La Repubblica 07/06/2006, pag.48-49 Alberto Arbasino, 7 giugno 2006
Pascali geniale e vitale. La Repubblica 7 giugno 2006. Arnaldo Pomodoro. Nei madornali e sensazionali spazi ex-industriali della sua Fondazione, a Milano, i colloqui fra le sculture italiane del Novecento (e le loro memorie storiche) sono più fitti e intensi (e drammatici) che gli incantevoli dialoghi fra marmi classici e macchinari elettrici nella romana Centrale Montemartini
Pascali geniale e vitale. La Repubblica 7 giugno 2006. Arnaldo Pomodoro. Nei madornali e sensazionali spazi ex-industriali della sua Fondazione, a Milano, i colloqui fra le sculture italiane del Novecento (e le loro memorie storiche) sono più fitti e intensi (e drammatici) che gli incantevoli dialoghi fra marmi classici e macchinari elettrici nella romana Centrale Montemartini. O le conversazioni fra «picconi, bulloni, crogiuoli, pulegge, roncole, antenne, palette, ancore, argani... « secondo l´estetica pre-poveristica di Ettore Colla. O quelle tavole rotonde di «identità e organicità e progettualità e prerogative e proporzioni e presunzioni e prospezioni e problematiche, eccetera» care ai birignao accademici indifferenti al rifiuto di Roberto Longhi di usare «parole a desinenza concettuale e perciò inadatte a esprimere cose che non sono nate come concetti: le opere d´arte, per l´appunto». La vastità gigantesca di queste immense ex-officine milanesi può richiamare l´appena ieri della voga mondana per il "Délabré": mostre e spettacoli che diventano "eventi" in grazia appunto del contenitore disastrato e fatiscente, preferibilmente in aree di macerie, macelli, disagi col brivido del pericolo. Possibilmente tra vandali creativi e teppisti che ti picchiano. Oppure, la civetteria del pattume trash installato fra stucchi e specchiere e cicisbei in infradito per le madame della finanza pubblicitaria. Qui, invece, sui loro basamenti commisurati e omogenei, le opere devono sostenere confronti non solo reciproci ma col grande spazio: metallico anche lui (oltre che razionale e cool). Ma dopo i Boccioni e Wildt e Balla e Martini (e un´assoluta "perla", in più pezzi: una «Via Crucis» di Lucio Fontana, in ceramica smaltata e dorata), scattano i relais della memoria. Davanti agli "Acciai" d´Alberto Burri, riecco Burri stesso, che presentava, coi suoi baffoni da cacciatore insolitamente cordiali, le smaglianti e vivacissime plastiche del «Sestante» negli smisurati e rovinosissimi ex-cantieri della Giudecca veneziana, irridendo sotto quei baffoni i pensatori e i mondani che strillavano «adoro! divino!» davanti ai vetri rotti e alle ragnatele pendule. E la compitezza da vice-ministro in età De Gasperi di Fausto Melotti, che pranzava in blu con Toti e Gabriella Scialoja, e poi inviava bigliettini accampando che forse i suoi lavori lievissimi non meritavano entusiasmi così dichiarati. Rivedo Bruno Munari come un folletto che tirava fuori dalle tasche giochini componibili e pieghevoli. E Pietro Consagra, che non solo fotografava i più imbarazzanti paracarri in forma di cazzi e prepuzi nella Roma papalina, ma li riproduceva in marmi pregiati in serie di multipli per i conoscitori. E naturalmente Mario Ceroli, che nella sua celebre «Cassa Sistina» munì qualche silhouette d´amici di "cock" ligneo, ma non tutti. E poi, Manzù. Continuo a mitizzare il suo magnifico «Oedipus Rex» stravinskiano all´Opera di Roma, allora accoppiato a un´«Elektra» o «Salome» di Strauss, e dunque nell´intervallo si incontravano Brandi e Magnani e Palazzeschi e Milloss e Vlad, e poi insieme in trattoria. Ma fu poi commovente la cerimonia a Siena per la cittadinanza onoraria a Cesare Brandi. Prima parlò Argan, con oratoria cattedratica. Poi toccava a Manzù, che bofonchiò un saluto passandomi il microfono «perché il verboso sei tu». Ma riecco le opere dei coetanei (come Pino Pascali, Gastone Novelli...) con tutti gli agganci biografici. Anche un colloquio ripreso con la scultura italiana degli anni Trenta. Monumentale? Fascista? Macché etichette ideologiche, davanti ai capolavori. (Sennò, oltre tutto, davanti agli atleti da Stadio, bisognerebbe sempre chiedersi se sono esemplari maschioni mussoliniani o venerabili icone gay). Alberto Arbasino