La Repubblica 07/06/2006, pag.48-49, Alberto Arbasino, 7 giugno 2006
Pascali geniale e vitale. La Repubblica 7 giugno 2006. P. P. Pasolini. «La Letteratura come Vita colpisce ancora!», fu uno dei primi commenti emotivi
Pascali geniale e vitale. La Repubblica 7 giugno 2006. P. P. Pasolini. «La Letteratura come Vita colpisce ancora!», fu uno dei primi commenti emotivi. Come quando Byron o Pushkin finiscono per diventare uno dei loro personaggi, siglando con una morte «in stile» un´opera altrettanto «inimitabile». Con tutti i dettagli realistici ed emblematici che tornano fin troppo: come nella fine tragica di Giangiacomo Feltrinelli. O di James Dean. Ma lì invece qualcosa non torna. Altro che masochismi e fatalismi autolesionistici. Quando si è così disperatamente impegnati in una forte polemica ideologica, e da decenni si incappa in trappole ad ogni passo, in un paese lazzarone dove i giovani ammazzano come belve, il rispetto della propria figura pubblica ingaggiata in una battaglia civile non impone forse di evitare almeno il rischio di un flash in mutande, che ridicolizzerebbe decine di articoli moralistici sul palazzo e sulle lucciole? Non un Angelo della Morte, come nei balletti di Béjart o Petit, ma un paparazzo da strapazzo appostato nei cespugli per sputtanare il moralista luterano in gruppi di minorenni senza pantaloni, come negli spogliatoi degli oratorii? Un dubbio che registrai subito sul «Corriere della Sera»: non solo il rischio dello sputtanamento fotografico in stile «Dolce vita» nel momento più vistoso delle polemiche etiche. Ma anche un qualche riguardo o affetto per i propri libri e i loro titoli non suggerirebbe di evitare le occasioni di ritrovarseli cucinati in sviluppi boccacceschi o picareschi simili a sceneggiature di seconda mano? Oltre tutto, perché non depositare almeno da un notaio le "prove" di cui ci si dice in possesso, e farlo sapere? (Nei misteri d´Italia, pare che tuttora si depositi poco. Ma nei casi di "denunce", le pezze d´appoggio sarebbero indispensabili). Ora, da qualche tempo, tutta una generazione ormai anziana si commemora e rimpiange addosso la propria gioventù e gli entusiasmi di quegli anni Sessanta e Settanta che Pier Paolo trovava abominevoli rievocando invece l´Italia contadina degli anni Trenta e Quaranta, frugale ma senza i pregiudizi successivi contro la "pedofilia" (termine recentissimo). Così il pubblico periodico potrebbe osservare che si mantiene regolare un vagheggiamento ciclico del passato (sia rurale sia metropolitano), con una deprecazione costante dell´Italia presente, ieri perché accattona e oggi giacché consumistica. A parità di peggioramenti degli italiani e dei loro malgoverni, nel corso dei decenni delusi che non si ripetono solo «où sont les neiges d´antan», ma anche dove sono finite le mamme e le spiagge e le pesche d´una volta. Altro che «Passione & Celebrazione» o «Passione & Speculazione» a cura degli enti pubblici, poi. Qui mai andrebbe trascurato il memorabile choc di costume - davvero «la fine di un´epoca» - quando improvvisamente si chiudono i tradizionali secoli di larga disponibilità maschile erga omnes, del tipo «qui ce n´è per tutti», senza categorie né etichette. E improvvisamente «ci sono le ragazzine che te la danno». Un trauma generazionale insanabile - poi rimosso dai conformismi imperanti nelle commemorazioni "corrette" - allorché dopo ère geologiche di libido reciproca lì per lì scatta il terribile «ma tu non lo fai bene come la mia ragazza». «E quanti anni ha?». «Quattordici, come me». Shock analoghi si tramandavano dall´età romantica, quando i gondolieri veneziani famosamente smisero di incoraggiare i viaggiatori solinghi nei notturni lagunari senza luce elettrica. E quando poi scomparvero anche i rematori nubiani che si disputavano i grand-touristi singoli sulle feluche di Assuan. (Temi ormai per contributi accademici da leggere ai convegni in vista di qualche pubblicazione scolastica). Erano veramente Altri tempi, come nei titoli dei film d´allora. A nessun letterato o artista davvero importava che «after hours» - cioè quando i Moravia e gli altri "Cenerentoli" erano andati a dormire perché all´alba dovevano scrivere un nuovo romanzo - si andasse gratis coi "bonazzoni" americani di Cinecittà o coi "giovani mariti" pariolini in parcheggio a Valle Giulia. Ma "nemmanco" si rammaricavano (politicamente, o economicamente) per le spese sostenute da P. P. rimorchiando marchette a Termini ogni sera. Oggi. Oggi, con gli immigrati o coi monsignori, chi la farebbe franca a Tor Vaianica o a Valle Giulia? Ora però, nel formicolio delle iniziative «sui luoghi stessi» delle sue varie attività e manifestazioni, è mancato qualunque evento adatto a commemorare il grande spazio dedicato da P. P. alle "batterie" con i ragazzini ogni sera, talvolta anche con lesioni ed ecchimosi, ma senza forse "battute" da parte di genitori o fratelli maggiori, o comunque cittadini oggi attentissimi ad ogni sentore di «pedofilia». Il «moralismo imperante» d´oggi rimuove e censura quegli aspetti "tabù" della sua personalità. Ma allora, quando si alzava ogni sera dalle tavolate letterarie, presto, perché spiegava che i ragazzini non potevano far tardi, nessuno si scandalizzava, così come nessun comitato o privato protestava a causa delle ballerinette quattordicenni di Degas sulle enciclopedie scolastiche, o per le minorenni viziose di Balthus, che oggi creerebbero problemi sui siti Internet. Era un´epoca diversa, come ripete chi ricorda che allora dieci persone fumavano insieme a tavola, mentre ora sarebbero biasimatissime. «Adesso c´è la sensibilizzazione», sentenzia la sora Cecia. «Prima non c´era. Adesso c´è». Le memorie-fantasma riemergono ora a frotte: come quando lui riaffiorava improvviso e trafelato da oscure fosse e fratte. Una sera si pranzava con Cesare Brandi e Giovanni Urbani e alcune signore in una pittoresca osteria desolata fra due cavalcavia sull´Appia Antica. E Pier Paolo si arrampicò di corsa su questo montarozzo, trafelato e come inseguito. Cesare fu subito assai compito. P. P., molto imbarazzato. Giovanni ci fece osservare: è molto imbrattato, facciamo finta di nulla. Nessuna "lectio magistralis" strutturale o semeiotica. Un´altra volta emerse affannato dalle oscure e animate campagne presso Civitavecchia. «Mi dai una mano? Ho la batteria scarica». Aveva una grossa spider bianca, e gli altri erano scappati. Spingemmo un po´, e la macchina ripartì. Mi resta un buon ricordo concreto: un ritratto che mi fece mentre scrivevamo un dialogo a quattro mani. Da una parte, c´è scritto, «A. A. in un atto di industria culturale (abietto, naturalmente)». E dall´altra: «Io, mentre aspetto che scriva le domande a cui nobilmente rispondere». Ma in realtà è un suo autoritratto. Alberto Arbasino