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 2006  giugno 06 Martedì calendario

Biografia di Leonardo Meani

• Lodi 11 gennaio 1960. Ristoratore. Ex dirigente del Milan (addetto agli arbitri) • «L’Isola Caprera è dentro un parco. Alberi, profumi, il rumore della piccola cascata dell’Adda. L’’Isola” è il ristorante di Leonardo Meani [...] dirigente del Milan addetto all’arbitro al centro delle intercettazioni telefoniche, iscritto nel registro dei 41 indagati della Procura di Napoli. L’’Isola” di Meani è un buon posto, tranquillo e cordiale, si mangia anche all’aperto, tre sale, quattrocento coperti, salone congressi per duecentocinquanta invitati [...] l nonno di Leonardo Meani si chiamava Leonardo Meani. Era marinaio e cuoco e cameriere. Nel 1938 il vecchio Leonardo scende dall’ultima nave, compra una cascina su una piccola isola sul fiume Adda e la trasforma in ristorante. Isola Caprera. Il ristorante diventa importante, punto di riferimento per politici e amanti della musica. Il figlio di Leonardo, Franco, partecipa alla resistenza e poi diventa un importante esponente del Partito Repubblicano di Ugo La Malfa. Franco Meani sposa Maria Casiraghi, milanese. Ricopre cariche pubbliche. Nascono Leonardo e Barbara. L’Isola è il ”covo” dei repubblicani lombardi. Qui si fermano spesso Giovani Spadolini e Ugo La Malfa ed altri politici. Qui sostano anche la senatrice Merlin e Amintore Fanfani e Bettino Craxi. E uomini di teatro: Peppino De Filippo recita nel parco, Mina offre serate deliziose. Franco Meani è assessore e vicesindaco negli anni Settanta. Il piccolo Leonardo cresce bene. bello, alto, ama lo sport, gioca a tennis, gli piace il calcio, fa il corso per arbitri. Si ferma al campionato Dilettanti, dirige nell’Interregionale. Otto anni, molti viaggi, partite così così. Si sposa e poi divorzia. La sua presenza al ristorante è legata alle pubbliche relazioni, l’attività è mandata avanti dalla mamma e dalla sorella. Il locale conosce una leggera crisi quando si spegne papà Franco. Leonardo s’impegna e ci dà dentro, l’Isola torna a galla. Qui, dentro l’Isola, Leonardo Meani porta gli arbitri e i guardalinee. E i calciatori e gli amici. Uno dei primi, robusti pranzi italiani, Kakà lo consuma sotto il porticato. Con tutta la famiglia: papà, mamma, fidanzata e fratello. Una bella mangiata, risotto e carni bollite, precedute dalla tipica ”raspadura” lodigiana. ”Quella cucina mi ha conquistato”, racconta Kakà ragazzo curioso e raffinato che legge di cibo e di vini con gli occhialini da intellettuale. Leonardo Meani, tifoso del Milan, raggiunge la società rossonera all’inizio degli anni ”90, dopo aver attaccato, dirà, il ”fatidico fischietto al chiodo”. un ex arbitro, lo segnala un altro ex arbitro, Benedetti di Roma. In quel periodo l’addetto ufficiale è Paolo Taveggia, che sarà poi sostituito (dal 1993 al 2001) dal direttore organizzativo Umberto Gandini. L’ex arbitro Meani si occupa della sistemazione logistica della terna. Albergo, pranzi, trasporto, taxi, acqua calda e asciugamani negli spogliatoi. Consulente esterno al Milan, consigliere di Forza Italia (all’opposizione) al comune di Lodi. Preferisce però il primo incarico: partecipa, nel 1998, a soli sette consigli. Sette su ventisette. Gli avversari dicono: è la maglia nera della politica lodigiana. Ma non si tira indietro quando c’è da fare beneficenza. Fonda il Rotary Adda Lodigiano, lavora per il centro sportivo, è un benemerito della Canottieri. A Milanello, dice Silvano Ramaccioni, team manager e accompagnatore ufficiale della squadra, ”tutti gli vogliono bene”. I rapporti con arbitri e – soprattutto – assistenti, si intensificano. Arbitra le partitelle a Milanello. Qualche volta va in trasferta, prestato dai rossoneri. Nel 1998 dirige l’amichevole dell’Inter con il San Gallo ad Appiano Gentile. Nel 2001, consulente esterno con tesserino Milan, prende il posto di Umberto Gandini: è addetto ufficiale all’arbitro. In panchina, e negli spogliatoi, diventa il bersaglio di Ancelotti, di Ramaccioni e dei giocatori. assediato dopo ogni errore arbitrale: ”Ecco, visto, voi arbitri, teste di...”. Eccetera eccetera. Quando il suo nome, intercettato, finisce dentro i verbali dei carabinieri, lo stupore in casa rossonera è enorme. Ma come? Così perbene, così serio? Già, ma quelle cose, quelle richieste, quel linguaggio triviale, cazzo di qui cazzo di là, sono farina del suo sacco... Beh, ammettono in via Turati e a Milanello, sì lui è uno che si vanta, che spande un po’, che millanta amicizie e conoscenze che non ha. Insomma, via, un po’ ”sborrone”. In Romagna si direbbe ”pataca”. Silvano Ramaccioni lo difende: ” un ragazzo eccezionale. Io non ci vedo nulla di machiavellico. E poi le telefonate, le intercettazioni... dipende dal tono, ecco... vorrei sentire le cassette. Per me questa è fuffa” [...]» (Germano Bovolenta, ”La Gazzetta dello Sport” 6/6/2006).