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 2006  giugno 05 Lunedì calendario

Quando la poesia è noiosa. La Repubblica 5 giugno 2006. E all´improvviso si tornò a leggere e a parlare di poesia

Quando la poesia è noiosa. La Repubblica 5 giugno 2006. E all´improvviso si tornò a leggere e a parlare di poesia... Nel giro di pochi mesi sono apparse diverse antologie di poesia soprattutto contemporanea, si è disputato sull´opera postuma di Giovanni Raboni e sulle sue implicazioni politiche ed editoriali, sono uscite le ultime raccolte dei maggiori poeti in attività, come Valerio Magrelli e Patrizia Cavalli, si sono consultati sempre più spesso maestri poetici come Edoardo Sanguineti, nuovi e nutriti pubblici si sono raccolti ai reading danteschi (e non) di Vittorio Sermonti (e altri), si sono registrati picchi televisivi d´ascolto quando Roberto Benigni ha recitato Guido, i´ vorrei che tu e Lapo e io a «Che tempo che fa» o è stato riproposto in vecchie lecturae dantis universitarie. Per non dire ancora, poi, del poeta Attilio che rende il film di Benigni e Cerami La tigre e la neve un vero e proprio monumento sulla presenza - nascosta e necessaria - della poesia nella nostra vita. La poesia è in un tale momento di ritrovata freschezza che si può permettere il lusso civettuolo di prendersi in giro, come avviene in un libro firmato da due saggisti, un poeta, un tedesco, un italiano (in tutto, due persone): Hans Magnus Enzensberger e Alfonso Berardinelli. Che noia la poesia, affermano nel loro titolo (Einaudi, pagg. 160, euro 16); nel sottotitolo chiariscono subito: «Pronto soccorso per lettori stressati». Che noia la poesia incatramata dalle incrostazioni della critica, della scuola, della teoria della letteratura, dei commenti e degli autocommenti... Parliamone prima ancora di aprire il libro, tanto per rendere chiaro che c´è sotto una vicenda di pregiudizi reciproci. lecito diffidare di chiunque propugni con un po´ troppa enfasi la necessità di accostarsi al testo senza altra stampella che la propria conoscenza della lingua in cui è scritto. Come scrive Berardinelli nella seconda parte del libro (di cui è autore esclusivo) la poesia moderna «vuole essere smemorata, vuole nascere da poco o nulla» e si dà come parola d´ordine «Facciamo finta di ricominciare sempre da zero». Ma è possibile una poesia che continui ad annullare se stessa, tornando sempre allo zero e all´oblio che l´avrebbe generata? No, non è possibile. Eppure che differenza, che differenza!, c´è fra ascoltare Sermonti o Benigni recitare Dante e aprire una di quelle edizioni dantesche in cui - come salvo errore disse lo stesso Sermonti - «il battiscopa delle note in calce sale fino a lambire il soffitto della pagina». Quindi, prima mossa: restituire la poesia alla sua dimensione preliminare di oralità. Leggere ad alta voce e ripetere la lettura, penetrando il testo con la voce oltre che con gli occhi, per sottrarre la giusta parte di "senso" della parola poetica ai gelosi possedimenti del Significato. Il libro di Enzensberger e Berardinelli ha una prima parte, «Pronto soccorso» che è l´adattamento italiano curato da Enrico Ganni e lo stesso Berardinelli di un´opera di Enzensberg: il suo scopo è quello di avviare - o meglio di riavviare - alla poesia (da leggere e da scrivere) coloro che hanno visto mortificare dagli obblighi scolastici ogni piacere immediato nella lettura di versi. Una gradevole alternanza grafica prevede inchiostro nero per il testo e inchiostro rosso per le citazioni poetiche e per la messa in evidenza di parti del testo (come le parti rimate della parola). Metrica, prosodia, ritmo, rima, orchestrazione fonica del verso, disposizione grafica sulla pagina, metafora, procedimenti di collage sono spiegati ripartendo, appunto da zero: non come nozioni scolastiche da ripetere all´interrogazione, ma nei termini di una spiegazione razionale e pacata degli elementi che rendono, necessariamente, la poesia diversa dalla prosa. Attraverso non l´analisi ma la semplice lettura di moltissimi esempi - da Goethe a Frankie Hi-nrg (solo Ezra Pound viene pubblicamente esecrato; e in parte T. S. Eliot) - quel che viene offerto al lettore non è un patrimonio concettuale ma una pratica attrezzeria, comprendente anche qualche proposta che - sulla scorta degli Esercizi di stile di Raymond Queneau - lo invitano a entrare nel gioco, sia pure con le modeste ambizioni di un bricoleur (per Queneau, un écriveron, uno "scrittorante"). Nella seconda parte Berardinelli prolunga il discorso fino a chiedersi «Si può studiare la poesia?». Quello che propone è di non cancellare la poesia attraverso il suo studio. «Dante è così necessario studiarlo per capirlo, che si dimentica di leggerlo. Lo studiamo. E non lo leggiamo più». Rimedio: «Ogni tanto e proprio a scuola Dante andrebbe letto ignorando tutte quelle note che occupano almeno i tre quarti della pagina. Sì, andare avanti per tre o quattro canti facendo attenzione solo al ritmo. Due o tre tipi di ritmo: quello del racconto, quello del ragionamento, quello più nascosto e insieme più evidente dei versi...». Nei termini di Berardinelli, il problema è quello di evitare che lo studium, l´acribia spesso parodistica richiesta nei licei, impedisca l´entrata in contatto con il testo. Il contatto senza lo studium è preferibile allo studium senza contatto: e comunque le due modalità non sono alternative. A scuola possono essere contemperate da docenti appassionati e sensibili. Fuori dalla scuola possono essere praticate nel giusto ordine (partendo dal contatto e arrivando, forse, allo studium) e con i più ragionevoli dosaggi dai lettori che non vogliano arrendersi al grande mito della "difficoltà" della poesia. Che poi è difficile davvero, se appena non ci si accontenta di visitarla con distrazione: ma è difficile non nel senso ansiogeno e impediente che respinge molti dei suoi potenziali lettori. Con il suo tono vivace, le sue citazioni, la discrezione dei riferimenti bibliografici, le rispettive (e, in entrambi i casi, collaudate) doti di chiarezza e franchezza degli autori, questo è un libro che vuole insegnare a nuotare, e mettere la voglia di farlo, a chi ha seguito un po´ troppe lezioni di oceanografia, e non ha più pensato di provare a immergersi. Stefano Bartezzaghi