Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2006  maggio 24 Mercoledì calendario

Il guerrigliero Amedeo Guillet e i suoi amici-nemici. Corriere della Sera 24 maggio 2006. Ho da poco finito di leggere il libro di Sebastian O’ Kelly «Amedeo

Il guerrigliero Amedeo Guillet e i suoi amici-nemici. Corriere della Sera 24 maggio 2006. Ho da poco finito di leggere il libro di Sebastian O’ Kelly «Amedeo. Vita, avventure e amori di Amedeo Guillet. Un eroe italiano in Africa Orientale», edito da Rizzoli e la lettura mi ha molto appassionato. Tra i ringraziamenti l’ autore cita il fatto che in alcuni libri Sylvia Pankhurst parlò di Guillet in termini assai poco lusinghieri per un eroe di guerra i cui meriti sono stati riconosciuti dallo stesso presidente Ciampi. Ho provato a informarmi al riguardo non trovando riscontri e volevo chiedere a lei delucidazioni sulle posizioni della Pankhurst in merito. Inoltre il libro sembra dipingere i rapporti tra l’ Italia e l’ Eritrea durante il periodo coloniale come tutto sommato positivi per entrambi nonostante gli eccessi di Graziani. Infatti gli eritrei nel libro sembrano nutrire un certo attaccamento verso la presenza italiana. Mi ha colpito molto anche la cortese cavalleria degli inglesi dimostrata, al contrario di altre nazioni, nel riconoscere gli episodi di valore di cui furono protagonisti gli italiani durante il conflitto. nightswimming22@ hotmail.com Caro Martino, prima di spiegare le ragioni del giudizio poco lusinghiero di Sylvia Pankhurst debbo forse ricordare ai lettori che Amedeo Guillet (ha 97 anni e vive in Irlanda) fu uno dei più audaci e spericolati ufficiali di cavalleria dell’ esercito italiano in Africa Orientale. Dopo la disfatta del 1941, Guillet non volle abbandonare il Paese e divenne capo di una banda di cavalieri eritrei, etiopici e arabi, la Gazelle Force, che continuò a combattere dietro le retrovie dell’ esercito britannico. Vestiva panni arabi ed era accompagnato da una giovane donna, figlia di un capo, bella, orgogliosa, audace come un guerriero. Cominciò così una caccia alla volpe in cui la volpe sbucava improvvisamente dalla boscaglia per colpire il cacciatore e scompariva all’ orizzonte in una nuvola di polvere e sabbia. Qualche mese dopo, inseguito dagli inglesi, dovette nascondersi a Massaua. Era piccolo, asciutto, aveva i baffi, la barba corta, i capelli neri, sopracciglia folte, la carnagione piuttosto scura e parlava arabo. Non si chiamava più Guillet, ma Ahmed Abdallah al Redai. Per sopravvivere e sottrarsi alle ricerche degli inglesi fece l’ acquaiolo sino al giorno in cui, aiutato dai suoi amici indigeni, poté attraversare il Mar Rosso e trovare rifugio nello Yemen dove strinse amicizia con la famiglia regnante. Quando vi tornò, molti anni dopo, come ministro d’ Italia, l’ Imam a cui presentò le sue credenziali, lo guardò con un sorriso e gli disse: «Sei tornato a casa finalmente ». Non so se Sylvia Pankhurst abbia mai avuto occasione di incontrarlo e credo che i suoi sentimenti verso questo combattente solitario fossero dettati da considerazioni ideologiche piuttosto che da un giudizio personale. Figlia di Emmeline Pankhurst, fondatrice di una organizzazione britannica (la Women’ s Social and Political Union) che si batté per il voto alle donne, Sylvia si staccò dalle «suffragette» per divenire una delle più attive militanti del movimento anticolonialista. Mentre la madre e la sorella sostennero lo sforzo bellico della Gran Bretagna durante la Grande guerra, Sylvia fu pacifista e antimperialista. Fondò quattro giornali, scrisse una ventina di libri, condusse una vigorosa campagna contro il fascismo e divenne negli anni Trenta una instancabile paladina della causa etiopica contro l’ Italia. Fu questa la ragione per cui nel 1960, all’ età di 74 anni, fu solennemente invitata dal governo di Addis Abeba a fissare la sua residenza in Etiopia dove morì quattro anni dopo. questa, probabilmente, la ragione per cui parlò di Guillet in termini poco lusinghieri. Ma il suo giudizio non impedì che il comandante della Gazelle Force venisse festosamente ricevuto a Londra dai suoi vecchi nemici negli anni Sessanta con un banchetto durante il quale il generale Savory, comandante della IV Divisione indiana, raccontò le imprese dell’ ufficiale italiano e parlò di una guerra cavalleresca «caratterizzata dallo spirito nobile dei soldati nell’ adempimento del loro dovere da entrambe le parti». Guillet ebbe un altro nemico. Era un giovane ufficiale della Legione ebraica che prestava servizio nell’ Intelligence britannico in Egitto e raccoglieva documentazione sui gruppi italiani che ancora combattevano la loro disperata guerriglia in Africa Orientale e in Libia. Incontrò Guillet a Roma qualche mese dopo e riconobbe in lui l’ eroe delle avventure descritte nei rapporti che giungevano sul suo tavolo. Strinsero amicizia, non si persero di vista e molto più tardi, all’ inizio degli anni Novanta, l’ ufficiale ebraico, divenuto da allora uno dei maggiori studiosi israeliani, scrisse la prima biografia del suo vecchio nemico. Il libro s’ intitola «La guerra privata del tenente Guillet» (Corbaccio 1993) e l’ autore, per chi non lo abbia ancora riconosciuto, è Vittorio Dan Segre. Sergio Romano