Onda n. 23 2006, 31 maggio 2006
Una comunità gay di Brescia, un gruppo di detenute nel carcere di Rebibbia, gli studenti del Liceo ”Giulio Cesare” e un cimitero acattolico, entrambi a Roma
Una comunità gay di Brescia, un gruppo di detenute nel carcere di Rebibbia, gli studenti del Liceo ”Giulio Cesare” e un cimitero acattolico, entrambi a Roma... I percorsi seguiti dalla giornalista Anna Scalfati non sono per nulla agevoli. Perché ricercare tracce d’amore umano, anche dove parrebbe non esistere, sempre facile non è. E dove il mestiere non basta (perché nella vita reale non basta mai), ecco intervenire la sensibilità, la voglia di capire, di guardare, di lasciar parlare le persone e i cuori, senza intervenire. Nel suo quarto anno di trasmissione, ”Percorsi d’amore”, su Raitre ogni domenica alle 23, a partire dal 4 giugno, cambia. Le ombre del reality cedono alla cronaca, all’inchiesta. Lo sguardo lieve rimane, ma non ammicca più. Si limita a osservare, senza colorare emozioni e vicende che non hanno bisogno di nulla, soltanto di esser raccontate da chi le ha vissute. Come ammette la stessa Scalfati. «In questi anni ho visto la televisione mutare. Non è più possibile replicare i modelli del passato, magari anche illustri. Fino a poco tempo fa il reality dettava legge. Oggi il fenomeno si è un po’ esaurito. Ora il pubblico preferisce uno sguardo più approfondito, più simile alla cronaca... meglio o peggio? « diverso. Nell’inchiesta, l’intervento personale deve esser quasi inesistente. Occorre lasciar vivere le persone, lasciarle raccontarsi... Saper camminare in punta di piedi, restare obiettiva. Ciò che ne scaturisce è una narrazione pulita, senza fronzoli, ma comunque allegra e sempre senza pregiudizi. Questo è importante. Credo che la mia trasmissione faccia proprio questo: offre uno sguardo senza pregiudizi su realtà che, a molti di noi, appaiono aliene, distanti, sconosciute, temibili». Una comunità di omosessuali, un carcere... Che cosa ti è sembrato più alieno? «Niente e nessuno: è proprio questo il bello! Le donne detenute di Rebibbia sono ”normali”, i gay di Brescia sono ”normali”. Tutto ciò che ci appare fuori dalla norma (la ”nostra” norma) ci spaventa. Ma basta dare attenzione e ascoltare per scoprire quanto siamo simili, uguali. Con le donne di Rebibbia mi è sembrato di essere con sette amiche: parlavamo di parrucchieri, di vestiti... I gay di Brescia erano come vicini di casa: si chiacchierava di tutto. E la stessa cosa con i rom. Ecco, vorrei che ”Percorsi d’amore” facesse scoprire a tutti che una persona - anche se in una condizione apparentemente ”insolita” - è sempre un essere umano. Vive, ama, soffre, piange, gioisce delle nostre medesime cose. Stando con ciascuno di loro anche per poco tempo, ogni diversità s’annichila e traspaiono le similitudini, le uguaglianze. Nella mia carriera non ho mai fatto politica. Non m’interessa. Credo che un giornalista debba far politica così: mostrando allo spettatore cose e persone, senza pregiudizi. La verità ha una voce forte».