Affari & Finanza La Repubblica 29/05/2006, pag.9 Maurizio Crosetti, 29 maggio 2006
Il gran cerimoniere del matrimonio tra il calcio e la Tv. Affari & Finanza La Repubblica 29 maggio 2006
Il gran cerimoniere del matrimonio tra il calcio e la Tv. Affari & Finanza La Repubblica 29 maggio 2006. Insieme a un bel po’ di quelli che adesso sono in disgrazia, da Carraro a Giraudo per non dire di Moggi, Adriano Galliani è stato l’inventore del calcio come industria di spettacolo. In tempi non sospetti, ammesso che ce ne siano stati, lo zio Fester degli stadi dichiarò: "Le squadre sono aziende. La cosa più vicina al calcio è una major che produce film. La partita è una pellicola che dura novanta minuti. Lo stadio è la sala cinematografica. Lo sfruttamento tivù è pressoché analogo a quello di un film. Attorno al film vanno poi create attività collaterali: i miei modelli di sviluppo sono la Warner e la Walt Disney. In quel senso io sviluppo il Milan. Quando acquistammo la società nell’86, la biglietteria rappresentava il 90 per cento del fatturato. Oggi il mix è 60 per cento diritti tv, 25 per cento sponsorizzazioni e attività commerciali, 15 per cento biglietteria. L’85 per cento va conquistato come in una qualunque altra azienda". Che non sia affatto come una qualunque altra azienda, è lo stesso Adriano Galliani a dimostrarlo allo stadio, dimenandosi come il vero tifoso che è (anche se da ragazzo, a Monza, il suo cuore era juventino). Immortalato da Teo Teocoli in una memorabile imitazione, il Galliani vero assomiglia al Galliani imitato e non viceversa. Perché sono entrambi autentici, nel bene e nel male. Così come è autentica la sua fiducia in se stesso: "Sono stato, credo, un ottimo presidente della Lega Calcio e non mi dimetto, perché in Italia le dimissioni sono un’ammissione di colpa, e io colpe non ne ho". E’ rimasto l’ultimo potente del pallone aggrappato alla sedia. Privata, non pubblica, dunque niente commissari: "La Lega è la Confindustria del pallone". I presidenti che tanto sbraitano contro di lui o fingono di farlo, poi ci vanno a pranzo e trovano sempre un accomodamento. Perché Galliani è un mediatore per vocazione, nessuno smussa gli angoli come lui. Nel ’98, quando Inter e Juventus litigarono per il famoso rigore negato a Ronaldo, e quando Moratti e Giraudo decisero di non parlarsi più, fu proprio Adriano Galliani a fargli fare pace come tra i bambini in cortile, e non solo per filantropia o quieto vivere: la tregua tra Inter e Juve significava continuità di affari, dunque stabilità in Lega. Nulla al mondo deve far vacillare la sedia. La storia di Galliani comincia da lontanissimo, con lui bambino in vacanza al mare, Arenzano, Liguria. E il giorno della finale della Coppa del mondo (allora, Coppa Rimet) tra Germania e Ungheria, l’anno il 1954. Il piccolo Galliani scopre che a Genova, in piazza De Ferrari, trasmetteranno la partita in una specie di maxischermo, probabilmente il primo della storia, così salta su un autobus e si gode lo spettacolo. Al ritorno saranno schiaffoni dei genitori, ma la strada è già segnata: Galliani, pallone e tivù. Ecco la vera, inseparabile triade. Siccome il destino non manca di coerenza, calcio e schermo s’incrociano ancora con Galliani nel 1963, finale di Coppa dei Campioni tra Milan e Benfica a Wembley. Londra è irraggiungibile in pullman, ma Galliani sa che la televisione svizzera trasmetterà la partita in diretta; così emigra per qualche ora a Chiasso. Non si tratta solo di assistere a una grande sfida: trasmissioni televisive ed emittenti straniere saranno infatti uno degli argomenti del primo incontro tra Galliani e Berlusconi, il 1 novembre 1979. Cioè l’inizio di tutto. Ma per comprendere il senso di quel giorno, bisogna tornare un po’ indietro. In attesa di tivù e Cavaliere, il nostro si era mosso nel settore turistico, gestendo uno stabilimento balneare a Vieste, sul Gargano, spostandosi poi nel ramo dei citofoni: in qualche modo, comunicazione. La svolta fu la coraggiosa ipoteca dell’appartamento per acquistare la società Elettronica Industriale, produttrice di antenne (da cui il soprannome di "antennista", che per un po’ ha accompagnato Galliani). Di antenne e apparati di ricezione gli aveva parlato tale ingegner Barbuti, svizzero come la famosa trasmissione in diretta di MilanBenfica. A quell’epoca, Adriano Galliani era segretario del comune di Lissone: più suggestive le antenne dei protocolli municipali, e fu il padre di Galliani a dare la scossa decisiva alla vicenda. Galliani senior, in qualche modo si mise a "comprare montagne", ovvero ad appaltare i cocuzzoli (e frequenze) sui quali piazzare le antenne del figlio. A questo punto, la leggenda prende una piega un po’ piratesca. Si narra infatti che Galliani junior fosse riuscito a mettere la tivù svizzera fuori sintonia, e chi voleva tornare a vederla doveva acquistare una delle sue antenne. Un trucchetto, e Galliani più tardi commentò: "Non vorrei che davvero apparisse una storia da corsari che diventano baronetti inglesi, però inventai di fatto la prima paytv italiana". Pagare per vedere. Oppure vedere senza dover pagare il canone, ma per riuscirci bisognava creare un altro universo televisivo. Quello che Silvio Berlusconi promise a Galliani nel famoso incontro del ’79: "Io e lei, insieme, faremo una televisione più forte della Rai". Berlusconi aveva appena diffuso la sua Telemilano dal grattacielo Pirelli, e nello stesso tempo aveva captato le idee di Galliani: perché tutto si può dire di quei due, meno che non abbiano sviluppatissimi e quasi profetici apparati di ricezione naturali. Lo storico incontro tra il futuro presidente e il futuro amministratore delegato del Milan permise a Galliani di piazzare un’idea e il 50 per cento della sua società. Quello che Rizzoli, Rusconi e Mondadori non avevano capito, Berlusconi lo afferrò al volo. Antenne e pallone, pallone che viaggia dentro le antenne, potere che si gonfia grazie al pallone e alle antenne. Una reazione a catena che porterà Galliani a diventare il braccio sportivo di un Berlusconi sempre più impegnato a fare altro. Lo zio Fester ne combina di buone e di pessime, e per le pessime si prende sempre tutta la colpa, in questo dimostrando una fedeltà assoluta e infrangibile al suo capo. Quando ritira il Milan dal campo di Marsiglia, per quella grottesca storia delle lampadine fulminate nei riflettori dello stadio, dice che l’idea è stata sua e sua soltanto (invece, l’ordine era arrivato da Berlusconi). E quando nel calcio si cominciò a parlare dei primi soldi in nero, con il processo per il trasferimento miliardario di Lentini dal Torino al Milan, Galliani ripetè la solita lezione: ho fatto tutto io. Invece, per i disastri del pallone, il presidente di Lega non si rimprovera nulla. La sua voce, nelle intercettazioni non c’è. Ma il suo nome sì, e con risvolti imbarazzanti. Galliani pensa che il bue, gonfiato fino ad esplodere, sia una conseguenza del sistema, non di comportamenti individuali. Moggi? "Mai tradito". Lo scandalo arbitrale? "Il Milan è una vittima". Nessuna inquietudine per il triplice conflitto d’interessi: Milan, Mediaset, Lega. Galliani si difende, sostenendo di avere garantito molti soldi alla serie B e più ricchezza per tutti, specialmente per chi già ricco lo era. L’alleanza, poi crollata, con la Juventus della "cupola" ha portato alla spartizione di tredici scudetti negli ultimi quindici anni, all’esplosione/implosione dei diritti televisivi e dei contratti con gli sponsor e ai conti ingovernabili. Compresi quelli di casa, visto che il Milan risulta essere il club con la maggiore spesa del personale (145,33 milioni), però la vecchia idea del pallone come major ha avuto naturali conseguenze. Ad esempio, la vendita del marchio Milan a se stesso, cioè alla "Milan Entertainement Srl", controllata al 100% dall’A.C. Milan. Un’operazione da 180 milioni di euro. Scorporare il marchio per farlo rendere di più, peccato che il marchio del calcio sia diventato un po’ marcio. E Galliani, quando accadeva tutto questo, mica stava da un’altra parte. Maurizio Crosetti