Il Sole 24 Ore 11/06/2006, pag.45 Antonio Ghirelli, 11 giugno 2006
La patria nel pallone. Il Sole 24 Ore 11 giugno 2006. Quando, nel lontanissimo 1954, Carlo Muscetta propose a Einaudi di farmi scrivere la storia del calcio in Italia, il grande editore torinese pensava di dar vita a una collana di libri sportivi alla quale, però, finì per rinunciare
La patria nel pallone. Il Sole 24 Ore 11 giugno 2006. Quando, nel lontanissimo 1954, Carlo Muscetta propose a Einaudi di farmi scrivere la storia del calcio in Italia, il grande editore torinese pensava di dar vita a una collana di libri sportivi alla quale, però, finì per rinunciare. Allora pochissimi intellettuali, come Gianni Puccini e Giansiro Ferrata, s’interessavano di sport e soprattutto sotto il profilo sociale, salvo un tentativo di Gianni (al quale fui associato) di dedicare un film alla "domenica della buona gente", che poi fu girato, curiosamente, da Mario Camerini. Le cose sono molto cambiate negli ultimi decenni , Q sia perché la rivoluzione telematica ha imposto lo spettacolo calcistico a una vastissima "audience", sia perché il gioco ha conquistato strati sociali e Paesi un tempo lontanissimi dal "football" di ispirazione britannica. Ancora pochi giorni fa il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, che è ghanese e che perciò domani (giorno di debutto della nostra Nazionale in Germania) tiferà contro gli azzurri, ha confessato di invidiare il signor Blatter, presidente della Fifa (la Federazione internazionale del calcio), perché conta più Paesi affiliati di quanti possa vantarne l’Onu. Nella diffusione planetaria del gioco, naturalmente, non ha contato soltanto la tv satellitare. Sono la sua bellezza intrinseca, la sua natura di "surprise party", la sua potenziale identificabilità con un luogo, una città, una nazione, ad averne propiziato la diffusione, e negli ultimi decenni soprattutto nei Paesi di nuova indipendenza in Africa e in Asia. Ma un’influenza rilevante, anch’essa spiegabile con l’origine inglese del regolamento, l’ha avuta e continua ad averla la vocazione all’organizzazione di grandi eventi, su tutti ovviamente il campionato del mondo, giunto ormai alla sua sedicesima edizione, inaugurata venerdì scorso a Monaco di Baviera dalla partita tra la Germania e il Costarica, ospite (almeno teoricamente) di comodo per la squadra di casa. Per la nostra generazione, i vecchietti nati nei primi anni del secolo scorso, le imprese della Nazionale nella Coppa del Mondo sono state, grazie alle radiocronache di Nicolò Carosio, il deterrente di una passione che non s’è mai spenta. Quando feci, nel 1962, per la Rai e il "Corriere della Sera" un grande servizio di presentazione nei sedici Paesi delle finaliste per la Coppa Rimet, riuscii nientemeno a valicare la cortina di ferro senza visto, perché all’aeroporto di Praga persuasi un gentilissimo ufficiale della dogana a lasciarmi passare, essendo atteso per una storica intervista con Planicka, portiere e "capitano" della formazione cecoslovacca che gli azzurri avevano battuto a Roma nella finalissima del 1934, conquistando il primo titolo mondiale. In Cile, invece, combinai un mezzo guaio - ed è noto - perché, sbarcando a Santiago, raccontai sul giornale di via Solferino la sensazione di desolante miseria che avevo provato lungo il percorso dall’aeroporto alla capitale. Successe l’ira di Dio, anche perché ai cileni conveniva aizzare i tifosi contro la nostra Nazionale, che poteva bloccare nei quarti di finale la squadra di casa. E poiché nella mia lunghissima esperienza professionale ne ho combinate di tutti i colori, nella fausta serata dell’11 luglio 1982, quando l’Italia liquidò la Germania assicurandosi il terzo alloro mondiale, io non ero a Madrid. Due anni prima, nelle circostanze a cui ho accennato nel libro dedicato al Caro Presidente, proprio durante un viaggio in Spagna fui esonerato dall’incarico di direttore dell’ufficio stampa del Quirinale. Il che, naturalmente, non mi impedì di assistere alla deliziosa scena di Sua Maestà Juan Carlos entusiasticamente sbalordito dal fervore giovanile con cui Sandro, braccia levate al cielo, sorriso smagliante, inneggiava al terzo successo azzurro, atteso da oltre 40 anni. Non assistetti, invece, neppure dinanzi al teleschermo alla scena che avvenne sull’aereo presidenziale, messo a disposizione degli azzurri dal Presidente, che costrinse più volte Bearzot, il bravissimo allenatore, a fronteggiare la sua incontenibile aggressività nelle partite di scopone scientifico. Scherzi a parte, si deve a Pertini, prim’ancora che a Ciampi e oggi a Giorgio Napolitano, il grande ritorno da sinistra al sentimento di amor di patria che la sacrosanta polemica antifascista aveva appannato: a destra, sono rimasti i leghisti, ostili all’unità d’Italia e a Roma ladrona, affascinati dalla "devolution". Ma forse anche i dentisti e gli "stewart" di Bossi, in cuor loro, tifano da venerdì per la Nazionale, come ha fatto lo stesso "epurator" del calcio, Guido Rossi, quando si è precipitato a Coverciano, alla vigilia della partenza azzurra per Duisburg, prodigandosi nell’incoraggiare i giocatori e nell’assolvere preventivamente il ct Lippi, nonostante il marginale conflitto d’interessi per la presenza del figlio nella demoniaca Gea, la P2 del pallone. Un ’ Qaccoglienza affettuosissima hanno riservato ai nostri "ragazzi" anche i tifosi italiani che vivono in Germania, tanto da farci temere che una pur auspicabilissima affermazione degli azzurri nel "mondiale" potrebbe indurre Rossi e Borrelli, suo coadiutore nelle opere di giustizia, a non far cadere troppe teste per il catastrofico scandalo di questa estate. Sarebbe una sciagura per il calcio, ma una conclusione in tutto degna per un affaire così italiano da ispirare il povero Germi, se fosse ancora vivo. Antonio Ghirelli