Il Sole 24 Ore 28/05/2006, pag.28 Gianfranco Ravasi, 28 maggio 2006
Ma Gesù poteva essere sposato? Il Sole 24 Ore 28 maggio 2006. Non c’è limite all’irruzione mediatica del Codice da Vinci e, perciò, ammiro il distacco del supplemento domenicale nei confronti di questa operazione abilissima di marketing
Ma Gesù poteva essere sposato? Il Sole 24 Ore 28 maggio 2006. Non c’è limite all’irruzione mediatica del Codice da Vinci e, perciò, ammiro il distacco del supplemento domenicale nei confronti di questa operazione abilissima di marketing. Ho letto, ahimé, anch’io quel libro e mi basta: mi evita la fila al cinema per il relativo film. Bei tempi quelli nei quali il romanzo storico costringeva gli autori allo studio previo della materia e del personaggio su libri di storia per evitare assurdità storiografiche, pur muovendosi poi nell’ambito di una fantasia (fiction) che però rimaneva coerente. Ma - e qui chiamo in causa monsignor Ravasi - perché mai tanta ostilità nei confronti di un Gesù sposato, se lo si vuole considerare "vero uomo" (oltre che "vero Dio", come recitava il Catechismo)? Non sarà forse che il silenzio dei Vangeli al riguardo sia in ultima analisi una specie di censura ecclesiastica della prima Chiesa per affermare il celibato sacerdotale? Dopo tutto nell’ebraismo e nella società di allora il celibato non solo non era praticato ma era considerato una perversione sessuale. Luca M. Pinna - Civitanova Marche Col nostro lettore ho una ragione di consenso e una di radicale dissenso. Il consenso è scontato: il libro di Dan Brown rivela in filigrana una brillante "incompetenza", sanata dall’autore col ricorso a qualche pamphlet di facile consumo (per altro identificati da alcuni critici del libro). Se si pensa che Thomas Mann per scrivere un romanzo storico (e quindi una fiction) come Giuseppe e i suoi fratelli viaggiò per quattro settimane in Egitto e allestì una "piccola biblioteca specializzata..., impaccata e messa da parte al termine del lavoro", si riesce a capire l’abissale distanza non solo letteraria (questo è ovvio) ma anche di serietà personale tra i due autori di romanzi storici. Ma veniamo alle ragioni del dissenso. Che il celibato sacerdotale non abbia nulla a che fare con l’ipotetica "censura" operata dagli evangelisti e quindi dalla Chiesa delle origini su un eventuale matrimonio di Gesù è dimostrabile a più livelli. Cercherò di farlo in modo semplificato ma, a mio avviso, inequivocabile. E questo, certo, non per disprezzo o complessi nei confronti del matrimonio. Comincerò dalla coda. Il lettore cade in un banale anacronismo. La disciplina del celibato presbiterale fa capolino solo nel IV secolo coi concili locali di Elvira (306) e di Roma (386). Anzi, anche dopo, per secoli continuerà a sussistere fino a oggi nelle stesse Chiese orientali cattoliche (e quindi non solo ortodosse) la prassi del sacerdozio coniugato. Tra l’altro, si deve ricordare che il nesso tra sacerdozio e celibato, secondo il Concilio Vaticano II, ha un alto "rapporto di convenienza" (illustrato poi da Paolo VI nella Lettera apostolica Sacerdotalis coelibatus del 1967) ma non è un vincolo teologicamente necessario e strutturale. La cosa che più interessa riguarda, però, gli scritti evangelici canonici. Partiamo dal contesto. Contrariamente a quanto crede il nostro lettore, il celibato non era nel mondo ebraico necessariamente un assurdo e qualcosa di comparabile a "una perversione sessuale". Anche se le motivazioni erano differenti, il profeta Geremia era celibe, lo era il Battista, lo erano gli Esseni (ai quali probabilmente è da ricondurre anche la comunità di Qumran), stando almeno a quanto attestano gli storici Giuseppe Flavio e Plinio il Vecchio e il filosofo ebreo-alessandrino Filone. Uno dei maestri rabbinici del I secolo d.C., Simeon ben Azzai giustificava così il fatto di non essersi sposato: "La mia anima è innamorata della Torah e il mondo può essere portato avanti da altri". Si era giunti al punto - andando contro lo stesso dettato biblico - di presentare in alcuni scritti giudaici persino Mosè come celibe al Sinai e questo per ragioni simbolico-rituali. E non dobbiamo ignorare neppure - in ambito contestuale - il celibato "vocazionale" di illustri figure pagane di quel tempo, come lo stoico Epitteto e il mistico pitagorico Apollonio di Tiana. Veniamo ora a Gesù. Il contesto delineato già ci fa comprendere che il suo celibato non era poi così improbabile. Tuttavia, ammettendo pure la sua eccezionalità, è noto che in più di un caso Cristo non esitava a remare contro corrente, tant’è vero che gli studiosi hanno elaborato su di lui un criterio storiografico di "discontinuitào difformità". Ma stiamo ai dati evangelici. Sui legami familiari di Gesù il Nuovo Testamento è tutt’altro che reticente. Si parla di Maria, sua madre, di un padre legale, Giuseppe, di ben quattro "fratelli" (lasciamo stare quale sia il grado di parentela sotteso al termine) dei quali sono noti i nomi (Giacomo, Ioses, Giuda e Simone), di alcune "sorelle" non nominate, di una parente di Maria, Elisabetta, del relativo consorte Zaccaria e del loro figlio Giovanni. Non mancano tracce di altre parentele femminili (Marco 15, 40). Uno scrittore giudeo-cristiano del II secolo ci parla anche di uno zio di Gesù, Cleopa, e di un cugino, Simeone. Ora, di fronte a un tale dispiegamento di dati parentali e al fatto che i discepoli erano regolarmente sposati (vedi, ad esempio, la suocera di Pietro, evocata in un racconto suggestivo dei Vangeli), considerando che il celibato ecclesiale è una norma di molto posteriore, non si può seriamente dire che i Vangeli hanno taciuto un eventuale matrimonio di Gesù per motivazioni apologetiche nei confronti del celibato. Anzi, ci imbattiamo in una frase piuttosto brutale di Gesù riferita da Matteo: "Vi sono eunuchi che sono nati tali dal grembo della madre e vi sono eunuchi che sono stati resi così dagli uomini e vi sono eunuchi che si sono resi eunuchi a causa del regno dei cieli" (19, 12). Gli esegeti pensano che essa sia una risposta di Gesù a un’accusa o a un insulto lanciato dagli avversari contro di lui proprio perché non era sposato. In sintesi, come scrive uno dei maggiori studiosi del Gesù storico, l’americano John P. Meier, dobbiamo riconoscere che, "data la sorprendente loquacità del Nuovo Testamento sia sulla famiglia di Gesù sia sulle donne che gli erano vicine, il silenzio dei Vangeli su una supposta moglie di Gesù e di eventuali figli ha una facile e ovvia spiegazione: non esistevano" Gianfranco Ravasi