Libero 04/06/2006, pag.1-5 Oscar Giannino, 4 giugno 2006
Libero 4 giugno 2006. Caro direttore, ho una domandina semplice semplice, per te e tutti i lettori di Libero
Libero 4 giugno 2006. Caro direttore, ho una domandina semplice semplice, per te e tutti i lettori di Libero. Viviamo in un Paese in cui d’intercettazioni telefoniche si muore, visto che con i colloqui privati via cellulare allungati ai giornali si sono smantellate scalate bancarie e alla Rcs, mandando agli arresti in men che non si dica - dove ancora restano - Ricucci e Fiorani. E visto che ogni giorno i lettori trovano pagine intere sul sistema-Moggi. Bene. Anzi male, per chi come noi è garantista. Ma fatta questa premessa, com’è che invece della madre di tutti gli scandali, in materia d’intercettazioni illecite, a parlarne è solo Repubblica, mentre la maggior parte di tutti gli altri giornali ignorano la cosa? Nei vecchi romanzi d’avventura, la si definirebbe la domanda delle cento pistole. Qui da noi, caro direttore, è la domanda dei trenta miliardi. Di euro. Perché stiamo parlando di uno scandalo che investe in pieno la Telecom di Marco Tronchetti Provera, l’ex monopolista pubblico della telefonia, che appunto in Borsa vale 30 miliardi di euro, e che al contempo in salute non se la passa poi tanto bene, visto che di debiti ne ha per una cinquantina di miliardi. Sempre di euro. Ecco perché allora tutti diventano improvvisamente garantisti e scrupolosi, tanto per sottolineare meglio come l’Italia continui a essere un Paese dall’insopportabile legge "doppiopesista": finché stai in sella e sei nel circuito dorato dei salotti buoni puoi far tutto, se i potenti degli intrecci banco-industriali cari all’Ulivo ti mollano o se attenti alla loro cadrega, ecco che si scatenano le mute di cani. Questa volta, però, sembrerebbe di essere in presenza della classica eccezione che conferma la regola. Visto che è la Repubblica di Carlo De Benedetti, ad addentare quasi in solitudine i calcagni della Telecom. Tentiamo allora di capire meglio. Sia di che cosa siamo in presenza. Sia la ragione dei quasi solitari attacchi. La vicenda, in sé, è paurosa. L’ex capo della sicurezza della Pirelli prima, e della Telecom di Tronchetti Provera poi, Giulio Tavaroli, uomo personale di fiducia del prestigioso manager a detta di tutti, mette in piedi negli anni una struttura efficientissima di spionaggio privato. E’ un ex ufficiale delle forze dell’ordine che ha lavorato all’Anticrimine di Milano, ma poi ha appeso la divisa al chiodo e per 15 anni è diventato l’insostituibile uomo-sicurezza di Tronchetti. Gran parte del lavoro, l’accumulo di informazione sulle consistenze patrimoniali e bancarie, sulle reti di conoscenza e frequentazione dei soggetti "vigilati" come delle relative consorti, familiari e amanti, era girato a uno stretto amico del Tavaroli, Emanuele Cipriani, capo di un istituto privato, la "Polis d’Istinto", che da Telecom sui conti di società estere ha ricevuto compensi per svariati milioni di euro. A integrare i dossier personali - decine di migliaia, secondo un dvd sequestrato presso l’istituto - ci pensava poi la Telecom stessa, con i tabulati delle telefonate sul fisso e sul mobile dei soggetti spiati. Migliaia di manager, politici, banchieri, arbitri, dirigenti di società sportive, starlette, giù giù per l’intera gerarchia del potere italiano, dalle corbeilles di Borsa fino alla tv e al football. Ora in Italia abbiamo avuto i grandi scandali dei cosiddetti servizi deviati e della P2, annidati all’ombra dello Stato. Ma che il maggior gruppo privato di telefonia si metta in proprio sostituendosi allo Stato, alle forze dell’ordine, ai magistrati e ai servizi segreti, beh è un’ipotesi da incubo. Roba che la politica avrebbe dovuto insorgere fin dal primo giorno in uno scroscio di fulmini e saette, di fronte al Grande Fratello orwelliano. E la sinistra, sempre pronta a denunciare i complotti più inverosimili, avrebbe dovuto dar fuoco alle polveri. Invece, nulla. Uno dei frammenti delle migliaia di intercettazioni illecite viene fatto tempestivamente brillare sui giornali un mese prima delle elezioni regionali laziali, e schizza lapilli di lava su Storace e i suoi collaboratori, presentandoli come se fossero stati loro a intercettare illecitamente l’avversario Piero Marrazzo e Giovanna Meandri. Alla sinistra la cosa sta bene, e tutti giù a processare Storace, fingendo di ignorare che l’allungo tempestivo ai giornali serviva a coprire di fumo lo scandalo gigantesco vero, quello di Tavaroli e Cipriani. Quanto alla magistratura, a Milano i pm sono quasi tre anni che si confrontano con il problema, dacché una vicenda marginale al sistema Moggi li fa incappare la prima volta in una Telecom alla quale l’Inter privatamente commissiona un’indagine sui colloqui telefonici di alcune giacchette nere. Ma, questa volta, i pm hanno piedi di piombo. Nessun arresto in fretta e furia, nessun avviso di garanzia a Tronchetti. Tavaroli e Cipriani sono indagati per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione di pubblici ufficiali per l’acquisizione di informazioni coperte da privacy. Il minimo, vista la gravità e la sistematicità dei reati documentati in quel dvd. Ma il pm competente, Fabio Napoleone, fa quasi tenerezza. E’ uno tostissimo: ma il solo fatto di esser costretto a toccare Telecom lo espone a pressioni inimmaginabili. Perché non pensare che Tavaroli e Cirpiani non facessero tutto in proprio? Perché non immaginare che Tronchetti Provera per primo sia una vittima, raggirato e abusato nella fiducia che riponeva in Tavaroli? Per come funziona un’impresa quale Telecom, l’ipotesi è da morire dalle risate. Tavaroli non era un intraprendente funzionarietto periferico, per anni ha diretto proprio il CNAG, la struttura Telecom che ufficialmente era interfaccia delle Procure per le intercettazioni legalmente da queste disposte. E ai primi sentori di casino, l’azienda lo ha mandato in un incarico di copertura in Romania, fuori dall’Unione europea. Quando l’anno scorso da un fascicolo giudiziario uscì fuori che intercettazioni illecite su utenze intestate a Rcs - ai tempi della scalata al Corriere - venivano da macchinari Telecom, la polizia postale incaricata degli accertamenti trovò che gli uffici in questione erano stati appena provvidenzialmente smantellati. Una molteplicità di indizi rende incredibile l’ipotesi che per puro amor di garantismo va comunque avanzata, e cioè che del Tavaroli i vertici Telecom fossero all’oscuro. Per dirne una, la Telecom si era trovata ad affrontare intelligence privata "ostile" portatale da concorrenti nella controllata in Brasile, e Tronchetti proprio per questo aveva potenziato la funzione. Quanto poi alla più generale cultura d’impresa praticata dall’ex monopolista, fa fede la recente sentenza con cui la Corte d’Apello Civile di Milano ha condannato Telecom per trattamento illecito di dati riservati: per indurre a ripensarci gli utenti che avevano cambiato gestore, la Telecom passava al proprio servizio commerciale i dati privati degli ex clienti accumulati nel proprio database storico delle rispettive telefonate, giro d’affari e utilizzo dei servizi, in modo da consentire di mettere a punto offerte più vantaggiose di quelle siglate con la concorrenza. E’ tutt’altro illecito, rispetto alla rete d’intercettazioni illecita su vasta scala di cui qui parliamo: ma testimonia che alla Telecom l’uso disinvolto dei dati riservati rientrava nella prassi aziendale ordinaria. Roba che giustamente Fastweb e Vodafone sono insorte: ancora una volta nel disinteresse della stampa. Perché si sa, Telecom è il primo inserzionista pubblicitario italiano. Descritta la regola, parliamo dell’eccezione. Come si spiega, che Repubblica rompa il generale silenzio pro Telecom? Le spiegazioni possibili sono almeno due, anch’esse una più interessante dell’altra. Chi parla con il direttore Ezio Mauro, sa che egli esclude che l’assalto sia frutto di interessate sollecitazioni da parte dell’editore, De Benedetti. E’ pura farina dei due noti pistaroli d’assalto, Giuseppe D’Avanzo e Carlo Bonini, dice il direttore. Personalmente non ho motivi per non credere alla buona fede di Mauro. Tranne una riserva, però. Se la campagna è solo frutto della caparbietà dei due meritori cronisti, allora va ricordata una cosetta. Da da due anni a questa parte Bovini-D’Avanzo hanno messo nel mirino il Sismi di quel galantuomo di Niccolò Pollari. E poiché con l’accusa al Sismi di aver passato a Bush la bufala dell’uranio comprato in Niger da Saddam Hussein hanno preso un gigantesco buco nell’acqua, è bene sapere che l’insistenza sul caso Telecom potrebbe mascherare la solita ossessione: tornare a dire che la colpa non è degli uomini Telecom, ma del Sismi stesso per via del rapporto che legava Tavaroli e Cipriani a Marco Mancini, uno dei responsabili del controspionaggio italiano nella gestione Pollari. C’è poi la seconda spiegazione. Quella di una vera guerra nel capitalismo italiano, non solo a colpi di dossier. Non c’è bisogno affatto di immaginare che De Benedetti telefoni lui a Bonini e D’Avanzo per indicargli Tronchetti come bersaglio. Ma Tronchetti è un tale peso massimo che la campagna non può avvenire senza che l’editore sia d’accordo. Ricordiamoci bene da dove siamo partiti: la domanda da 30 miliardi di euro. A giorni in Telecom devono sciogliere un problemino non dappoco, liquidare a metà della catena societaria, in Olimpia, gli ex soci bresciani di Hopa finiti sotto il maglio delle Procure per le scalate bancarie. Tronchetti dovrà sborsare altre centinaia di milioni per rilevare le loro quote. Ma il mercato lo sa da quel dì, che coi debiti attuali il pur pingue cash flow di Telecom non basta a ridare salute al colosso negli anni a venire. Per questo il titolo resta sconsolatamente sotto del 44% al valore che Tronchetti corrispose ai bresciani, 5 anni fa. Per questo tutti continuano ad aspettarsi che presto o tardi Tronchetti dovrà rassegnarsi, e aprire le porte a un "salvifico" accordo con un’altra Telecom straniera, magari quella spagnola come avviene coi Benetton in Autostrade. E’ figlio anche di questa disperazione, l’utilizzo in violazione della legge dei database riservati per impedire ai concorrenti di strappare clienti a Telecom. E volete che in tutto questo a De Benedetti - scippato dei telefoni anni fa anch’egli per rimediare ai propri debiti - non possa far piacere un po’ di pressione su Tronchetti? Non certo per comprarsi lui la Telecom, un boccone ormai troppo grosso per la Cir. Ma almeno per farsi cedere l’anno prossimo la7, la rete tv di Telecom che al fianco della ex reteA attualmente di De Benedetti, darebbe alla presenza televisiva dell’ex patron dell’Oligettio una massa d’urto che oggi le manca. Con tutto il rispetto per Mauro e i suoi giornalisti, non ci sentiamo proprio di dire che questa ipotesi è campata in aria. Resta tutto lo scandalo della più grave lesione del diritto alla privacy mai avvenuta nella storia italiana. Senza che nessun garante della Privacy di ieri e di oggi si stracci le vesti. E nel silenzio generale di questa Italia dove se sei amico dei pm e dell’Ulivo, puoi fare cose che agli altri costano disonore e galera. Oscar Giannino