La Repubblica 11/06/2006, pag.50 Silvana Mazzocchi, 11 giugno 2006
Lina Wertmüller. La Repubblica 11 giugno 2006. Roma. Senza musica, dice, non potrebbe vivere. Pochi lo sanno, ma lei ha scritto centinaia di canzoni per i suoi film, e perfino per qualche celeberrima cantante, Mina compresa
Lina Wertmüller. La Repubblica 11 giugno 2006. Roma. Senza musica, dice, non potrebbe vivere. Pochi lo sanno, ma lei ha scritto centinaia di canzoni per i suoi film, e perfino per qualche celeberrima cantante, Mina compresa. Le incideva su nastro e le affidava ai suoi attori che cercavano di interpretarle al meglio, con lo stesso tono disincantato, l´ironia sottile e l´impareggiabile leggerezza intelligente di Lina Wertmüller, versione breve del nome completo e infinito che dà il titolo alla sua autobiografia edita da Frassinelli (313 pagine, 19 euro); Arcangela Felice Assunta Job Wertmüller von Elgg Espanol von Brauchich. In allegato al libro, per la prima volta vengono offerte al pubblico 32 di quelle canzoni, un tempo riservate soltanto ai set. Lina Wertmüller a cantarle, con la sua celebre voce roca, («e sexy», ride lei), una caratteristica che, insieme agli eterni occhiali bianchi (quando li scoprì, più di quarant´anni fa, «allegri e leggeri», ne ordinò cinquemila pezzi e mai più li abbandonò), sono la cifra del suo inconfondibile identikit. «Le canzoni mi servivano a mostrare agli attori la scena da girare, non perché le dovessero fare uguale, ma per fargliene capire il senso. Quanto al cd, tranquilli... non ho intenzione di andare a Sanremo». un vulcano di curiosità, idee e progetti Lina Wertmüller e mezzo secolo di cinema e d´arte hanno consolidato l´ottimismo «di chi le cose è abituata a farle più che a parlarne». Da I basilischi, che già nel ’63 la promosse a regista di successo, attraverso i suoi tanti film dai titoli così lunghi da sembrare una provocazione per la memoria: Mimì metallurgico ferito nell´onore, Travolti da un insolito destino nell´azzurro mare d´agosto, Film d´amore e d´anarchia: ovvero stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza e tanti altri. «I produttori volevano titoli brevi perché secondo loro funzionavano di più, e io invece glieli facevo lunghi. Per uno scherzo quasi ottocentesco; mi divertiva che non se li ricordassero tutti». Fino ai più recenti e «sintetici», Ninfa Plebea in omaggio al libro di Domenico Rea, a Francesca e Nunziata, film per la tv con Sophia Loren. Quanti attori ha diretto: Giancarlo Giannini e Mariangela Melato, forse i suoi preferiti e, fra i tanti altri, Ugo Tognazzi, Nino Manfredi, Angela Molina, Candice Bergen, Paolo Villaggio. Ha messo insieme una trentina di film, altrettante sceneggiature, qualche musical e quattro documentari. E teatro, tanto teatro, fin da giovane, anzi da giovanissima. «Non sono ancora stanca. Ci sono tante cose che vorrei fare, anche se è difficile realizzarle. Ho una montagna di progetti, una parete piena e che non finisce mai. Mi innamoro di quello che ho in testa e non smetto mai, sono troppo curiosa». Nel sogno del suo prossimo futuro ci sono almeno due film. Ricorda che molti anni fa rifiutò «una barca di soldi» per realizzare negli Usa il Caligola di Gore Vidal: «Ora vorrei fare il "mio" Caligola, con al centro la contrapposizione tra popolo e potere». Da lei, libro alla mano, ti aspetteresti una valanga di ricordi e di dettagli personali. E invece no. Lina, anche se parla molto di cinema, arte e teatro e perfino di canzoni, sul privato non si sbottona facilmente. «Per l´autobiografia ho messo insieme il materiale un po´ alla volta e l´ho scritta solo molto tempo dopo, a modo mio. Io sono una estroflessa: non ho voglia di parlare di me, lo faccio attraverso le persone che racconto, altrimenti mi annoio. che ho da fare, non perdo tempo a guardarmi vivere». Tiene al centro il lavoro Lina Wertmüller, con la sola eccezione del suo adorato marito, Enrico Job, pittore, scenografo e scrittore (il suo terzo romanzo, Il cavallo a dondolo, è appena uscito anch´esso per Frassinelli) e di sua figlia Maucì. «Il lavoro per me è sempre stato importantissimo, ma anche un gioco. E, se non avessi fatto la regista, forse mi sarei data al giornalismo, perché sono curiosa di tutto quello che succede. Oppure chissà, avrei potuto fare la ballerina, mi piaceva ballare...». La Roma del quartiere Prati, ambiente borghese: è bambina Lina Wertmüller quando esplode la Seconda guerra mondiale. Lei rimpiange le tranquille vacanze estive a Francavilla al Mare in Abruzzo e sogna. ribelle, indisciplinata; rifiuta di diventare avvocato come suo padre. Passa da una scuola all´altra, finché conosce Flora Carabella, «l´adorabile Lucignolo» che sarebbe diventata la prima moglie di Marcello Mastroianni e la sua «amica di tutta la vita». Ed è per fare come lei che s´iscrive all´Accademia di Sharoff; frequenta i teatri e adora la grande Andreina Pagnani. E, quando l´attrice accetta di recitare in un musical di Garinei e Giovannini, lei ne diventa l´aiuto regista. Musical, teatro, cinema. «Film, prosa, televisione, non c´è differenza. Quando una storia mi piace la posso scrivere in ogni forma». E fa I basilischi e subito dopo Il giornalino di Gian Burrasca con Rita Pavone, clamoroso successo della Tv del 1964. «Ho avuto fin da allora la fortuna di lavorare con grandi musicisti, Ennio Morricone, Nino Rota». Una vita professionale lunga, varia e scandita da incontri importanti, «di quelli che segnano la vita» (come quello con Otto Frank, il padre della ragazzina che ha raccontato meglio di ogni altro il dramma ebraico), avvenuto al tempo in cui lei, aiuto regista nella compagnia teatrale Valli-De Lullo stava provando a Torino Il diario di Anna Frank. E incontri più leggeri come quello con la favolosa Marlène Dietrich, «bella, diafana e misteriosa». E premi, riconoscimenti anche internazionali e tanti affetti. «Non si possono raccontare tutte le storie di amicizia che ho avuto; il mio solo rammarico è che ormai il palcoscenico si sia svuotato di molti di loro». Sarà pure estroflessa Wertmüller, ma al questionario personale ispirato a Marcel Proust, già tentato nel libro, non si può sottrarre. Come si autodefinisce Lina? «Uno scugnizzo, curioso e vitale». La qualità che preferisce in un uomo? «Due: senz´altro l´intelligenza e la simpatia, e questo vale anche per le donne». Ancora: il fascino, secondo lei? « un mistero, un grande mistero e non dipende certo dalla bellezza estetica. Ed è così anche per la seduzione». I soldi: «Sono importanti. Ho passato tutta la vita a combattere con i soldi perché, per fare cinema, i soldi servono. Altrimenti, per carità, si può anche finire a piazza del Popolo con un teatro di burattini e raccontare le proprie storie così. Ma se vuoi fare i film... Detto questo, si sa che io i soldi a volte li ho anche rifiutati, e non me ne pento. La più grande virtù che ho? La capacità di innamorarmi di un progetto e di andare fino in fondo. L´incontro che mi ha cambiato la vita? Enrico, prima di tutto, e poi mia figlia Maucì. Il cibo? Ho un rapporto godereccio con il cibo, e diffido di chi non ce l´ha. Mangiare è uno dei grandi piaceri della vita». L´età, il tempo che passa. «Io non li sento, non ho mai avuto paura di invecchiare. Almeno finché tutto quello che c´è intorno continua ad affascinarmi, il problema non si pone». Ci ripensa: «Lo so, sarebbe meglio avere delle malinconie. Eppure io non ce l´ho. grave?». Film, teatro, documentari, scrittura. A Lina Wertmüller, artista poliedrica e artigiana, piace fare tutto da sola. «Una cosa mi è mancata: la capacità di essere produttrice di me stessa, come sanno fare gli americani che sono più furbi (forse) di come siamo stati noi». Sorride stavolta con una vena di mestizia: «Io faccio parte dell´ultimo vagoncino di una grande generazione. I migliori sono venuti tutti prima di me: il grandissimo Federico Fellini, Francesco Rosi... io stavo lì che li seguivo come un topolino». Precisa: «Non che sia inconciliabile fare insieme l´artista e il produttore, il fatto è che adesso rimediare è difficile. Ma non ho rimpianti, io non ne ho mai». Proprio nessun rammarico? «Che è, devo mentire? No, non ne ho. Ho sempre portato avanti le storie che mi sono piaciute, non ho mai avuto limitazioni e, anche adesso, vorrei fare quello di cui mi appassiono. Io credo al modo di raccontare leggero, credo nello spettacolo: il pubblico non deve essere castigato e, ridendo piangendo o emozionandosi, alla fine di uno spettacolo deve portarsi dietro qualche piccola domanda. Leggerezza e profondità, le piace il paragone con Pedro Almodóvar. «Con lui sento una qualche analogia. Al Festival di Venezia presieduto da Sergio Leone, ero nella commissione che premiò Donne sull´orlo di una crisi di nervi; all´epoca sentii subito che quello era uno spirito ironico e meraviglioso, con un quoziente bello e pazzo di femminilità». Cerca di non prendersi troppo sul serio Wertmüller. «Non sono narcisa, forse perché non mi guardo. Io sono una che cerca di guardare altrove. E ho bisogno di tempo. Anche l´autobiografia, le canzoni, il cd... ci ho dovuto pensare, tutto è dovuto maturare. Non a caso mi hanno affibbiato tre soprannomi: "Non lo so", "Mo´ vediamo" e "Poi te lo dico". che, quando lavoro, alle domande rispondo sempre così. Quando si gira un film al regista tutti chiedono troppe cose insieme. Mentre tu stai con la testa altrove: devi scegliere gli attori, i luoghi, le situazioni. E tutto richiede tempo, tutto deve maturare. a quel punto che io attacco con i miei famosi: "Non lo so, mo´ vediamo e poi te lo dico". Per temporeggiare. L´importante è che, alla fine, il film somigli alla prima idea, al progetto originario. E, per me, è quasi sempre stato così». Il gioco rimane al primo posto per Lina Wertmüller, ancora oggi. E lo conferma indicando la copertina del libro che la ritrae ridente, vestita di nero, calze velate e in posa alla Marlène Dietrich. «Cambierei tutto di me (ride): vorrei gambe lunghe, occhi azzurri. Insomma tutto diverso, tranne i piedi. Mi piacciono i miei piedi». Silvana Mazzocchi