Corriere della Sera 17/06/2006, pag.31 Giorgio De Rienzo, 17 giugno 2006
Uno psichiatra nella stanza buia di casa Pascoli. Corriere della Sera 17 giugno 2006. Cesare Garboli (pace all’anima sua) ha impiegato anni a studiare le carte di Pascoli per scoprire l’«impotenza» e il conseguente «voyeurismo» del poeta
Uno psichiatra nella stanza buia di casa Pascoli. Corriere della Sera 17 giugno 2006. Cesare Garboli (pace all’anima sua) ha impiegato anni a studiare le carte di Pascoli per scoprire l’«impotenza» e il conseguente «voyeurismo» del poeta. Ora lo psichiatra Andreoli, in una analisi su I segreti di casa Pascoli (Bur, 243 pagine, euro 9,20) cambia le carte in tavola e porta una notizia ben più ghiotta per chi ama osservare i grandi dal buco della serratura. Giovanni ebbe una relazione carnale con la sorella Ida e poi, perso per sempre l’amore incestuoso, si mise a bere come una spugna, fino a morire di cirrosi epatica a cinquantasei anni. Tutto ha inizio il fatidico 10 agosto del 1867, quando un colpo di fucile uccise il padre Ruggero sulla strada di ritorno da Cesena a San Mauro: «Un delitto che non ha mai trovato né colpevoli né giustizia». Pascoli aveva allora tredici anni e subì un profondo «trauma». La trafila clinica è questa. Giovannino, nella propria fantasia, prende il posto del padre e si lega alla madre in una «simbiosi totale di sapore edipico». Ma c’è in agguato un’altra disgrazia. A distanza di poco più di un anno muore anche la madre e la famiglia si disgrega. Per Pascoli diventa allora un’idea fissa riunire la famiglia e ciò avviene solo più tardi nella casa di Massa (giugno 1885), dove Giovanni ricostruisce il «nido» con le sorelle Ida e Maria. Attenti perché il gioco è complicato nella mente tortuosa del poeta. Pascoli ha ventisette anni, Ida ne ha diciannove e Maria due di meno. Giovanni si assume il carico della famiglia, provvede ai suoi bisogni. Ida è una donna fatta, di prosperose forme; ha senso pratico della vita e nel trio è lei che si occupa della casa. Maria è piccola, gracile e asessuata, sognante e intellettuale. Ha le caratteristiche dell’«isterica» che tende ad attirare su di sé l’attenzione generale. Certo è che, nel caldo di questo «nido» ricostruito, gli anni tra il 1885 e il 1895 sono per Pascoli apparentemente i più felici. Ma c’è qualcosa di torbido che cova nella serenità. Presto si ripropone il «trauma» originario con una serie di spostamenti patologici. Ida viene a rappresentare «per Giovanni la donna matura e nel gioco delle metamorfosi inconsce rappresenta la madre. L’oggetto da amare anche fisicamente». Andreoli porta come documenti disegni inediti, stralci di lettere e di poesie. Non sono testimonianze forti, ma da interpretare. C’è, per esempio, nella poesia «Donando un anellino a Maria» una dedica sospetta: «Ida e Giovanni a Maria. Alla nostra piccola consolatrice e figlia ».La situazione è vissuta in un clima di idillio, ma sfocia nella tragedia, perché da fantasie e sublimazioni si passa ai fatti. Con il tempo comincia a circolare un’aria di sospetti nel trio: Maria, l’isterica di casa, monta la guardia per fare in modo che Giovanni fratello-padre e Ida sorella-madre non possano avere spazi per un’eccessiva intimità. Arriva l’«anno terribile», il 1895, e tutto va in pezzi. Andreoli non porta in verità prove schiaccianti, ma si dice sicuro che il rapporto tra Giovanni e Ida fatto di complicità e segrete intese svolti in un rapporto carnale vero e proprio. Maria sorprende i due e li svergogna. Il gioco ambiguo non può più dunque continuare e viene deciso un taglio netto a una situazione insopportabile. Ida sarà costretta a prendere marito e per Giovanni si apriranno le porte dell’inferno: il senso di perdita del suo oggetto d’amore sarà soffocato nell’alcol, in una scelta che Andreoli non esita a definire di «suicidio» programmato. «E pensare che c’è ancora chi continua a considerare Pascoli come il poeta leggero della natura e dei fiorellini», chiosa lo psichiatra, mentre «è uno dei tragici più grandi». Dimentica però che accanto al Pascoli di Myricae, che contempla lo spazio limitato dei campi, c’è un poeta ben più grande che guarda con spavento l’immenso cielo stellato: quella «infinita ombra» dell’universo popolata di «spazi silenziosi» che ruota «minacciosa» intorno al «piccolo globo opaco» della Terra. lo spazio dell’ignoto che si nasconde nell’imperturbabilità del firmamento: uno spazio figurato dalla fantasia di Pascoli come abisso vertiginoso in cui possono avvenire «crolli» immensi o cataclismi e in cui regna l’angoscia della morte. Pascoli consegna questo messaggio inquietante. Il «cantuccio d’ombra», il «nido» di cui parla è il porto in cui si rifugia un’anima spaventata. Che poi nella realtà biografica l’atmosfera di questo «nido» fosse morbosa poco importa per i versi di Pascoli: nulla toglie alla loro «verità umana». Ma forse oggi trascinare il poeta sul lettino dello psicoanalista, per scoprirne torbidi segreti e svilirlo, può servire a esorcizzare una paura che ancora ci appartiene: a dimenticarla (o a sopirla) in una vanità intellettuale. Giorgio De Rienzo