgorato. Helena capì subito di piacergli e lo invitò a fare una passeggiata da soli lungo il mare. Mentre andavano, gli chiese senza preamboli se aveva davvero il vizietto di cui si vociferava. «Glielo giuro - rispose l’altro soggiogato dalla fermezza della donna -: non sono affatto coprofago. Detesto incondizionatamente questa aberrazione, proprio come lei». La buona nuova si sparse immediatamente fra i componenti della combriccola, accompagnata dalla cattiva notizia che Eluard aveva ormai perso Helena. Il poeta rientrò a Parigi, mentre l’anfitrione catalano si teneva la moglie che divenne per sempre la sua ninfa Egeria. Il sodalizio tra il Nostro e Helena, subito ribattezzata con teneri epiteti, Galuchka, Gradiva e, più spesso, Gala, durò dall’incontro, nel 1931, alla morte della donna, nel 1982. Grazie a lei, l’ego inconcludente dell’uomo prese una proficua e danarosa strada creativa. «Gala - è stato scritto - fu sposa, madre, amica, consigliere, angelo custode. uno di quei casi in cui un individuo di personalità debole e insicura, trova in una donna il compenso a tutte le sue défaillances». Il nostro Narciso era da poco al mondo, quando compì il suo primo exploit: si fece bocciare in prima elementare. Più tardi si fece espellere dall’Accademia. Doveva essere esaminato dai docenti su una materia tirata a sorte. Estratto il soggetto, esultò: era quello che conosceva meglio. Allora si rivolse alla giuria e disse: «Chiedo scusa, ma io sono infinitamente più intelligente di questi tre esaminatori e rifiuto quindi di venire giudicato da loro». Il decreto di espulsione fu firmato dal re e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. I guai se li andava a cercare e si consolava dicendo: «Se fingi di essere un genio, genio diventi». L’importante era essere notato. Per il talento, certo, ma anche per l’aspetto. Portava capelli lunghi, occhi bistrati, pelle incipriata. Si arrossava le labbra dandosi dei morsetti. Passava ore a agghindarsi e ciclicamente cambiava look. Capelli a caschetto, gemelli di zaffiro, bastone di bambù. Oppure, più sul femmineo, collane, braccialetti, pantaloni bianchi e vaporose camicie azzurre. Si impelagò in un’omofaccenda con Federico García Lorca. Fu infaticabile frequentatore del bordello parigino Chabanais. Fece film con Alfred Hitchcock e Walt Disney. In coppia con Luis Buñuel girò Un chien andalou, carrellata di scene orrifiche: un occhio squarciato dal rasoio, una mano mozzata, le carcasse di asini putrefatti adagiate su un pianoforte. «Buñuel - scrive nell’autobiografia Diario di un genio - accettava tutti i miei suggerimenti. Sapeva che io non potevo sbagliare assolutamente mai». Soffrì più di quanto non desse a vedere per la morte atroce di Lorca, fucilato dai franchisti nella guerra di Spagna. Ma fu affascinato da Hitler, proprio perché era un mostro. I suoi amici, tutti comunisti, non capivano. Non glielo perdonarono e ruppero con lui. Breton, il più acceso, lo accusò di essere nazista. Lui replicò: «La mia ossessione hitleriana è rigorosamente paranoica e apolitica. Non posso essere nazista perché se Hitler conquistasse l’Europa farebbe passare a miglior vita tutti gli isterici della mia specie». Infatti, prima che ciò avvenisse si trasferì a New York e vi rimase fino al 1948. Ma poiché in Usa, guidato da Gala, si era messo a far denaro con le sue opere, Breton, implacabile, gli anagrammò con ferocia il nome: Avida Dollars. Il Nostro, stavolta, fece spallucce e continuò a impilare soldi. Prima di ogni consulenza o intervista si faceva pagare. Arredava vetrine surreali e disegnava moda. Per la sarta, Elsa Schiapparelli, realizzò dei cappelli a forma di scarpa. Tornato in Europa, comprò un castello per Gala. Settantenne girava con un cappello a tre punte scavato nel pane. Tenne un discorso vestito da palombaro. Ebbe un amore con Amanda Lear. Ma continuò a adorare la sua Galuchka. Quando morì lei, finì anche la sua vita. Al motto «supponiamo che muoia», studiò come risuscitare. Spirò sette anni dopo per disidratazione volontaria, fiducioso di rinvenire un giorno con iniezioni d’acqua. Seguendone le istruzioni, fu messo sotto una cupola di vetro dove chiunque può ammirare il suo corpo finemente imbalsamato. Chi era? Il genio surreale attratto da Hitler e da se stesso. Il Giornale 17 giugno 2006. Nella sua continua ricerca di dare all’occhio, finì per farsi sospettare di coprofagia. Successe quando ebbe la disgustosa idea di immaginare un signore in mutande da cui colavano escrementi. Essendo il nostro Narciso molto bizzarro, pure la sua cerchia di amici dubitò che fosse affetto da questa aberrazione sessuale. Non era gente impressionabile, ma il meglio (anche per quantità di vizi) di quella «generazione perduta» degli anni Venti parigini: Tristan Tzara, Paul Eluard, André Breton, Man Ray, ecc. Nessuno era incline al moralismo, ma la coprofagia era dura da digerire anche per loro. Decisero così di andare a fondo, accettando l’invito del Nostro a trascorrere l’estate con lui sulla spiaggia di Cadaqués. Arrivarono accompagnati dalle amanti. Il solo Eluard venne con la moglie, la russa Helena Devulina Diakanoff, tipica musa ispiratrice, diafana e misteriosa. Il Nostro ne rimase folgorato. Helena capì subito di piacergli e lo invitò a fare una passeggiata da soli lungo il mare. Mentre andavano, gli chiese senza preamboli se aveva davvero il vizietto di cui si vociferava. «Glielo giuro - rispose l’altro soggiogato dalla fermezza della donna -: non sono affatto coprofago. Detesto incondizionatamente questa aberrazione, proprio come lei». La buona nuova si sparse immediatamente fra i componenti della combriccola, accompagnata dalla cattiva notizia che Eluard aveva ormai perso Helena. Il poeta rientrò a Parigi, mentre l’anfitrione catalano si teneva la moglie che divenne per sempre la sua ninfa Egeria. Il sodalizio tra il Nostro e Helena, subito ribattezzata con teneri epiteti, Galuchka, Gradiva e, più spesso, Gala, durò dall’incontro, nel 1931, alla morte della donna, nel 1982. Grazie a lei, l’ego inconcludente dell’uomo prese una proficua e danarosa strada creativa. «Gala - è stato scritto - fu sposa, madre, amica, consigliere, angelo custode. uno di quei casi in cui un individuo di personalità debole e insicura, trova in una donna il compenso a tutte le sue défaillances». Il nostro Narciso era da poco al mondo, quando compì il suo primo exploit: si fece bocciare in prima elementare. Più tardi si fece espellere dall’Accademia. Doveva essere esaminato dai docenti su una materia tirata a sorte. Estratto il soggetto, esultò: era quello che conosceva meglio. Allora si rivolse alla giuria e disse: «Chiedo scusa, ma io sono infinitamente più intelligente di questi tre esaminatori e rifiuto quindi di venire giudicato da loro». Il decreto di espulsione fu firmato dal re e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. I guai se li andava a cercare e si consolava dicendo: «Se fingi di essere un genio, genio diventi». L’importante era essere notato. Per il talento, certo, ma anche per l’aspetto. Portava capelli lunghi, occhi bistrati, pelle incipriata. Si arrossava le labbra dandosi dei morsetti. Passava ore a agghindarsi e ciclicamente cambiava look. Capelli a caschetto, gemelli di zaffiro, bastone di bambù. Oppure, più sul femmineo, collane, braccialetti, pantaloni bianchi e vaporose camicie azzurre. Si impelagò in un’omofaccenda con Federico García Lorca. Fu infaticabile frequentatore del bordello parigino Chabanais. Fece film con Alfred Hitchcock e Walt Disney. In coppia con Luis Buñuel girò Un chien andalou, carrellata di scene orrifiche: un occhio squarciato dal rasoio, una mano mozzata, le carcasse di asini putrefatti adagiate su un pianoforte. «Buñuel - scrive nell’autobiografia Diario di un genio - accettava tutti i miei suggerimenti. Sapeva che io non potevo sbagliare assolutamente mai». Soffrì più di quanto non desse a vedere per la morte atroce di Lorca, fucilato dai franchisti nella guerra di Spagna. Ma fu affascinato da Hitler, proprio perché era un mostro. I suoi amici, tutti comunisti, non capivano. Non glielo perdonarono e ruppero con lui. Breton, il più acceso, lo accusò di essere nazista. Lui replicò: «La mia ossessione hitleriana è rigorosamente paranoica e apolitica. Non posso essere nazista perché se Hitler conquistasse l’Europa farebbe passare a miglior vita tutti gli isterici della mia specie». Infatti, prima che ciò avvenisse si trasferì a New York e vi rimase fino al 1948. Ma poiché in Usa, guidato da Gala, si era messo a far denaro con le sue opere, Breton, implacabile, gli anagrammò con ferocia il nome: Avida Dollars. Il Nostro, stavolta, fece spallucce e continuò a impilare soldi. Prima di ogni consulenza o intervista si faceva pagare. Arredava vetrine surreali e disegnava moda. Per la sarta, Elsa Schiapparelli, realizzò dei cappelli a forma di scarpa. Tornato in Europa, comprò un castello per Gala. Settantenne girava con un cappello a tre punte scavato nel pane. Tenne un discorso vestito da palombaro. Ebbe un amore con Amanda Lear. Ma continuò a adorare la sua Galuchka. Quando morì lei, finì anche la sua vita. Al motto «supponiamo che muoia», studiò come risuscitare. Spirò sette anni dopo per disidratazione volontaria, fiducioso di rinvenire un giorno con iniezioni d’acqua. Seguendone le istruzioni, fu messo sotto una cupola di vetro dove chiunque può ammirare il suo corpo finemente imbalsamato. Chi era? Risposta: Salvador Dalì (1904-1989). Catalano e massimo pittore surrealista. Il padre notaio gli tagliò i viveri dopo lo scandalo del connubio con Gala, già sposata a un altro. In "Mio fratello S.D.", la sorella Ana Maria mise in piazza i suoi eccessi. Dalì la diseredò, proibendole in anticipo di partecipare al suo funerale. Il dipinto che gli suscitò sospetti di coprofagia è "Il gioco lugubre". In polemica con Breton e i suoi ex amici surrealisti, tutti schierati con l’Urss, Avida Dollars (suo anagramma perfetto) scrisse un manifesto conservatore con un elenco di massime tipo: «Contro la Rivoluzione per la Tradizione». Ma anche il folle: «Conto gli Spinaci per le Lumache». Giancarlo Perna