Corriere della Sera 03/06/2006, pag.33 Sergio Romano, 3 giugno 2006
John Stuart Mill, un liberale all’esame della storia. Corriere della Sera 3 giugno 2006. Quest’anno ricorre il bicentenario della nascita del filosofo inglese John Stuart Mill, considerato a ragione uno dei padri del liberalismo
John Stuart Mill, un liberale all’esame della storia. Corriere della Sera 3 giugno 2006. Quest’anno ricorre il bicentenario della nascita del filosofo inglese John Stuart Mill, considerato a ragione uno dei padri del liberalismo. Prendendo spunto dall’occasione, le propongo una riflessione sull’attualità del liberalismo. Sull’argomento si è detto infatti di tutto e non sempre i commentatori sono stati magnanimi soprattutto a causa di un’equazione tanto immediata quanto ingannevole: liberalismo uguale liberismo. C’è chi ha parlato di fallimento del liberalismo, chi ha messo in dubbio lo stesso concetto di libertà sulla base di un assurdo determinismo materialista e chi, come Hermann Hoppe, muovendo da premesse sicuramente liberali, ha imposto il superamento del concetto di democrazia. Sembra a molti che la crisi del liberalismo classico sia condizionata dal venir meno del suo antagonista naturale: lo Stato. Che la fine del pensiero liberale sia il prezzo da pagare per guarire da un male finora ritenuto necessario? Ma il liberalismo non è in primo luogo disponibilità a un dialogo franco senza pregiudizi di sorta? E allora possiamo davvero farne a meno? Francesco Iannuzzella Caro Iannuzzella, la «fine del liberalismo» mi fa pensare alla «fine della storia». Sono concetti affascinanti che provocano un diluvio di discussioni e distinzioni, ma ritornano prima o dopo nei circoli accademici da cui sono usciti. difficile parlare della fine di un movimento intellettuale che rinasce ogni generazione in forme nuove e ha esercitato un’influenza diretta o indiretta su tutte le correnti politiche fra Ottocento e Novecento. Non esiste un liberalismo. Esistono tanti liberalismi quante sono le personalità che hanno adattato i loro principi all’evoluzione delle condizioni politiche ed economiche delle società. Non entrerò nel merito della sua lettera, ma colgo volentieri l’occasione per ricordare uno dei principali antenati del liberalismo europeo e per chiedermi se le sue convinzioni ci avrebbero aiutato ad affrontare i nostri problemi d’oggi. Il padre di John Stuart Mill (1806-1873) si chiamava James ed era un seguace delle teorie utilitariste di Bentham, molto diffuse negli ambienti intellettuali inglesi della seconda metà del Settecento. Credeva, in altre parole, nella tesi secondo cui «sono giuste le azioni che procurano la maggiore felicità al maggior numero di persone». John Stuart respirò queste idee in famiglia e pubblicò sul tema, nel 1861 (On liberty, 1859 - gda), uno dei suoi libri più noti, ma intravide nell’utilitarismo il pericolo che la «felicità della maggioranza» divenisse tirannia. La libertà, secondo Mill, non esisteva per proteggere le opinioni e le preferenze dei più. Esisteva per difendere le minoranze e il loro diritto di esprimere liberamente il loro pensiero. Possono esservi casi in cui la libertà dell’individuo danneggia quella della maggioranza e occorre quindi limitarla; ma non prima di avere dimostrato che l’accusa è fondata. Mi chiedo quale sarebbe stata la posizione di Mill se avesse partecipato al dibattito provocato dalle vignette satiriche su Maometto apparse in un giornale danese. Avrebbe difeso il diritto dei giornali e dei caricaturisti? O avrebbe sostenuto che quelle vignette creavano un danno alla convivenza fra gruppi nazionali e religiosi diversi? A queste convinzioni profondamente liberali in materia di diritti civili corrispondeva, nelle questioni economiche e sociali, una sorta di liberal-socialismo. Credeva nel ruolo dello Stato e pensava, ad esempio, che la proprietà di un individuo dovesse venire ridistribuita al momento della sua morte. Secondo Roger Scruton, autore di un breve profilo apparso nel Wall Street Journal del 10 maggio, la proprietà per Mill era quindi una sorta di vitalizio destinato a esaurirsi con la fine dell’esistenza. Quale sarebbe stata la sua posizione se avesse dovuto giudicare la vendita di Autostrade a un grande gruppo spagnolo o quella di Antonveneta a una grande banca olandese? Uno degli ultimi contributi di Mill alla storia del pensiero liberale fu il saggio sull’«Asservimento delle donne» pubblicato nel 1868, un anno dopo il fallito tentativo di introdurre nella legislazione inglese il suffragio femminile. Ne esiste una traduzione italiana, pubblicata con altre opere dalla Bur (Biblioteca universale Rizzoli) con una introduzione di Eugenio Lecaldano. Il lettore vi troverà una straordinaria accusa contro il maschilismo e una appassionata difesa dell’emancipazione femminile. Come reagirebbe Mill se constatasse che quasi tutte le forze politiche italiane, di destra o di sinistra, hanno in proposito più o meno le stesse posizioni, ma riservano alle donne, quando formano un governo, pochi ministeri, prevalentemente senza portafoglio? Sergio Romano