Corriere della Sera 05/06/2006, pag.25 Sergio Romano, 5 giugno 2006
12 giugno 1946: un caldo pomeriggio romano. Corriere della Sera 5 giugno 2006. Nella sua risposta su Amedeo Guillet lei ha ricordato il suo incontro con Vittorio Dan Segre a Roma dopo la fine della guerra
12 giugno 1946: un caldo pomeriggio romano. Corriere della Sera 5 giugno 2006. Nella sua risposta su Amedeo Guillet lei ha ricordato il suo incontro con Vittorio Dan Segre a Roma dopo la fine della guerra. Questo cenno mi ha ricordato un articolo di Segre, apparso nel Giornale di Montanelli parecchi anni fa, di cui ho conservato il ritaglio. L’autore vi racconta un episodio del giugno 1946 e parla di un maggiore del Sim (Servizio informazioni militari) che era con lui in piazza del Quirinale. Ma non ne dice il nome e si limita a segnalare che era stato decorato dell’Ordine militare di Savoia «per una carica di cavalleria in Etiopia che era valsa al suo avversario inglese la "Victoria Cross"». Mi chiedo ora, dopo avere letto la sua risposta, se quel maggiore non fosse per caso Amedeo Guillet. Gualtiero Labrone - Milano Caro Labrone, Segre mi ha confermato che lei ha perfettamente ragione: il maggiore del Sim, distaccato sulla piazza del Quirinale in uno dei momenti più cruciali del nostro dopoguerra, era Amedeo Guillet. Credo che anche i lettori, a questo punto, abbiano il diritto di sapere che cosa accadde in quelle ore. Era il primo pomeriggio del 12 giugno, un giorno afoso, con un cielo parzialmente coperto e qualche folata di vento caldo. Quando giunse sulla piazza con Guillet, Segre, allora ufficiale della Commissione alleata, vide di fronte al Quirinale un drappello di corazzieri «che avevano scambiato la spada con il mitra» e a mezza costa in via XXIV Maggio (la strada che sale da via Nazionale) un plotone di poliziotti in grigioverde. Mentre Guillet entrò nel cortile del palazzo e si unì a un gruppo di persone che erano venute a salutare il re, Segre salì sul tetto del palazzo della Consulta, dove ha sede ora la Corte costituzionale, e cominciò a perlustrare con un binocolo il centro di Roma. A un primo sguardo non vide nulla di anormale. Ma guardando più attentamente cominciò a intravedere bandiere e cartelli che sbucavano fra le case dalle parti di piazza del Popolo. Quando il rumore della folla cominciò a salire verso la collina capì che la grande manifestazione repubblicana, programmata per quelle ore, era diventata un corteo e si era messa in cammino attraverso il Corso. Che cosa avrebbe fatto dopo avere raggiunto piazza Venezia? Che cosa sarebbe accaduto se, proseguendo per la via Nazionale, la testa del corteo avesse improvvisamente dirottato i dimostranti (al Quirinale! Al Quirinale!) verso il palazzo del re? Segre scese dal tetto e andò a concertarsi con il «maggiore del Sim». Giunsero alla conclusione che i corazzieri e i poliziotti non bastavano e che occorrevano rinforzi. Guillet ricordò che in piazza del Teatro dell’Opera, nei pressi di via Nazionale, i ministri della Guerra e degli Interni avevano dislocato un battaglione di reclute al comando del colonnello Revetria. Occorreva allertarlo e chiedergli di prendere posizione sulla piazza. L’incaricò toccò a Segre che raggiunse in dieci minuti il teatro dell’Opera e trasmise il messaggio di Guillet. Revetria capì l’urgenza e dette ordine ai suoi ragazzi di prepararsi. Quando Segre tornò nella piazza il corteo, nel frattempo, aveva raggiunto piazza Venezia e stava salendo per via Nazionale. Mentre si apprestava a sbucare di fronte a via XXIV Maggio, Segre sentì un rumore di scarponi sul selciato alle sue spalle. Era il battaglione di Revetria che avanzava lungo il fianco del Quirinale e si preparava a occupare con due mitragliatrici la posizione dei poliziotti in via XXIV Maggio. Dal piedistallo del monumento di Castore e Polluce, Segre vide che un piccolo gruppo di persone si era staccato dalla testa del corteo e sembrava deciso ad avanzare verso il palazzo. «Per un istante», racconta Segre, «due masse di uomini si guardarono immobili. Poi, non so bene se per ordine o istinto, l’avanguardia del grande serpente umano piegò sulla destra e riprese a marciare per via Nazionale». Qualcuno, forse, aveva deciso che occorreva cominciare la storia repubblicana con qualcosa che assomigliasse all’«assalto al palazzo d’Inverno». E qualcuno probabilmente gli ricordò che una battaglia fra italiani era il modo peggiore per entrare in una nuova fase della storia nazionale. Sergio Romano