Varie, 1 giugno 2006
GHITTI Italo
GHITTI Italo Borno (Brescia) 21 dicembre 1947. Giudice. Presidente del tribunale di Monza. Divenne famoso come giudice per le indagini preliminari ai tempi di Mani Pulite: era la persona che decideva tutti gli arresti dell’indagine • «I magistrati hanno fatto il loro dovere. Se c’è stato un fallimento, è stata l’incapacità della politica a porre un freno al sistema della corruzione» • « [...] Presentato a un Convegno (Mattinata, settembre 1994) e poi pubblicato in “Foro Italiano” n. 11, novembre 1994, è ancora presente nella memoria del “perditempo” un saggio dal titolo “Prospettive di rafforzamento del ruolo del gip”. Alquanto impettito nel tono, esso apparve però, dato il contesto dell’epoca, piuttosto consentibile in alcune asserzioni, pur nella fastidiosa prolissità del testo (Gaio, giurista romano altrettanto insigne, fu però sempre sintetico) perché si dava a intendere che, nel complesso, l’autore rifuggisse da certi errori. Ad esempio: che il gip... “tenga un collegamento permanente o, per così dire, strisciante con il pm per realizzare con quest’organo una specie di coppia investigativa...”; che lo stesso gip, “quando deve provvedere su una richiesta soprattutto concernente la libertà personale”, si appiattisca, “facendole proprie, sulle esigenze dell’accusa...”; che il pm possa “dosare ad libitum la produzione degli atti di indagine quando chiede l’adozione o il mantenimento di una misura cautelare”. E così di seguito, impossibile essendo riassumere le ben sette colonne di questo opus clarissimum, ove, leggendo, lo stesso “perditempo” colse subito, come si dice, il polso robusto del giurista, persino mettendo in seconda linea che padre ne fosse quel dispensatore di colluviali carcerazioni preventive lombarde, la chiara fama delle quali avrebbe poi insignito il di lui accesso al Csm... Giurista, dunque, sicuramente, ma - è da aggiungere ora - anche gentiluomo perfetto, dal momento che assertore dei riferiti postulati giuridici altri non era stato che quello stesso dottor Italo Ghitti, ora disvelato coautore (v. Corriere della Sera del 16 u.s., Atti del processo Eni-Montedison) dell’epistolario, di schietto taglio kantiano, intercorso, pressappoco nella stessa stagione del saggio fra il dicembre 1993 e il gennaio 1994, a Palazzo di giustizia di Milano, e che, dal prenome dei due immacolati corrispondenti, passerà alla storia del buon costume con il titolo, di schietto stampo shawiano, di “Caro Italo, Caro Tonino”. E secondo il quale, avendo Tonino (pm), in quel tempo, perdutamente preteso la cattura privatistica, cioè contra legem, di una persona, si ricevette da Italo (gip), assieme al rilievo della impresentabilità “formalistica” della motivazione offertagli, anche la contemporanea disponibilità “sostanziale” ad accogliere un’altra qualsivoglia richiesta di cattura della medesima persona; subito, comunque e sicuramente, purché, per decenza, fosse, dal medesimo Tonino, “trovato altro capo di imputazione”. Non importa: qualsiasi altra imputazione o scusa o simulazione, qualsiasi altra menzogna o pretesto o calunnia, purché lessicalmente esprimibili. È proprio in questo alto passaggio tecnico e morale nonché, a suo modo, anch’esso autobiografico, che i due giureconsulti si esemplificano altresì come autentici gentiluomini, omogeneizzati in una sorta di “coppia scambista” sul modello studiato in “Sexual” di prossima pubblicazione nella collana “Black lace” (pizzo nero) delle edizioni Borrelli (il tutto presto riscontrabile in libreria). Viventi o morenti, colpevoli o innocenti, condannati o prosciolti, tutti, forse, rabbrividiscono, all’idea che il loro destino sia potuto, o potrà dipendere da giuristi e gentiluomini come questi cosi qui. È certo però che, spirato il biennio in corso, il paese, sperabilmente liberato dal peso di un ricatto supremo, rabbrividirà nel considerare retrospettivamente la ignobile orma di abuso da costoro, e dai loro caporioni, relitta sulla storia di questo untuoso, ipocrita, interminabile settennato di cecità» (Filippo Mancuso, “Il Foglio” 24/6/1997).