La Stampa 24/05/2006, pag.1-5 Mattia Feltri, 24 maggio 2006
Da mani pulite a piedi puliti. La Stampa 24 maggio 2006. La nomina del settantaseienne Francesco Saverio Borrelli a capo dell’Ufficio indagini della Federcalcio, e per di più da parte del settantacinquenne commissario straordinario Guido Rossi, è stremante per i velleitari ingrigiti del ricambio generazionale e per i frondisti di Mani pulite, ormai persuasi che la questione fosse chiusa
Da mani pulite a piedi puliti. La Stampa 24 maggio 2006. La nomina del settantaseienne Francesco Saverio Borrelli a capo dell’Ufficio indagini della Federcalcio, e per di più da parte del settantacinquenne commissario straordinario Guido Rossi, è stremante per i velleitari ingrigiti del ricambio generazionale e per i frondisti di Mani pulite, ormai persuasi che la questione fosse chiusa. E mentre i primi si consoleranno pensando che l’allungamento della vita media darà una possibilità pure a loro, gli altri troveranno conforto immaginando Borrelli impegnato a spedire gente in serie B anziché in galera. E chi dice che per Borrelli è un ritorno in sedicesimo, da Bettino Craxi a Luciano Moggi, dall’assedio al Parlamento a quello di Coverciano, si segnala l’eventualità che l’ex procuratore del Pool sappia chi sia il difensore Alessandro Nesta, mentre il difensore Alessandro Nesta non sa assolutamente chi sia l’ex procuratore del Pool: «Non conosco questa persona, quindi non sono in grado di dare un giudizio». Così, tanto per ricordarci che cosa è la notorietà. E del resto anche i meno affascinati dalla rivoluzione giudiziaria degli Anni Novanta hanno sempre apprezzato la serena disinvoltura con cui Borrelli è passato dalla penombra ai riflettori e di nuovo alla penombra. Nella riservatezza ha trascorso i primi sessantadue anni della vita. Neppure l’arresto di Mario Chiesa, il 17 febbraio del 1992, eccitò un inquirente la cui massima ambizione mondana era di trovare posto al festival wagneriano di Bayreuth. La discrezione di quest’uomo figlio di magistrato, nipote di magistrato, bisnipote di magistrato e padre di magistrato, risiede nelle tre agenzie Ansa in cui egli compare nei primi tre mesi dall’avvio di Mani pulite. E nel titolo dei dispacci non c’è scritto «Borrelli» ma «il procuratore capo». Poi, forse perché la gente scriveva sui muri «Forza Di Pietro», ma più probabilmente perché la delicatezza della situazione lo richiedeva, decise di prendere in mano la situazione. E ci diede dentro. Il 2 maggio 1992 concesse un’intervista a L’Espresso. Il 4 maggio partecipò alla trasmissione radiofonica «Prima pagina». Il 5 maggio debuttò in tv a «Studio aperto» con Paolo Liguori. Il suo decennio di prode della giustizia e di intellettuale poliedrico (parlò di etica, legislazione, concorrenza, equitazione e lirica) si sarebbe concluso dieci anni più tardi, nel gennaio 2002, secondo governo Berlusconi, quando intervenne prima della pensione all’inaugurazione dell’anno giudiziario consegnando ai posteri un grido da manuale di storia: «Resistere! Resistere! Resistere!». E coerentemente si eclissò. Nel frattempo noi avevamo saputo tutto di lui, anche che montava la cavalla Rosemary e che trova impareggiabile «Una notte sul Monte Calvo» di Modesto Musorgskij. E avevamo imparato a conoscere il rigore morale ereditato dagli avi con cui si era imposto equilibrio. A Mixer, sollecitato da Giovanni Minoli sull’adorazione furente del popolo per le toghe, nell’autunno del ’93 disse: «Non dobbiamo sentirci destinatari di un’investitura diretta e fortemente caratterizzata da un punto di vista emotivo da parte della gente». Ma quelli non erano tempi normali. Persino a lui capitò di cedere al moto insurrezionale dichiarando che i processi ci sarebbero stati, ma quello di piazza era già concluso, e aveva emesso la sentenza. Non solo: a causa della fama incontenibile e dello sfascio della classe politica, intervistato nel 1994 dal «Corriere della Sera» si lasciò sedurre da un’ipotesi che gli sarà rinfacciata tutta la vita: «Dovrebbe accadere un cataclisma per cui resta solo in piedi il Presidente della Repubblica che, come supremo tutore, chiama a raccolta gli uomini della legge. E soltanto in quel caso potremmo rispondere con un servizio di complemento». Siccome il cataclisma c’era, tutti interpretarono l’uscita come una candidatura alla presidenza del Consiglio prossima alla sovversione. Sarebbe stato accusato di golpismo per quell’episodio e per altri, come quando convocò le telecamere minacciando dimissioni collettive se il decreto Biondi (sulla carcerazione preventiva) non fosse stato respinto, e come quando contribuì alla caduta del primo governo Berlusconi inviando un avviso di garanzia al premier che presiedeva a Napoli la Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulla criminalità organizzata. Però, pensando ad Antonio Di Pietro ministro e a Gerardo D’Ambrosio senatore, pareva strano che proprio lui, il più colto e raffinato della procura, fosse confinato ai giardini pubblici. E va bene, accusava i capi di governo e ora accuserà i direttori sportivi, ma una certa inquietudine, a destra, è almeno comprensibile. Intanto certi ex capi di governo sono anche capi di club calcistico. Eppoi si ristabilisce il formidabile sodalizio con Guido Rossi, avvocato di Carlo De Benedetti nella guerra per la Mondadori, e risanatore della Montedison nel 1993, dopo l’abortita joint-venture con Eni per la creazione di Enimont. Pare, dunque, sia una questione di sintonia, o almeno di buoni rapporti. Rossi li conserva col palazzo di giustizia milanese, e basta vedere il suo contributo all’abbattimento dei furbetti del quartierino. Borrelli li conserva con tutti i colleghi d’Italia, e gli sarà più facile ottenere quello che gli serve. E’ una coppia affiatata e attrezzata: si può averne paura. Mattia Feltri