Corriere della Sera 04/06/2006, pag.39 Luigi Offeddu, 4 giugno 2006
Provocare i cattolici con il «Codice»? Trame del marketing. Corriere della Sera 4 giugno 2006. La telefonata giunse durante l’estate, in Germania, dove lo studioso americano trascorreva una vacanza di meditazione: «Professore buongiorno, sono Jonathan Bock, presidente della Grace Hill Media, un’azienda di comunicazione religiosa
Provocare i cattolici con il «Codice»? Trame del marketing. Corriere della Sera 4 giugno 2006. La telefonata giunse durante l’estate, in Germania, dove lo studioso americano trascorreva una vacanza di meditazione: «Professore buongiorno, sono Jonathan Bock, presidente della Grace Hill Media, un’azienda di comunicazione religiosa. Sa, lei forse sbaglia a criticare il "Codice da Vinci". Ma rispettiamo la sua opinione, la consideriamo molto importante. Perché non ci scrive qualcosa? Sarà pubblicato tutto senza che venga cambiata una sola virgola, milioni di cristiani la leggeranno su Internet». SCRITTI SEVERI – Darrell Bock (nessuna parentela con l’uomo al telefono), teologo cattolico e docente di studi neotestamentari, autore del libro «Breaking the Da Vinci Code» che azzannava pagina su pagina il best-seller di Dan Brown già stampato in 60 milioni di copie e in 44 lingue, ci pensò su. Poi, accettò: in autunno, incontrò a New York il suo quasi omonimo; e scrisse «qualcosa», cioè due saggi, sul «Codice»: o meglio, contro il «Codice». Proprio come avevano fatto monsignor Francis J. Maniscalco, prete cattolico dal 1971 e dal 1995 responsabile della comunicazione per la Conferenza episcopale americana. O John L. Allen, il più autorevole vaticanista americano, autore di due libri su Benedetto XVI e di uno sull’Opus Dei. Bock, Allen, Maniscalco, e decine di altri: tutti volenterosi collaboratori, con scritti più meno severi contro il «Codice», del sito Web «The Da Vinci Dialogue». Come promesso, hanno avuto in rete milioni di lettori. Ma forse, se avessero saputo bene che cosa aveva in testa (e in tasca) la persona all’altro capo del filo, non avrebbero accettato la sua offerta. Perché Jonathan Bock era sì il capo della Grace Hill Media. Ma in quel momento era soprattutto l’emissario della potentissima divisione marketing della Sony Pictures Entertainment, produttrice del film tratto dal libro di Dan Brown. E le sue telefonate, come del resto quel sito Web, ufficialmente sponsorizzato dalla «HollywoodJesus», erano il perno della strategia – di marketing, appunto – studiata dalla stessa Sony prima del lancio del film. Strategia di contenimento preventivo ma anche di «attizzamento», a fini commerciali, delle polemiche. Budget complessivo (produzione, distribuzione, marketing): 200 milioni di dollari. Obiettivo dell’operazione sul Web (ma anche degli accenni pepati lasciati piovere nelle redazioni di giornali e Tv): attirare molti studiosi cattolici, fra quelli più autorevoli ma anche più equilibrati, fomentare e calamitare le loro critiche sul sito collegato alla casa, e in qualche modo tenerle sotto controllo, alimentando il dibattito ma anche tagliando l’erba sotto i piedi dei critici più radicali; nello stesso tempo, far parlare del film, allargare il potenziale mercato, insomma batter cassa a destra e a manca. La storia di Darrell Bock è stata rivelata da The New Yorker (la Sony, nota il giornale, pensò che «parafrasando Lyndon Johnson, era meglio avere i cristiani dentro il teatro, a contestare, che fuori, a fare i picchetti»). Per trovare invece le biografie degli altri autori, e i loro scritti, basta una visita al sito: che fosse «roba» vicina all’azienda, lo si sapeva dall’ inizio; ma non che la bufera fosse stata preordinata in ogni dettaglio. Un po’ come era stato già fatto per The Passion di Mel Gibson. In quel caso Paul Lauer, cattolico esperto dei media, era stato assunto da Gibson per coinvolgere vescovi cattolici, rabbini e fondamentalisti evangelici: pre-visioni del film, dibattiti, offerte di articoli, immancabile tempesta – accuse di antisemitismo e di cristianesimo «pulp» – e infine il verdetto del botteghino: incassi, 370 milioni di dollari. L’ALLARME – Per il «Codice», a dir la verità, qualcuno aveva dato l’allarme. Barbara Nicolosi, «blogger» cattolica ed ex amica di Jonathan Bock, era andata giù dura: «I cristiani attirati con l’inganno a scrivere commenti contro il film, su uno stupido sito, pensano di aver avuto una poltrona al tavolo di qualche grande discussione culturale. Fregati! Non c’è alcuna poltrona, gente, nessuna discussione: ma solo un paio di P.R. di Hollywood, che prendono dei bei bigliettoni dalla Sony per indurre milioni di cristiani a sovvenzionare un film che dipinge il loro Salvatore come un truffatore!». Ben più diplomatica l’Opus Dei che - al di là delle posizioni dei suoi singoli aderenti - ha combattuto una battaglia globale di comunicazione altrettanto agguerrita, anche sui siti Web che controlla (mentre, da mesi, continuano in tutto il mondo le polemiche: ieri il ministero della cultura del Pakistan musulmano ha messo al bando il «Codice» da tutti i cinema). Il film, come rievoca il sito italiano dell’Opus Dei, «ci ha procurato finora molti dolori di testa che, sicuramente, avremmo preferito evitare. Però bisogna riconoscere che la decisione di comunicare apertamente e positivamente il nostro punto di vista, in maniera attiva, ha offerto una straordinaria occasione per parlare sulla fede cristiana, sulla Chiesa Cattolica e su quella piccola porzione della Chiesa Cattolica che è l’Opus Dei». Luigi Offeddu