Marco Ansaldo, la Repubblica 31/5/2006, pp. 1-21, 31 maggio 2006
Costa d’Avorio, pax calcistica La Repubblica, mercoledì 31 maggio In una città dove il Parlamento si affaccia sullo Stadio, la riconciliazione non poteva che partire dal calcio
Costa d’Avorio, pax calcistica La Repubblica, mercoledì 31 maggio In una città dove il Parlamento si affaccia sullo Stadio, la riconciliazione non poteva che partire dal calcio. Ad Abidjan, capitale di un paese diviso da una lunga guerra civile ma unito dalla grande attesa per l´esordio della nazionale ai Mondiali di Germania, si è celebrata ieri la tregua fra Nord e Sud. Tra ribelli e governo. Dopo cinque anni. E a scoppiare stavolta è la festa. La prima pace del football. Il capo dello Stato, Laurent Gbagbo, dalla sedia di velluto rosso che porta sempre dietro con sé ha nominato il leader dei ribelli, Guillaume Soro, nuovo ministro della Ricostruzione. Discorso benedetto dalle Nazioni Unite. E pace suggellata dalla finale di miss Costa d´Avorio, con splendide ragazze che ora salgono e scendono dagli ascensori che collegano la hall all´ultimo piano. Planando su Abidjan, sui campetti di Abobo e di Bingerville si vedono in contemporanea cento partite. Nel pomeriggio, non appena il caldo soffocante dell´Atlantico lascia spazio a una brezza leggera, due-tremila bambini riempiono le strade. E il Grande gioco inizia. Ovunque. Nel porto e sulla spiaggia, lungo i parcheggi svuotati e sotto le palme. Giocano a due porte o a una sola, composta di stracci ammucchiati, di vestiti, aste o rami. I palloni saltano incontrollabili, come ovali da rugby, fatti di pezza, di abiti rabberciati e cuciti insieme. Il gol trafigge reti bucate mille volte, con il punto sempre in discussione. E il terreno di gioco non finisce su una linea, ma dove cominciano i piedi di un pubblico di aspiranti giocatori, con indosso le maglie pronte per gli incontri successivi, Arsenal e Bayern Monaco, Barcellona e Ayax, Paris St. Germain, Real Madrid, Milan. Al quartiere periferico di Yopougon si gioca mentre le donne vestite di mille colori attraversano l´area di rigore e i carri tirati dagli asini si bloccano davanti alla porta. Qui, davanti a una casa di cemento senza finestre, ha tirato calci a un pallone per la prima volta Didier Zokora, che adesso chiamano il "Maestro". Zokora porta il numero 5 della Nazionale ivoriana, gli "Elefanti". Girone di ferro in Germania: con Argentina, Olanda e Serbia Montenegro. A 17 anni Didier era già uno degli undici. Entrato a metà tempo nella partita contro la Tunisia, non ne è più uscito. Ci sono centrocampisti che sono in effetti degli attaccanti, e altri che figurerebbero meglio in difesa. Zokora è nato per il centro, per la trequarti dove sorgono cento opportunità a partita e dove il gioco, in una manciata di secondi, può capovolgersi dall´una o dall´altra parte. E veloce, e così era da piccolo. A Yopougon tutti ricordano il suo talento straordinario. Non era soltanto rapido nello smarcarsi, lo era nell´impostare l´azione, nel vedere il gioco, muovendo le spalle e il bacino così velocemente da dare comunque poca possibilità di scampo in un dribbling testa a testa. A 25 anni la sua carriera è già leggenda in tutta Abidjan. Scoperto da un osservatore sullo sterrato di casa, il giovane Didier gioca subito per la pluriscudettata Asec Mimosa, è selezionato per la Nazionale juniores, viene acquistato in Francia dal St. Etienne e debutta in Champions League. Oggi sono interessate a lui squadre come Chelsea, Manchester United, Lione, Milan, Juventus. I suoi genitori abitano in una casa più grande, regalo del figlio con i primi soldi guadagnati in Europa. Strada tranquilla, la Bmw della mamma dentro il garage, nessun mercato a disturbare il silenzio del quartiere. La porta di metallo dà sul cortile, dove il padre di Zokora, Augustin, siede all´ombra. Attorno ci sono i fratelli del calciatore. Il vecchio soffre di diabete, e il bianco degli occhi è diventato giallo. "Sono ancora in vita - dice - solo perché Didier mi ha pagato l´operazione". La madre Alphonsine, maestra d´asilo, va ancora ogni giorno al lavoro, per 170 euro al mese. Addossate al muro siedono, come nella scena di un sogno, le sue amiche vestite a festa. Sono le madri di Arouna Koné, PSV Eindhoven, di Bakari Kone, O. G. C. Nizza, di Emmanuel Eboue, Arsenal, di Aruna Dindane, RC Lens, di Arthur Boka, RC Strasburgo, di Jean-Jacques Tizié, Esperance Tunisi. Mancano solo un paio di signore, la mamma di Kolo Touré, Arsenal, e di Bonaventure Kalou, Paris St. Germaine, impegnate altrove nel circolo denominato "Le madri degli Elefanti", presieduto dalla signora Zokora. Non c´è la signora Drogba, madre del centravanti del Chelsea, che ha lasciato Abidjan vent´anni fa. Sono donne del Nord e del Sud, chi prega Allah e chi la Madonna. Da qui la guerra appare un affare lontano. Nel 1999, quando Zokora passò al Genk, il generale Robert Guei compì il putsch che pose fine a 39 anni di pace postcoloniale. L´anno dopo le elezioni videro affermarsi Laurent Gbagbo. Il nuovo regime non riuscì a fermare gli scontri. Nel 2002 Zokora vinse il Campionato belga. In patria la guerra scoppiava. Il paese diviso. Alcuni ufficiali disertarono, unendosi ai ribelli. Bombe, distruzione, morte. Zokora passò dal Lilla all´Auxerre, dallo Strasburgo al Nantes. Nel 2004 la Francia tentò nell´antica colonia la politica della "riconciliazione nazionale". Arrivarono 6.000 caschi blu dell´Onu. Zokora partecipò alle qualificazioni dei Mondiali. Giocò, con i suoi compagni, per i rifugiati ivoriani in Europa, per i bambini del Nord e quelli del Sud. Gli Elefanti incontrarono la Libia e l´Egitto, il Camerun e il Sudan, il Benin. Giocarono bene, e ogni volta tornavano festeggiati come dei. Il paese si incendiava. I bianchi evacuati con un drammatico ponte aereo. L´Onu lanciava sanzioni. L´Unione Europea appelli. La Costa d´Avorio non era più lo stesso paese dove Zokora era cresciuto. Era l´immagine di una polveriera mostrata raramente in tv. Tutto questo non terminò nemmeno nel 2005. Lo stile d´artista di Zokora interessò il Monaco, il Lione e il Marsiglia. Le elezioni furono rinviate. La nazionale ivoriana battè il Sudan 3-1, e il Camerun fallì il rigore decisivo contro l´Egitto. Elefanti qualificati, e respiro di sollievo delle autorità. Furono portati in trionfo. Drogba in cima a un carro armato, scortato da due ali di militari con il kalashnikov in braccio. Gbagbo li nominò Cavalieri, e a ognuno fu regalata una villa. Ma la missione non sembra finita. "E´ come se questi ragazzi corressero con i pesi - dice Henri Michel, l´allenatore francese - pensano che la pace dipenda da loro". I titoli dei quindici quotidiani locali ne parlano come di soldati al fronte. Per strada si vedono armi, ci sono posti di blocco, ma non si spara più. Chi pensa al calcio e non alla guerra dove spingersi oltre Abidjan, fino al quartiere di Bingerville, nella villa un tempo governatorato francese e oggi orfanotrofio. Quando la brezza comincia a salire dall´Atlantico, nugoli di bimbi riempiono il giardino. Sono i figli della guerra. Cuccioli di cinque-sei anni che per qualche decina di minuti dimenticano la scuola, il caldo, i loro cari perduti. Sul campo formano un unico, vociante polverone attorno a una palla. Gridano e ridono. E la palla non è più un sacco di plastica, o una coppa di gelato riempita di erba e poi ricucita. E il calcio. Per pochi minuti di pace. Gli stessi che cercano giocando gli undici Elefanti, in maglia arancione, della Costa d´Avorio. Marco Ansaldo