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 2006  giugno 04 Domenica calendario

Calcio al metanolo. La Stampa 4 giugno 2006. In attesa di processi e sentenze, appelli e contrappelli, il calcio italiano comincia giustamente a interrogarsi sulla via d’uscita

Calcio al metanolo. La Stampa 4 giugno 2006. In attesa di processi e sentenze, appelli e contrappelli, il calcio italiano comincia giustamente a interrogarsi sulla via d’uscita. Che passa inevitabilmente, nel breve termine, attraverso la punizione dei colpevoli. Ma deve porsi, nel medio, possibilmente non nel lungo, l’obiettivo di ricreare innanzitutto la fiducia dello spettatore-consumatore. Un modello di riferimento, nazionale ed epocale, potrebbe essere la tragedia del metanolo. Vent’anni fa il vino italiano viveva al di sopra delle proprie risorse: e in molti casi ben al di fuori della legalità. All’improvviso, nel marzo ’86, quei diciannove morti, le decine di intossicati che persero la vista, un dramma collettivo che mise in ginocchio l’intero comparto viti-vinicolo nel Belpaese, senza distinguere tra i tanti buoni e i pochi cattivi, tra produttori di qualità e avventurieri criminali. Sparì da un giorno all’altro la voglia di vino, crollarono i consumi, i fatturati, l’esportazione. Chi si ostinava a ordinare una bottiglia in un locale pubblico era guardato come oggi l’incallito-irriducibile con la sigaretta tra le labbra. Sono passati vent’anni, il tempo di una generazione. Oggi con il 25 per cento dell’intero mercato siamo il primo paese esportatore al mondo: avendo nel frattempo vissuto una vera e propria età dell’oro, una crisi di crescita e di assestamento, una ripresa interna e internazionale tuttora in atto. Come a dire con un pizzico di cinismo storico che quelle 19, povere vittime non sono morte invano. Il bilancio di Calciopoli, al momento, non registra che qualche ferito lieve. Nel portafoglio, prima che nell’orgoglio. Ma l’impatto, in Italia e nel mondo, non è stato meno devastante. Ecco allora che una riflessione per sommi capi sul cammino verso la salvezza dal vino al metanolo, può guidarci verso l’uscita da quest’altro scandalo. In quel 1986, indipendentemente dal percorso della giustizia, fece innanzitutto la sua parte il governo istituendo un apparato per la prevenzione e per la repressione-frodi. Ma quella decisiva la fece proprio chi produceva vino, come oggi la dovrà fare chi produce calcio. Rinunciando finalmente alla quantità e puntando tutto sul solo parametro della qualità, in vigneto prima ancora che in cantina. I 76 milioni di ettolitri prodotti nell’86 sono diventati oggi 48: ma a fronte di quel 37 per cento in meno c’è un più 260 in termini di fatturato. Sono calati i consumi annui individuali, da 68 a 48 litri pro-capite: il che significa che bevendo meglio si beve anche meno, con grande giovamento per la salute oltre che per il palato. E a proposito di salute, nei famigerati primi Anni Ottanta si impiegavano 44 mila tonnellate di agrofarmaci per i trattamenti nei vigneti: nel 2005 siamo a 14 mila, meno 68 per cento. Traducendo liberamente dal vino al calcio, meno squadre, meno partite, meno giocatori in organico. E per contro, maggiori investimenti nel vivaio, col massimo rispetto dell’equilibrio psicofisico anche attraverso la riduzione dei trattamenti coadiuvanti, chimici e non. Non siamo lontani dal Buono, pulito e giusto, ultimo in ordine di tempo dei fortunati slogan di Carlin Petrini: anche nel calcio, non solo nel cibo e nel vino. E pazienza se il progresso trascinando con sé nuove alchimie s’inventa i truciolati: la soglia d’attenzione del bevitore si è innalzata, mettendolo in buona misura al riparo dalle scorciatoie dei cialtroni. Quella dello spettatore, da un mese a questa parte, è ben oltre il livello di guardia. Sarà il caso che ne tengano conto i produttori di pallone, grandi e piccini. Gigi Garanzini