La Repubblica 11/06/2006, pag.37 Pelé, 11 giugno 2006
"Lo promisi al quadro di Gesù giocherò io e il Brasile vincerà". La Repubblica 11/06/2006. Avevo nove anni quando, nel 1950, il Brasile ospitò la Coppa del Mondo di calcio
"Lo promisi al quadro di Gesù giocherò io e il Brasile vincerà". La Repubblica 11/06/2006. Avevo nove anni quando, nel 1950, il Brasile ospitò la Coppa del Mondo di calcio. Il giorno della finale, il 16 luglio, mio padre decise di organizzare una festa a casa nostra. Invitò una quindicina di amici. [...] Ognuno portò qualcosa da mangiare o da bere e ricordo che la tavola era piena di torte, dolci, panini e birra. Il Brasile giocava contro l´Uruguay e la festa era per celebrare la vittoria. Eravamo il paese ospitante, i favoriti. Per arrivare in finale avevamo massacrato la Svezia e la Spagna, vincendo rispettivamente per sette a uno e sei a uno, e ci bastava pareggiare per portare a casa il trofeo. All´epoca non c´era la televisione, perciò tutto quello che sapevo del calcio professionistico proveniva dalla radio e dalle figurine. [...] In casa avevamo una di quelle radio grosse, squadrate, con due manopole. [...] C´era qualcosa di magico nell´ascoltare il calcio alla radio, amplificava la mia immaginazione di bambino. In realtà non ascoltai tutta la finale, che si svolgeva nel nuovissimo Maracanã di Rio. Tanto per cominciare, c´erano troppi adulti pigiati in casa mia, tutti seduti intorno alla radio. E io ero solo un ragazzino, perciò mi sembrava non cambiasse molto se me ne andavo a giocare a calcio per strada. Poi finimmo per fare fuori e dentro da casa, ascoltando spezzoni di partita e giocando tra di noi. [...] La partita iniziò bene. Il Brasile segnò per primo, con Friaça. In casa tutti urlavano e saltavano. Si sentivano esplodere mortaretti in tutta Bauru. Poco dopo l´Uruguay pareggiò, ma noi eravamo ancora fiduciosi. Poi, quando mancavano dieci minuti al fischio finale, l´Uruguay segnò di nuovo. Ricordo di essere entrato in casa alla fine della partita e di aver visto mio padre e i suoi amici fermi e zitti. Andai da lui e gli chiesi che cos´era successo. «Il Brasile ha perso», mi rispose, come uno zombie. «Il Brasile ha perso». Solo a pensare a quel pomeriggio e alla tristezza che aleggiava ovunque, ancora oggi mi viene la pelle d´oca. Dissi a Dondinho che non doveva essere triste, ma mia madre mi portò via dicendo: «Lascia stare tuo padre, lascialo in pace». C´era silenzio ovunque. Il baccano degli applausi, dei mortaretti, delle radio a tutto volume si era trasformato in silenzio. [...] Bauru era come una città fantasma. Fu anche la prima volta che vidi mio padre piangere. [...] «Un giorno vincerò i Mondiali per te» gli promisi per farlo stare meglio. [...] Più tardi, quello stesso giorno, andai nella camera di mio padre, dove sul muro c´era un quadro di Gesù, e iniziai a lamentarmi: «Perché è successo? Perché è successo a noi? Avevamo la squadra migliore, come abbiamo potuto perdere? Perché, Gesù, perché siamo puniti?». Continuai a piangere, distrutto, mentre proseguivo la mia conversazione con l´immagine di Cristo: «Sai, se fossi stato lì non avrei permesso che il Brasile perdesse la coppa. Se fossi stato lì, o se mio padre avesse giocato, il Brasile avrebbe vinto. Il Brasile avrebbe fatto i gol che servivano...». Pelé