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 2006  giugno 11 Domenica calendario

Lo strano pessimismo delle Borse mondiali. Il Sole 24 Ore 11 giugno 2006. Quando i mercati sono troppo nervosi, finiscono sempre per prendersela con le Banche centrali, considerate colpevoli di non essere abbastanza generose, e dimenticano i problemi di fondo e soprattutto la legge economica fondamentale, in cui eccelleva Peter Sellers nel film "Oltre il giardino", secondo cui tutto ciò che è andato sempre su deve prima o poi tornare giù (e viceversa)

Lo strano pessimismo delle Borse mondiali. Il Sole 24 Ore 11 giugno 2006. Quando i mercati sono troppo nervosi, finiscono sempre per prendersela con le Banche centrali, considerate colpevoli di non essere abbastanza generose, e dimenticano i problemi di fondo e soprattutto la legge economica fondamentale, in cui eccelleva Peter Sellers nel film "Oltre il giardino", secondo cui tutto ciò che è andato sempre su deve prima o poi tornare giù (e viceversa). A tutti farebbe piacere poter credere che le quotazioni azionarie possano continuare a crescere nel 2006 allo stesso ritmo degli ultimi tre anni, ma questo è estremamente difficile e non perché la Bce, non esente peraltro da critiche, abbia aumentato i tassi di un quarto di punto o perché i timori di inflazione negli Stati Uniti (come in altri Paesi) portino a prevedere ulteriori aumenti da parte della Fed nei prossimi mesi. L’ottimismo generato dalla lunga fase rialzista aveva portato a dimenticare che le economie mondiali erano dominate fino all’inizio di quest’anno da fattori eccezionali: la generosa politica monetaria giapponese che forniva liquidità a costo zero (e consentiva profitti fin troppo facili a chi si indebitava in yen per investire sui mercati occidentali e in particolare negli Stati Uniti) e in generale un livello dei tassi di interesse ai minimi storici degli ultimi 40 anni. Sono state queste due condizioni, in parte connesse fra loro, che hanno fatto dimenticare gli squilibri strutturali dell’economia americana, a cominciare da un deficit corrente verso l’estero che ormai sfiora il 7% del Pil, e che hanno consentito ai prezzi del settore immobiliare di rimanere agli alti livelli raggiunti in quasi tutti i Paesi.  solo così che si spiega l’apparente schizofrenia fra il pessimismo che ha generato la caduta dei prezzi azionari (ormai superiore al 10% in poco più di un mese) e previsioni di crescita ancora molto favorevoli. Persino l’Europa, la bella addormentata dell’economia mondiale, dà incoraggianti segni di risveglio: il prodotto lordo dovrebbe aumentare di oltre il 3%, con incoraggianti segnali sull’occupazione. A livello globale, il prodotto è cresciuto del 4% per 11 trimestri consecutivi, un risultato che non si registrava da 30 anni. Era invece naturale che le condizioni eccezionali dovessero prima o poi finire. A marzo, la Bank of Japan ha annunciato che entro l’anno la pacchia della liquidità a costo zero sarebbe finita (si noti la lunghezza del preavviso); inoltre, per varie ragioni le tre Banche centrali principali si sono trovate a realizzare una politica di tassi di interesse che non poteva che essere orientata all’aumento, come in effetti è già avvenuto e come avverrà ancora, se si guarda ai valori impliciti nei tassi a termine.  ingeneroso incolpare le Banche centrali di preoccuparsi troppo dell’inflazione, come ha fatto ieri sul Sole-24 Ore Mario Baldassarri; ancora più ingeneroso insistere sulla minor credibilità di Bernanke rispetto al suo predecessore, ormai in odore di santità come supremo protettore dei mercati. Nessuno ha detto che si stanno ricreando tensioni inflazionistiche paragonabili a quelle del passato, ma certo l’aumento dei prezzi è ormai superiore a quello di guardia e non era possibile che le Banche centrali non reagissero. Inoltre, nel caso europeo, è da condividere l’attenzione con cui la Bce guarda al legame fra crescita del credito e esplosione dei prezzi del settore immobiliare. E comunque va ricordato che il livello dei tassi a breve in termini reali continua ad essere su minimi storici. Nelle preoccupazioni dei mercati sul futuro della politica monetaria vi è peraltro un aspetto, non sempre esplicitato, che merita attenzione. Se tensioni inflazionistiche esistono, queste non possono essere fronteggiate solo con terapie monetarie. Abbiamo finora assistito a un piccolo miracolo: i prezzi dell’energia sono triplicati, quelli delle materie prime hanno battuto ogni record (in Inghilterra, l’umile penny in rame vale più del suo valore nominale: una sorta di copper exchange standard) eppure l’inflazione è rimasta sotto controllo. Tutto questo grazie alla globalizzazione e alla concorrenza. Poiché la seconda può essere ulteriormente aumentata (e questo è soprattutto il caso dell’Italia) è fondamentale che i governi facciano tutto lo sforzo possibile per aumentare le spinte competitive e smantellare ogni barriera protezionistica. Poiché molto è possibile fare anche per la concorrenza nei mercati bancari, sarà possibile per questa via eliminare parte degli effetti indesiderati dell’aumento dei tassi su famiglie e su imprese. Non lasciare sole le Banche centrali di fronte alla nuova situazione congiunturale è dunque il primo obiettivo da perseguire, negli Stati Uniti ma soprattutto in Europa. Solo così si possono prevedere ulteriori fasi di crescita dei mercati azionari che non siano legate solo a circostanze tutte eccezionali e tutte favorevoli, come è avvenuto negli ultimi tre anni. Gli operatori devono alla fine farsi una ragione del fatto che non è sempre festa. Marco Onado