Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2006  maggio 31 Mercoledì calendario

Una comunità gay di Brescia, un gruppo di detenute nel carcere di Rebibbia, gli studenti del Liceo ”Giulio Cesare” e un cimitero acattolico, entrambi a Roma

Una comunità gay di Brescia, un gruppo di detenute nel carcere di Rebibbia, gli studenti del Liceo ”Giulio Cesare” e un cimitero acattolico, entrambi a Roma... I percorsi seguiti dalla giornalista Anna Scalfati non sono per nulla agevoli. Perché ricercare tracce d’amore umano, anche dove parrebbe non esistere, sempre facile non è. E dove il mestiere non basta (perché nella vita reale non basta mai), ecco intervenire la sensibilità, la voglia di capire, di guardare, di lasciar parlare le persone e i cuori, senza intervenire. Nel suo quarto anno di trasmissione, ”Percorsi d’amore”, su Raitre ogni domenica alle 23, a partire dal 4 giugno, cambia. Le ombre del reality cedono alla cronaca, all’inchiesta. Lo sguardo lieve rimane, ma non ammicca più. Si limita a osservare, senza colorare emozioni e vicende che non hanno bisogno di nulla, soltanto di esser raccontate da chi le ha vissute. Come ammette la stessa Scalfati. «In questi anni ho visto la televisione mutare. Non è più possibile replicare i modelli del passato, magari anche illustri. Fino a poco tempo fa il reality dettava legge. Oggi il fenomeno si è un po’ esaurito. Ora il pubblico preferisce uno sguardo più approfondito, più simile alla cronaca...  meglio o peggio? « diverso. Nell’inchiesta, l’intervento personale deve esser quasi inesistente. Occorre lasciar vivere le persone, lasciarle raccontarsi... Saper camminare in punta di piedi, restare obiettiva. Ciò che ne scaturisce è una narrazione pulita, senza fronzoli, ma comunque allegra e sempre senza pregiudizi. Questo è importante. Credo che la mia trasmissione faccia proprio questo: offre uno sguardo senza pregiudizi su realtà che, a molti di noi, appaiono aliene, distanti, sconosciute, temibili». Una comunità di omosessuali, un carcere... Che cosa ti è sembrato più alieno? «Niente e nessuno: è proprio questo il bello! Le donne detenute di Rebibbia sono ”normali”, i gay di Brescia sono ”normali”. Tutto ciò che ci appare fuori dalla norma (la ”nostra” norma) ci spaventa. Ma basta dare attenzione e ascoltare per scoprire quanto siamo simili, uguali. Con le donne di Rebibbia mi è sembrato di essere con sette amiche: parlavamo di parrucchieri, di vestiti... I gay di Brescia erano come vicini di casa: si chiacchierava di tutto. E la stessa cosa con i rom. Ecco, vorrei che ”Percorsi d’amore” facesse scoprire a tutti che una persona - anche se in una condizione apparentemente ”insolita” - è sempre un essere umano. Vive, ama, soffre, piange, gioisce delle nostre medesime cose. Stando con ciascuno di loro anche per poco tempo, ogni diversità s’annichila e traspaiono le similitudini, le uguaglianze. Nella mia carriera non ho mai fatto politica. Non m’interessa. Credo che un giornalista debba far politica così: mostrando allo spettatore cose e persone, senza pregiudizi. La verità ha una voce forte».