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 2006  giugno 17 Sabato calendario

Curtis Betty

• (Roberta Corti) Milano 21 marzo 1936. Lecco 15 giugno 2006. Cantante. «[...] fu una delle prime urlatrici, voce fra le più note degli anni 50 e 60 nella musica leggera italiana. L’Italia canora di fine anni Cinquanta era un paesone in fermento. Ugole d’oro di vecchio stampo e ”rivoluzionari” dall’urlo facile convivevano in totale bonomia. Betty Curtis era nata a Milano, ma veniva dal sud, da genitori immigrati, fu scoperta da Teddy Reno, e fu lui a suggerirle di adottare quel nome dal sapore americano, più adatto ai tempi del più anonimo Roberta Corti. Agli italiani piacque subito, cantava con una voce squillante, acutissima, un timbro limpido e potente, ma soprattutto piaceva quella sua aria da signora simpatica, una perfetta italiana che però portava nella canzone i segni dell’incombente modernità. Quando infilò il suo primo successo cantando La pioggia cadrà di Gilbert Becaud (bissato poi con Nessuno e Una marcia in fa) rientrò di diritto nel nuovo filone degli ”urlatori” (gli altri erano Toni Dallara, Jenny Luna, Joe Sentieri e perfino la prima Mina) ingenua versione nostrana di quella nuova sensibilità che spirava dall’America sulla spinta del rock’n’roll. Betty Curtis era una brava ragazza, moderata e perbene, e già nel 1958 si era legittimamente sposata con Claudio Celli, uno dei componenti del Quartetto Radar, oggi dimenticato, ma allora molto popolare. L’unico gesto di intemperanza le scappò nel 1961 quando vinse il festival di Sanremo, in coppia con Luciano Tajoli, con la canzone Al di là, scritta dal giovane paroliere Giulio Rapetti (meglio noto in seguito come Mogol) e Donida. Il gestaccio di rivalsa, non sfuggito ai fotografi, fu indirizzato a Milva, chiamata allora ”la pantera di Goro”, arrivata solo terza con Il mare nel cassetto. Rivalità d’altri tempi. Al di là, pezzo decisamente tradizionale, fu la sua unica vittoria al festival (al quale partecipò più volte fino al 1969), ma rimase comunque una regina del juke-box, al punto che quando il settimanale ”Sorrisi e Canzoni” propose una spiritosa campagna elettorale per eleggere un ipotetico parlamento della musica, vinse la lista denominata Movimento jukeboxista, nella quale militavano Mina, Di Capri, Celentano e Betty Curtis. Cose di un’Italia che non c’è più» (Gino Castaldo, ”la Repubblica” 17/6/2006). «Spetta a lei [...] il ruolo di mamma delle urlatrici, dalla prima Mina giù giù fino alla Nannini e agli ultimi (e sempre più deboli) epigoni, genere Irene Grandi. Betty Curtis era ben consapevole di aver aperto una strada, ma era un tipo troppo riservato e timido per rivendicare apertamente di aver inaugurato, lei quieta ragazza milanese con i capelli cotonati e gli occhioni dalle lunghe ciglia, la via a un modo meno provinciale e prevedibile di essere cantante. E con la prudenza che sempre ha accompagnato il percorso artistico delle donne nel mondo della musica, era davvero cosa non da poco. Teatro della scoperta fu naturalmente il Festival di Sanremo, crogiuolo di ogni novità in quel tempo remoto di speranze e ottimismo generale. Domenico Modugno aveva spazzato via l’anno prima il ristagno della tradizione con Volare, quando nel ’59 si presentò alla solita gara la ventitreenne Betty Curtis con Nessuno, cantata in coppia (come usava all’epoca) con la pagnottoncella bionda Wilma De Angelis. La differenza fra le due fu subito evidente, la voce squillante e morbida di Betty si apriva su nuovi orizzonti, deviava dal prevedibile, osava l’inosabile. E fu ”urlatrice” in un amen: lei fra le donne, Tony Dallara fra gli uomini, prototipi di un filone che avrebbe disturbato a lungo i benpensanti. Certo, ancora non tutti sapevano che di lì a poco sarebbe arrivato un ciclone chiamato Mina, e in un guizzo si sarebbe portata via quella Nessuno, facendone, per l’epoca, una versione punk. E certo l’arrivo del fenomeno Mina fu per Betty Curtis quel che sarebbe diventata negli Ottanta Madonna per la emergente Cindy Lauper: un vento che tutto spazzola, relegandoti fra le ballerine di fila. Le due ebbero anzi a Sanremo, nel 1960, un momento comune, quando entrambe furono invitate a cantare Non sei felice. Erano tempi in cui le novità si susseguivano alla velocità della luce, e c’erano tanti passi avanti da compiere per abbandonare il bosco oscuro della convenzione. Con la sua compostezza, con la voce sempre limpida e squillante, Betty Curtis si consolidò comunque nella prima fila del Sanremone nel 1961, quando vinse con Al di là in coppia con Luciano Tajoli, dando al brano fortemente melodico un taglio moderno, ma anche recuperando uno stile più classico che da allora non abbandonò. A Sanremo, seguì Buongiorno amore con Dorelli nel ’62: che però fu l’anno di un successo prepotente per Betty fuori dal ghetto della Riviera dei Fiori, con Chariot portata al successo in Francia da Petula Clark; accanto alla Clark si ritrovò ancora al Festival per Invece no nel ’65. L’ultima, non memorabile partecipazione è del ’67. I tempi incalzano, una rivoluzione più prepotente si sta affermando anche sul piano musicale. E la signora delle urlatrici si fa da parte, si dedica alla famiglia (aveva sposato un componente del Quartetto Radar) e al figlio. Le apparizioni tv saranno rare e avare, l’ultima a Domenica in nel ’96 [...]» (Marinella Venegoni, ”La Stampa” 17/6/2006). «Aveva un bel caratterino e si considerava qualche spanna sopra colleghe pur autorevoli come Nilla Pizzi o Wilma De Angelis: perché lei era quasi rock, in quanto corrispettivo femminile degli ”urlatori” tipo Tony Dallara. [...] Piccola, magra scattante era stata scoperta da Teddy Reno (inventore del suo nome d’arte) che, dopo aver ascoltato un provino di Con tutto il cuor (With all my heart) l’aveva piazzata al festival di Sanremo del 1959 con Nessuno (’Nessuno ti giuro nessuno nemmeno il destino ci può separar”) in coppia con Wilma De Angelis. La sua timbrica facile all’acuto, il suo modo di stare in scena un po’ peperino, certamente lontano dagli schemi dell’epoca, la resero subito molto popolare presso il grande pubblico. Tanto da diventare una assidua protagonista della rassegna sanremese dover ritorna con Amore senza sole in coppia con Johnny Dorelli, e Non sei felice assieme a Mina. E nel 1961 vince con Al di là in coppia con Luciano Tajoli. Nello stesso anno vince anche il Festival di Napoli con «Tu si’a malincunia». Nel ’62 propone in coppia con Dorelli Buongiorno amor, altra canzone di discreto successo. Nel ’65 è sulla stessa ribalta con Invece No in coppia con Petula Clark della quale inciderà anche la versione italiana di Chariot (’Se verrai con me, sul mio carro fra le nuvole”). La sua ultima partecipazione al Festival è nel 1967 con Più forte di me in coppia con Tony Del Monaco. La carriera di Betty Curtis si fermò nel ’68 dopo aver piazzato molti successi fra cui La pioggia cadrà, Con tutto il cuor, Cantando con le lacrime agli occhi ed anche la divertentissima e surreale Una marcia in fa (’Una marcia in fa maggior, una marcia per favor, per la figlia dell’amor...”), ”Scegli me o il resto del mondo”. Si fermò perché aveva deciso di fare la moglie e la madre. Sposò Claudio Celli, del quartetto Radar e successivamente tentò la professione di talent scout. Ma il rientro sulla scena, anni dopo, si rivelò abbastanza difficile. Gia negli anni Sessanta, quando era diventata sempre meno urlatrice e sempre più melodica, i fans avevano smesso di comprare i suoi dischi. I discografici a loro volta smisero di credere in lei e la consideravano una piantagrane. Faceva un sacco di serate, a volte con orchestra, a volte col pianista, a volte semplicemente con la base (una scelta che le colleghe come Nilla Pizzi disapprovavano). La presenza scenica non le mancava: girò film, nel ’59 I ragazzi del juke box e nel ’60 Urlatori alla sbarra. E anche negli anni ’80 e ’90 Betty Curtis ha portato in tv i brani evergreen degli anni ’60, partecipando a programmi come Al Paradise, Via Teulada ’66 e Domenica in del 1996 condotta da Mara Venier. Il rimpianto per la brevità del suo successo non la abbandonò mai. Diceva: ”Ogni tanto mi viene addosso una specie di malinconia. Mi piacerebbe poter tornare indietro, rivivere quegli anni di notorietà” [...]» (Mario Luzzatto Fegiz, ”Corriere della Sera” 17/6/2006).