La Stampa 10/06/2006, pag.13 Alessandra Pieracci, 10 giugno 2006
Una telefonata ogni due minuti Il call center è la nuova catena. La Stampa 10 giugno 2006. Genova. «Dopo essere insultato in cuffia per 8 ore esci dall’ufficio che odi tutti
Una telefonata ogni due minuti Il call center è la nuova catena. La Stampa 10 giugno 2006. Genova. «Dopo essere insultato in cuffia per 8 ore esci dall’ufficio che odi tutti. Vuoi solo andare a casa per isolarti dal mondo. Quando arrivano tutte le chiamate non c’è un attimo di tregua e il cervello va in tilt. A volte non riuscivo quasi a guidare, ero in difficoltà, come ubriaco. Quando prendi centinaia di telefonate il cervello è sempre sotto sollecitazione, perché devo risolvere il caso di qua, di là, su e giù e poi tutto in tre minuti, altrimenti il tutor ci sgrida. C’è un monitor rosso sopra la testa che indica i minuti di tutti, e c’è l’aspect, con l’orologio, sul tavolo di ciascuno». Marco P. ha 35 anni, un diploma e un lavoro precario in un call center. A lui e agli altri 999 operatori genovesi, espressione locale di un fenomeno in espansione in Europa e in Italia, è dedicata un’inchiesta promossa dalla Cgil di Genova, condotta in collaborazione con la Asl 3 genovese e un gruppo di lavoro formato dallo psichiatra Angelo Guarnieri, dall’esperto di organizzazione del lavoro Lucio Rouvery, dal responsabile Asl Michele Piccardo, e da Paola Pierantoni, dello Sportello sicurezza della Camera del lavoro genovese. Come si entra in un call center? «All’inizio si fa un colloquio molto semplice con uno dei supervisor, che ti valuta, poi vieni provato per un mese, ma spesso i mesi diventano tre. Finito il periodo, puoi essere confermato per altri tre» dice Marco P. «E questa storia della conferma non finisce mai». L’ambiente di lavoro «è piccolo, rumoroso, fatiscente, malamente riadattato». «E se un giorno ho il raffreddore o sono giù di voce e non posso andare a lavorare, allora non mi pagano. Una volta mi hanno lasciato a casa 20 giorni - racconta l’operatore - e quando ho telefonato mi sono sentito rispondere: quando tu hai bisogno di un mese per andare in vacanza d’estate, dov’è il problema? Noi ti lasciamo a casa adesso perché adesso non abbiamo il lavoro». I dipendenti di alcuni call center sono «intercettati»: «Tutte le telefonate sono registrate per la lunghezza e per l’esito. Ma non sai mai se uno ti ascolta quando le cose vanno bene o quando vanno male». La giornata lavorativa comincia con un briefing, ovvero in una riunione in cui sono distribuiti gli incarichi: «Il supervisor dice: tu tizio sei su Tele2 mail, tu Caio sei su Adsl». Per interrompere, per andare in bagno, per bere «dobbiamo vedere quante persone della nostra sala sono uscite, non possiamo stare fuori più di tre per volta. Si schiaccia un tasto per iniziare il conteggio della pausa, poi si va al foglio dove uno mette il nome, a che ora è uscito. Le sale sono grandi, non si vede quanti mancano, allora c’è un semaforino che dà il verde quando si può andare». In quattro ore «si fanno un centinaio di telefonate, due o tre minuti per persona». «Per alcune campagne abbiamo nomi finti, forse dei codici per poter risalire al call center, e quando si è su una campagna è meglio restarci, altrimenti rischi di confonderti e sbagliare nome». L’ansia è in agguato. «Perché poi se anche fai 10 ordini al giorno, all’indomani è come se non ci fossero mai stati, quindi ti dicono come mai non hai risultati?». La fatica peggiore «è stare per tot ore attaccato a un computer, guardare sempre lo schermo, ed esci con lo sguardo fisso nel vuoto. E poi il dolore al collo per la posizione, mal di testa quando c’è caldo, brusio, confusione, nelle giornate con tante chiamate». In conclusione «i contact centre sono davvero le fabbriche del 2000, i miei amici che lavorano alle Acciaierie dell’Ilva o alla Compagnia Unica del porto sicuramente hanno un tipo di lavoro più pesante dal punto di vista fisico, anche rischioso, ma psicologicamente stanno molto meglio. All’inizio ero finito persino in un sottoscala. Sai, quando fanno le inserzioni ci mettono magari Fastweb, Telecom, ma tu non sai come azienda chi siano e ti ritrovi in uno scantinato senza finestre. Io sono andato via subito, ma c’erano quattro persone che lavoravano addirittura consultando gli elenchi telefonici per trovare nomi e numeri». Sintetizza Rita Guglielmetti, segretaria della Cgil Liguria: «I dati della ricerca ci indicano che urge correre ai ripari sul piano sindacale, legislativo e delle funzioni di controllo esercitate dalle istituzioni». Alessandra Pieracci