Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2006  giugno 18 Domenica calendario

Il mistero De Mauro, processo dopo 36 anni. Corriere della Sera 18 giugno 2006. Roma. «Signor presidente, io mi vergogno un po’ a dire ogni tanto che non mi ricordo, ma le assicuro che è vero» confessa la signora Elda con voce bassa, ma ferma

Il mistero De Mauro, processo dopo 36 anni. Corriere della Sera 18 giugno 2006. Roma. «Signor presidente, io mi vergogno un po’ a dire ogni tanto che non mi ricordo, ma le assicuro che è vero» confessa la signora Elda con voce bassa, ma ferma. « comprensibilissimo, sono passati 36 anni» la rassicura il presidente e la signora aggiunge: «Sono stati pesantissimi...». Il presidente, premuroso, domanda. «Se è stanca possiamo fermarci per un po’» ma lei non ne vuole sapere: «Per carità! Andiamo avanti finché non finiamo». Elda De Mauro oggi ha 86 anni compiuti. Quando ne aveva 50, la sera del 16 settembre 1970, aspettava a casa suo marito Mauro De Mauro, giornalista de L’Ora di Palermo, che le aveva telefonato poco prima: «Mi fermo a comprare le sigarette e arrivo». Lei gli chiese di comprare anche il caffè. Da quel momento non l’ha più sentito né visto e da allora aspetta di sapere chi l’ha rapito e poi ucciso. E perché. uno dei misteri siciliani, uno dei misteri italiani. In trasferta a Roma nell’aula bunker di Rebibbia – monumento in ferro e cemento all’emergenza terroristica, con le gabbie per centinaia d’imputati sempre vuote – la Corte d’assise di Palermo interroga i testimoni per tentare di «fare giustizia» su quella scomparsa. Un omicidio «bianco» poiché manca il cadavere. Sono passati 36 anni, alcuni dei giudici popolari erano appena bambini quando De Mauro fu rapito. Uno probabilmente non era nemmeno nato: è una donna dal viso molto giovane, ascolta con attenzione le parole della signora Elda. Il presidente della Corte, Giancarlo Trizzino, era un ragazzo che sosteneva i primi esami a Giurisprudenza, entrò in magistratura sei anni più tardi; il pubblico ministero Antonio Ingroia aveva 11 anni e attaccava sull’album le figurine dei calciatori, alle leggi, alla mafia e ai misteri siciliani avrebbe cominciato a pensare molto più tardi. L’unico imputato è il capomafia corleonese Totò Riina, che invece nel ’70 era già un uomo fatto e secondo i pentiti ordinava omicidi assieme ai «colleghi» del triunvirato che governava Cosa nostra, Badalamenti e Bontate. in collegamento video dal carcere di Milano, fissa lo schermo e intreccia continuamente le mani, ogni tanto si china verso l’avvocato al suo fianco per chiedere qualcosa. Gli altri presunti colpevoli sono tutti morti. Nell’aula accanto, la Corte d’assise d Roma celebra un altro processo per omicidio, quello del banchiere Roberto Calvi. Qui sono un po’ più fortunati quanto all’attualità dei fatti, che risalgono ad «appena» 26 anni fa. Anche questi giudici hanno a che fare con imputati mafiosi: Pippo Calò, che di Riina era diventato uno dei fedelissimi, secondo le sentenze e la vulgata dei pentiti. Si dice sempre che la storia non si scrive nei tribunali, ma talvolta capita che i giudici siano costretti a camminare nella storia. Al processo De Mauro non si parla solo di mafia Anni ’60 e ’70, ma anche della morte di Enrico Mattei, 1962, del tentato «golpe Borghese», della X Mas. L’avvocato di Riina fa una domanda addirittura sulla strage di Portella delle Ginestre, 1947. Il presidente della Corte lo blocca: «Atteniamoci ai temi del processo». Che bastano e avanzano, quanto a salti indietro nel tempo. Prima della vedova De Mauro, come testimone dell’accusa si siede davanti ai giudici il regista Francesco Rosi, 82 anni da compiere tra pochi mesi. Ricorda il suo film su Salvatore Giuliano: «Lo girai in Sicilia nel 1961, sui luoghi dove si svolsero realmente i fatti che volevo raccontare e in quell’occasione conobbi Mauro De Mauro». Qualche anno dopo lo chiamò per chiedergli di collaborare a un altro film-inchiesta, sul caso Mattei: «Doveva ricostruire gli ultimi giorni del presidente dell’Eni in Sicilia e lui accettò con entusiasmo. "Caschi bene perché me ne sono occupato per il mio giornale" mi disse». Rosi assicura di non avere segreti: «Tutto quello che so sulla morte di Mattei e su De Mauro l’ho messo nel mio film. Ho portato una cassetta e ve la consegno». Il regista rivela di essere stato interrogato dal giudice palermitano Cesare Terranova, «lo ricordo nitidamente» ma di quel verbale non c’è traccia. Terranova fu ammazzato dalla mafia nove anni dopo il sequestro De Mauro, come tante altre persone, i cui nomi vengono evocati nella grande aula: il commissario Boris Giuliano, il generale Dalla Chiesa, il procuratore Scaglione, il colonnello Russo, il giudice Chinnici. Oltre che di storia, il recinto di questo processo è pieno di uomini assassinati. Di quel lavoro per Rosi ha ricordi precisi la moglie del giornalista, che ripete una frase dettale da De Mauro: «Ho scoperto delle cose, ma non se darle a Rosi o utilizzarle in altro modo». E pochi giorni prima di sparire, in casa con la moglie e le figlie, rivelò: «Ho saputo una cosa talmente grossa da far tremare l’Italia». La signora Elda gli chiese che cosa e lui cominciò: «Ho saputo che il presidente...». In quel momento suonarono alla porta, la signora Elda andò ad aprire e, quando tornò, non ripresero più il discorso. Di legami tra la scomparsa di De Mauro e la morte di Mattei parla un pugno di pentiti di mafia, a cominciare dal capostipite, Tommaso Buscetta. Morto anche lui. Altri vecchi mafiosi collegano invece la fine del giornalista al golpe Borghese, che in Sicilia doveva coinvolgere pure la mafia. Il passato fascista di De Mauro, prima di approdare al quotidiano filo-comunista del pomeriggio, offre qualche appiglio a questa ipotesi. Il pentito Gaspare Mutolo disse nel ’92 che fu ucciso «perché scriveva articoli pesantemente critici contro singoli appartenenti alla mafia» e ora in aula ripete le confidenze ricevute trent’anni fa da un altro «uomo d’onore», Emanuele D’Agostino: «Con fare molto tranquillo mi disse: "L’abbiamo strangolato". Disse che sapevano a che ora rientrava a casa e che l’aspettavano là». Anche la signora Elda lo aspettava là. Adesso aspetta che finisca l’udienza e che riportino lei a casa. Oltre che testimone, nel processo è parte civile. Il suo avvocato Francesco Crescimanno definisce la trasferta romana «decisamente positiva». Pure se sono passati trentasei anni e siamo solo al primo grado di giudizio contro un imputato che di anni ne ha 76. Pure se la signora De Mauro durante la deposizione ha un momento di cedimento e sbotta: «Mi sono talmente stufata di tutta questa storia! Faccio uno sforzo terribile, oltre al rinnovarsi del dolore...». Subito dopo si frena: «Chiedo scusa per le mie intemperanze» ma il presidente la tranquillizza: «Lei non deve scusarsi di niente». Giovanni Bianconi