La Repubblica 10/06/2006, Fabrizio D’Amico, 10 giugno 2006
Il ´900 si apre con cézanne. La Repubblica 10 giugno 2006. Aix-en-Provence.A tradire Cézanne fu fors´anche il bisogno dell´isolamento e dell´essere appartato ostinatamente perseguiti tutta la vita nella provincia natale: ad Aix-en-Provence o nei suoi dintorni, ove sempre tornò a cercare il filo dei pensieri sulla pittura che il frastuono di Parigi gli impediva
Il ´900 si apre con cézanne. La Repubblica 10 giugno 2006. Aix-en-Provence.A tradire Cézanne fu fors´anche il bisogno dell´isolamento e dell´essere appartato ostinatamente perseguiti tutta la vita nella provincia natale: ad Aix-en-Provence o nei suoi dintorni, ove sempre tornò a cercare il filo dei pensieri sulla pittura che il frastuono di Parigi gli impediva. A "tradire", diciamo, ovviamente soltanto per quel che riguarda il tardivo riconoscimento che della sua pittura fu fatto; che coincise esattamente con la sua morte, nell´ottobre del 1906: quando il Salon d´Automne riunì - ed era la prima volta - una decina di sue tele che bastarono a fare intendere a ciascuno come il secolo che s´apriva avrebbe preso le mosse proprio da quella pittura. In realtà, fu proprio la solitudine e il silenzio di Aix (quasi senza colloqui, se s´eccettua quello intrecciato in gioventù con mile Zola, compagno sin dagli anni del liceo) a fare gigantesca quell´esperienza, e così gravida di futuro. Così, a distanza di dieci anni dalla non dimenticabile mostra dedicata a Cézanne dal Grand Palais di Parigi, è il Musée Granet di Aix-en-Province che oggi s´incarica di celebrarne il centenario della morte, allestendo, da oggi, una vasta rassegna (85 dipinti, 32 acquarelli, a cura di Denis Coutagne e Philip Conisbee) intitolata «Cézanne en Provence», promossa dalla Réunion des musées nationaux in collaborazione con la National Gallery of Art di Washington, dove essa s´è appena chiusa. «Ho fatto qualche lento progresso. Perché così tardi e con tanta fatica?», scrive Cézanne da Aix, nel 1903, a Ambroise Vollard (il mercante che gli aveva allestito la prima grande personale nel ´95). Poi, nel 1906, a poche settimane dalla morte, al figlio Paul: «Divento più lucido davanti alla natura, ma, una volta rincasato, la realizzazione delle mie sensazioni è sempre faticosissima». E, lo stesso anno e sempre da Aix, a mile Bernard: «Faccio studi sempre all´aperto, e mi sembra di fare lenti progressi. Vi avrei voluto qui accanto, perché la solitudine mi pesa sempre un po´. Ma sono vecchio, malato e ho giurato a me stesso di morire dipingendo. Arriverò alla meta tanto cercata e così a lungo perseguita?». Risalgono dunque agli ultimi anni e mesi queste parole desolate e trepide, tanto incerte di sé da frastornare. Il progresso incerto e faticoso; la "sensazione" che ogni volta gli sembra sfuggire; la vita, di cui percepisce la prossima fine; e accanto a questi, altri fantasmi che s´alzano giganti, insormontabili. Uno è la consapevolezza della necessità d´un lavoro che sia, oltre che intera ossessione, impegno ininterrotto: davvero quotidiano, soprattutto adesso che avverte come sia poco il tempo rimastogli. L´altro è quello della natura ("la Natura", talvolta), e dello "studio concreto" che su di essa va condotto: sola, difficile salvezza dall´"ésprit littérateur" che spesso assale la mente dei pittori, e dalla stessa eccessiva devozione a quel "museo" di cui altra volta, prima, aveva suggerito, a lui stesso e ad altri, un´assidua frequentazione. Ma proprio mentre le lettere ultime - splendide, sconnesse e quasi rantolanti, impastate insieme di memoria, di pensiero, di grida, di sofferenza - attestano il disagio di Cézanne che dubita, più che mai, della sua "realizzazione", nascono alcune delle opere più alte: sulle quali la mostra di Aix fa lunghe, giustissime soste: dalle più tarde Sainte-Victoire (provenienti dai musei di Princeton, di Philadelphia, di Mosca, di Basilea) alle Grandi Bagnanti di Londra, ad alcuni degli ultimi ritratti del Giardiniere Vallier: uno dei quali fu probabilmente l´ultimo dipinto cui pose mano. Giardiniere, ma poi tuttofare a Lauves - ove Cézanne s´era ritirato dopo aver venduto il Jas de Bouffan - e, all´occorrenza, anche infermiere: Vallier era un vecchio, come vecchio si sentiva Cézanne che per quell´uomo semplice ebbe un trasporto tale da farne, alla fine, il suo unico modello. «Sono nella città della mia infanzia, ed è guardando la gente della mia stessa età che rivedo il mio passato. Amo soprattutto l´aspetto delle persone che sono invecchiate senza far violenza alle proprie usanze, lasciandosi andare alle leggi del tempo». Ecco cos´era per lui Vallier: un uomo in accordo con la Natura. Del quale, quando il vecchio era assente alla prevista seduta di posa, è stato scritto persino (da Joachim Gasquet, figlio d´un coetaneo di Cézanne) che Cézanne stesso vestisse i poveri abiti, sostituendosi così al suo modello: "uno strano scambio dunque, una sostituzione mistica, e forse intenzionale" si sarebbe dunque realizzata fra i due vecchi: nati entrambi, in un´altra epoca, sotto il cielo di Aix. A proposito di uno di questi ritratti, oggi in collezione privata inglese, Lionello Venturi scrisse, consentendo in fondo con il "paradosso" di Gasquet (da altri poi smentito), che «l´immagine del vecchio giardiniere, fermo e solenne, rivela la personalità di Cézanne negli ultimi momenti della vita meglio di un autoritratto». «Chi ama Michelangelo nella Pietà Rondanini più che nel Davide, chi ama Tiziano nel San Sebastiano di Leningrado più che in quello di Brescia» - o, possiamo aggiungere, chi ama Giacometti più nel silenzio ottuso e chiuso in sé di uno degli ultimi ritratti di Lotar che nell´enigma ancora surrealista de La cage - «deve sentire l´incomparabile grandezza di questa tra le opere di Cézanne». Di questa, o d´altre analoghe: come la tela della Tate Gallery o l´altra della National Gallery di Washington, entrambe esposte ad Aix. L´una giocata più sul rapporto dell´uomo - compostamente seduto sulla sedia, le braccia conserte - con lo spazio che lo circonda, attenta dunque a preservare intatti quei rapporti di tono che Cézanne inseguiva, con piccoli tocchi separati di colore, gli ultimi anni, con caparbia e quasi esclusiva volontà; l´altra con la figura del vecchio che, tagliata a mezzo, urge dalla sua forra scura verso il primo piano, gravata dal silenzio incombente d´uno spazio che s´è essugato attorno ad essa e al volto di Vallier segnato dal tempo. Circa al 1904 sono datate altre opere, di diverso concetto, anch´esse nate in Provenza: quali ad esempio diverse versioni delle rocce di Chateau Noir, un pieno di foga inaudita, un occhio che precipita nell´intrico della vegetazione come a squassarla; come era avvenuto forse per la prima volta nella seconda metà degli anni Novanta, quando lo sguardo di Cézanne s´era posato sugli incastri possenti, sui sommovimenti quasi geologici degli aspri agglomerati rocciosi avvistati sulla via di Bibémus; occasione che gli aveva consentito assalti come mai prima d´allora accesi e turbati al dato di natura (e a Aix sono presentati alcuni degli esempi maggiori della serie della Carrière de Bibémus, come quello proveniente dal museo di Essen). "Materia in via di darsi forma"; "ordine nascente"; e l´"impressione della natura colta alla sua origine": è Merleau- Ponty ad avere forse più profondamente d´ogni altro penetrato il senso di verità primordiale, di stupore e insieme di possesso, annidato nella natura di Cézanne. Nelle opere di Bibémus, poi in quelle di Chateau Noir - certo, le une e le altre, fra le sue più indimenticabili - è un affondo straordinario al cuore d´una natura in subbuglio, da cui chi guarda è come stordito, e vinto. Pittura, solo, perché ogni racconto vi è eluso, ogni fuga fantastica interdetta. Pittura in cui lo sguardo annega, privato d´ogni appiglio. Solo avverte, chi guarda, l´ineluttabilità di questa apparizione, in bilico fra ascesa e vertigine, fra colore e massa; forse, fra vita e morte. L´orizzonte vi è spesso escluso: e allora, sotto il breve ritaglio del cielo, s´ordisce in affanno l´incastro muto e dolente delle rocce. E sembra di ascoltare da quei loro lamenti, dalla loro voce bassa, roca e grave le parole celebri, eppure così misteriose, tante volte confessate da Cézanne: «Trattate la natura attraverso il cilindro, la sfera, il cono, il tutto posto in prospettiva». Parole con le quali Cézanne si consegna davvero al tempo che verrà. Poi, ripercorrendo all´indietro le sale, vediamo la mostra documentare (soprattutto attraverso i paesaggi, assai più ampiamente rappresentati dei ritratti, delle nature morte e delle composizioni) gli anni Settanta, che videro la breve vicinanza di Cézanne all´impressionismo (passaggio breve ma anche per lui cruciale, soprattutto per il rapporto stretto che lo legò allora a Pissarro: indagato felicemente dalla mostra «Cézanne et Pissarro» appena chiusasi al museo d´Orsay di Parigi), e gli Ottanta, trascorsi prevalentemente in Provenza. Pochi invece i dipinti giovanili - più misteriosi e certo più "difficili" - nati "a fianco" di Zola e avendo a mente la grandezza di Baudelaire: fra i quali la Jeune fille au piano dell´Hermitage. Fabrizio D’Amico